Tutti i passi avanti nella battaglia contro il big killer

Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020

Tutti i passi avanti nella battaglia contro il big killer

Il cancro del colon-retto è tra le forme tumorali che, negli ultimi anni, hanno registrato i miglioramenti più visibili in termini di sopravvivenza. Merito della prevenzione ma anche di nuovi farmaci e tecniche chirurgiche innovative.

In Italia nel 2016 ci sono stati 52.000 nuovi casi di cancro del colon-retto, e anche se l'incidenza è in leggero ma costante calo da una decina d'anni, questi tumori restano in cima alla classifica dei big killer, secondi solo a quelli di prostata e polmone per gli uomini e mammella per le donne.

La malattia ha causato, nel 2013, quasi 19.000 decessi, ma la sopravvivenza è in aumento e la prognosi viene considerata sostanzialmente favorevole: a cinque anni dalla diagnosi è in vita il 60,8 per cento di coloro che hanno un tumore al colon e il 58,3 per cento di coloro che ne hanno uno al retto, mentre le persone che vivono con una storia di carcinoma del colon-retto alle spalle sono ormai oltre 400.000.

Il quadro sembra dunque positivo, e in effetti lo è, grazie a una serie di fattori tra i quali spiccano, più che in altri casi, la prevenzione e la diagnosi precoce, uniti alle cure, sempre più articolate ed efficaci.

La prevenzione è a tavola

"Escludendo situazioni di rischio specifico come le poliposi familiari, la sindrome di Lynch, la rettocolite ulcerosa e la malattia di Crohn, che di solito seguono un percorso dedicato, è dimostrato da tempo che il rischio maggiore è associato all'alimentazione - nello specifico al consumo di carni rosse e insaccati, zuccheri e farine raffinati - al fumo, all'alcol e all'inattività fisica. Al contrario, una dieta ricca di vegetali freschi, di vitamina D e farine integrali e zuccheri può esercitare un ruolo protettivo, così come sembrano farlo specifici alimenti, oltre alla ben nota dieta mediterranea" spiega Roberto Labianca, direttore del Cancer Center dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ex presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica e grande esperto di carcinomi del colon- retto.

Negli ultimi anni è poi emerso con sempre maggiore evidenza il ruolo dei chili di troppo e soprattutto dell'obesità, responsabili di un gran numero di questi tumori. Secondo gli ultimi dati resi noti dal Center for Diseases Control di Atlanta, tra il 2005 e il 2014 l'incidenza di 12 tumori certamente collegati all'obesità negli Stati Uniti è aumentata del 7 per cento, e solo il tumore del colon-retto, che rientra tra questi 12, mostra una diminuzione (del 23 per cento): tutto grazie ai programmi di screening. Ma la situazione è tutt'altro che positiva; un'altra ricerca, pubblicata negli stessi giorni su Cancer, fa emergere un elemento che desta preoccupazione: il ruolo nefasto del sovrappeso già a partire dall'adolescenza. I ricercatori dell'Università di Tel Aviv hanno analizzato i dati di oltre un milione di uomini e oltre 700.000 donne, reclutati in un'età media tra i 16 e i 19 anni, che sono stati analizzati per vari parametri di salute dal 1967 e il 2002, e sono poi stati seguiti fino al 2012. I risultati hanno dimostrato che chi era in sovrappeso o già obeso da giovanissimo aveva un aumento del rischio di cancro del colon-retto attorno al 53 per cento. La prima misura per limitare il pericolo di ammalarsi da adulti o da anziani è dunque quella di tenere d'occhio la bilancia, e di farlo con una corretta alimentazione e una regolare attività fisica.

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Diagnosi precoce

In Italia da alcuni anni sono attivi, con modalità che variano da Regione a Regione, i programmi di screening estesi a tutta la popolazione: a partire dal compimento dei 50 anni di età fino ai 69, i cittadini sono invitati tramite una lettera a consegnare un piccolo campione di feci (spesso in farmacia) per la ricerca del sangue occulto. Se l'esito è negativo, dopo due anni ci sarà un nuovo invito, se invece è positivo, di solito si consiglia una colonscopia esplorativa, al fine di identificare eventuali polipi, formazioni precancerose o già tumorali, che talvolta possono essere rimosse durante lo stesso esame; tutto il percorso è totalmente gratuito. Secondo l'Associazione italiana dei registri tumori, nel 2012 più di quattro milioni di italiani sono stati coinvolti in uno di questi screening, e circa uno su due ha effettuato quanto richiesto, con grandi differenze tra Nord e Sud. Probabilmente la lettera non è lo strumento più efficace per convincere le persone a eseguire almeno il primo esame, secondo uno studio pubblicato sul Journal of General Internal Medicine dai medici del Kaiser Permanent Center for Health Research di Portland, negli Stati Uniti. Gli autori hanno infatti analizzato il comportamento di 2.700 persone cui era stato inviato a casa il kit per l'esame delle feci insieme a una lettera. Solo il 10 per cento aveva risposto, e gli altri erano stati sollecitati con sette diverse modalità, dall'sms alla nuova lettera, dal messaggio telefonico preregistrato a quello di un operatore fino alla combinazione di alcuni di questi strumenti. L'esito mostra che senza dubbio ciò che convince di più è la voce di un operatore con cui poter parlare, che infatti ha fatto cambiare idea al 32 per cento del campione, contro il 17 per cento dell'sms.

Nuove terapie

Quando si parla di cure è necessario distinguere, perché colon e retto sono molto diversi, quanto a iter terapeutico. La chirurgia è stata ed è ancora oggi la prima scelta per il tumore del colon, quella dalla quale non si prescinde e che, se il tumore è in stadio iniziale, è spesso risolutiva. La prima persona che si accorge del tumore in genere è l'endoscopista che esegue la colonscopia e che asporta le formazioni sospette, se le condizioni lo permettono. Poi interviene il chirurgo, e in Italia nel 2016 ci sono stati 27.019 interventi, secondo dati elaborati dall'Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas) e dal ministero della Salute nell'ambito del programma ESITI, che quantifica l'andamento delle prestazioni sanitarie. Sottoporsi all'intervento però non porta sempre gli stessi risultati: nel 2016, negli ospedali in cui sono stati eseguiti più di 50 interventi l'anno (173 centri censiti) la sopravvivenza è stata del 97 per cento, contro il 95 per cento delle strutture dove ne vengono effettuati di meno (343). Segno che è sempre bene cercare di farsi operare dove c'è un significativo volume di interventi: così facendo si salverebbero 151 vite l'anno.

Va ricordato che oggi le tecniche chirurgiche sono meno invasive rispetto a qualche anno fa e che la chirurgia laparoscopica può assicurare buoni risultati, se eseguita da mani esperte. Ancora sperimentale è, invece, quella robotica.

Dopo l'intervento, quasi sempre si consiglia una terapia adiuvante volta a prevenire le recidive. In questo ambito non ci sono state novità di grande portata negli ultimi anni: i farmaci più efficaci sono ancora quelli della classica chemioterapia che prevede sempre derivati del platino insieme ad altri composti. Di recente, però, grazie a uno studio chiamato "Tosca", cui ha preso parte lo stesso Labianca insieme a molti altri colleghi italiani, è stato dimostrato che il periodo di trattamento necessario a garantire l'effetto può essere accorciato dagli abituali sei mesi a tre, in particolare per i pazienti il cui tumore non ha infiltrato in profondità la parete del colon né coinvolto troppi linfonodi; secondo quanto pubblicato sugli Annals of Oncology  e poi presentato al congresso dell'American Association for Clinical Oncology del 2017, l'analisi della storia di quasi 3.800 pazienti randomizzati in 130 centri italiani per uno dei due tipi di chemioterapia, e poi seguiti per più di cinque anni, dimostra che utilizzando la terapia di tre mesi il rischio di recidive non cambia e, anzi, la qualità di vita migliora. Oltre a ciò, va detto che qualcosa sta comunque cambiando anche in questo ambito, via via che la medicina personalizzata si fa strada.

È infatti ormai sempre più chiaro che sotto la voce generale "tumore del colon-retto" si celano molte possibili varianti genetiche, e che per alcune di esse esistono farmaci alta-mente selettivi e quindi molto efficaci. È il caso, per esempio, del 3 per cento dei tumori con cosiddetta "instabilità dei microsatelliti", cioè con un patrimonio genetico che, a differenza della maggior parte dei tumori del colon, è molto variabile: per questi malati probabilmente in futuro ci saranno anche terapie immunologiche, molto più attive quando i geni mutano rapidamente e in gran numero.

Già oggi ci sono farmaci diretti contro le mutazioni dei geni BRAF ed HER2, e altri che possono essere somministrati solo quando il gene Ras non è mutato.

Ciò che va sottolineato, comunque, è che la sopravvivenza anche delle forme avanzate oggi è in media attorno ai tre anni: solo pochi anni fa era di sei mesi. Il passo in avanti è dovuto alla grande varietà di terapie, oltreché agli elementi già citati, e al fatto che sempre più spesso, finalmente, le équipe sono multidisciplinari, cosa particolarmente importante nel tumore del retto.

Approcci diversi per il retto

Il tumore del retto va affrontato in modo diverso da quello del colon: di solito dopo la diagnosi si tratta con la radioterapia da sola o combinata alla chemioterapia. Soltanto dopo, se i risultati non sono giudicati soddisfacenti, si ricorre alla chirurgia classica. Ecco perché qui, più che in altri tipi di tumore, la collaborazione tra specialisti diversi è fondamentale. Per quanto riguarda la chemioterapia, la situazione è simile a quella del cancro al colon e anche in questo caso la rivoluzione portata dagli studi genetici si fa sentire, soprattutto nelle forme più avanzate: in alcuni casi è indicato il regorafenib, un inibitore di diverse chinasi (enzimi chiave per la vita della cellula tumorale), mentre per la maggior parte degli altri casi si possono aggiungere alla chemioterapia farmaci quali il bevacizumab, il cetuximab e il panitumumab, se i test genetici confermano la presenza di quantità sufficienti dei loro bersagli.

Proprio a causa delle tante possibilità, è necessario rivolgersi a centri con personale esperto e un'organizzazione incentrata sulla multidisciplinarietà. "Il Dipartimento interaziendale oncologico della Provincia di Bergamo che dirigo" spiega Roberto Labianca "partecipa a una rete sperimentale di nove centri che controllano regolarmente lo stato dei propri malati di tumore del colon per verificare se l'inserimento in percorsi multidisciplinari possa portare a benefici misurabili sulla durata della vita, oltreché sulla qualità delle cure, perché la teoria deve sempre essere supportata dai numeri". E i numeri, in questo caso, sono le vite dei pazienti salvati.

Frutta secca salvavita

Il consumo regolare di noci sembra in grado di dimezzare il rischio di andare incontro a una recidiva del tumore del colon, e anche quello di morte. L'effetto si vede con le noci, appunto, ma anche con le mandorle, le nocciole, le noci di Macadamia e i pecan, i pistacchi, gli anacardi e le miscele. Non sembrano attive invece le arachidi e i loro derivati come il burro di arachidi. Lo hanno notato i ricercatori del Dana Farber Cancer Center di Boston verificando le risposte a una domanda specifica posta in un'indagine che stanno portando avanti dal 1999 sulle persone con un tumore al colon, chiamata Alliance. Studiando oltre 800 malati, tutti operati o sottoposti a una chemioterapia per un carcinoma del colon a rischio di recidiva, gli autori hanno infatti notato e riferito al congresso dell'American Society for Clinical Oncology, che un consumo medio di una cinquantina di grammi di frutta secca a settimana (una noce sgusciata intera ne pesa circa 5) si traduce in una diminuzione del rischio di recidive del 42 per cento e di morte del 57 per cento rispetto a chi non mangia noci. L'effetto resta anche dopo aver inserito una serie di elementi correttivi, e sembra dunque legato davvero alle noci e simili.

Il robot in mani esperte

Per il momento in tutta Europa i chirurghi con una formazione certificata di chirurgia robotica sono soltanto 25, ma in futuro, secondo due dei massimi esperti del settore, Thomas Bachleitner-Hofmann e Michael Bergmann del Vienna General Hospital, uno dei centri dove è maturata la più ampia esperienza e dove è stata raccolta la casistica più numerosa, il 99 per cento degli interventi del cancro del retto sarà eseguito con l'aiuto del robot, e la stessa sorte toccherà a molti tumori del colon. Il motivo è semplice: alcuni tumori, soprattutto quelli situati in sedi che rendono difficile l'asportazione con laparoscopia, sono particolarmente difficili da operare e gli interventi lasciano conseguenze a volte pesanti quali incontinenza, sanguinamenti, infezioni, asportazioni incomplete e così via. Con il robot, invece, il chirurgo ha una visione ad altissima definizione e tridimensionale che gli permette di intervenire in modo estremamente preciso e meno invasivo, e di operare in condizioni meno faticose, mantenendo più a lungo la lucidità necessaria.

Tuttavia, avvisano i due esperti austriaci, tra i primi a ricevere il via libera dalla European Academy of Robotic Colorectal Surgery, è molto importante affidarsi a centri e medici che possano dimostrare di aver acquisito tutta l'esperienza necessaria.

Lo screening di domani

Via via che le analisi genetiche entrano nella routine e che, parallelamente, aumenta la conoscenza del ruolo della microflora intestinale, prende piede anche l'idea di uno screening basato sulla composizione di quest'ultima, che ha caratteristiche uniche da persona a persona e che può indicare con grande precisione il grado di rischio di ciascuno. Per esempio, è stato dimostrato di recente, in uno studio pubblicato su PLoS Pathogens dai ricercatori del Texas A&M Health Science Center, che la presenza di alcuni batteri tra i quali lo Streptococcus gallolyticus aumenta considerevolmente la possibilità che cellule pretumorali intestinali evolvano in cellule tumorali. Per questo gli oncologi riuniti nell'associazione United European Gastroenterology, stilando un elenco di provvedimenti altamente raccomandati per migliorare l'efficacia degli screening, hanno messo al primo posto l'esame della microflora fecale, che sarebbe molto più sensibile e specifico rispetto alla ricerca del sangue occulto nelle feci.

  • Agnese Codignola