Siamo abituati a considerare le proteine i “mattoncini” del nostro corpo e ad associarle a tutti i “secondi piatti” che quotidianamente portiamo in tavola. Esse in effetti rappresentano la terza classe di macronutrienti, dopo i carboidrati e i grassi. All’interno dell’organismo svolgono innumerevoli funzioni anche molto diverse. Per fare solo qualche esempio introduttivo, le proteine servono a costruire le strutture cellulari, a mantenerle plastiche e a ricostruirle in caso di danni o lesioni. Altre molecole proteiche servono a trasmettere segnali da una cellula a un’altra, anche a distanze notevoli. Le proteine hanno anche un potere energetico, che ammonta a 4 kcal per 1 g, analogo quindi a quello assicurato dai carboidrati. Questi ultimi, assieme ai lipidi, rappresentano il carburante di primo utilizzo da parte del nostro organismo. Ma quando questi macronutrienti e le loro riserve scarseggiano, l’organismo può attingere – come misura estrema - anche alle proteine contenute nei muscoli per portare avanti le proprie attività. Come per gli altri nutrienti, la comunità scientifica studia da tempo la correlazione tra il consumo di proteine e lo stato di salute e, nello specifico, il rischio di ammalarsi di cancro. Vediamo con quali risultati.
Come i carboidrati complessi sono formati da catene di oligosaccaridi assemblati, così le proteine sono il prodotto finale dell’assemblaggio di una sequenza di amminoacidi. Di queste unità funzionali esistono circa 300 tipi, ma soltanto 20 amminoacidi sono coinvolti nella composizione delle proteine. Una persona adulta può sintetizzare 11 di questi amminoacidi (alanina, arginina, acido aspartico, cisteina, acido glutammico, glicina, prolina, serina, tirosina, asparagina e glutammina). I restanti 9 (fenilalanina, treonina, triptofano, istidina, metionina, lisina, leucina, isoleucina e valina) devono invece essere assunti necessariamente con la dieta: ecco perché si parla in questo caso di amminoacidi essenziali. Senza le proteine non riusciremmo a vivere. Sono ovunque, nel nostro organismo. Si ritrovano, per fare altri esempi, come componente fondamentale dei muscoli (la mioglobina è una delle proteine che compongono le fibre muscolari, al pari di actina e miosina,), dei capelli (cheratina), delle ossa (il collagene le costituisce per l’80 per cento ed è la proteina più abbondante nel nostro corpo), del sangue (emoglobina) e degli ormoni (che sono di natura lipidica o proteica). Anche le difese immunitarie dipendono dalle proteine, dal momento che a questa categoria appartengono, per esempio, le immunoglobuline e gli anticorpi. Per non parlare delle reazioni che avvengono nel nostro corpo, regolate dagli enzimi, anch’essi di natura proteica. Perché l’organismo possa utilizzare gli amminoacidi presenti nelle proteine della dieta è indispensabile che queste vengano degradate. È necessaria quindi l’azione di enzimi che prima nello stomaco e poi nell’intestino tenue rompano i legami peptidici liberando gli amminoacidi, che potranno così essere assorbiti dalle cellule della mucosa intestinale ed essere rilasciati nel flusso sanguigno.
La presenza di tutti gli amminoacidi essenziali o soltanto di alcuni è una delle caratteristiche principali che definiscono la qualità delle proteine nei cibi che compongono la nostra dieta. In base a questa caratteristica, le proteine provenienti da carne, pesce, uova e latticini sono definite ad alto valore biologico perché contengono tutti i nove amminoacidi essenziali. Le proteine presenti in cereali e legumi sono invece carenti di alcuni di essi. Il frumento, per esempio, ha da questo punto di vista un valore biologico dimezzato rispetto a quello del latte a causa della carenza di lisina e treonina. D’altra parte i legumi, come la soia e i piselli, hanno elevati livelli di lisina, ma scarseggiano invece in metionina. Questa eterogeneità spiega perché, tra le raccomandazioni dei nutrizionisti, vi sia quella di consumare cereali e legumi nello stesso pasto o comunque nell’arco di 24 ore. In questo modo si riesce infatti a soddisfare il fabbisogno di proteine e di amminoacidi essenziali al nostro organismo.
Idealmente le proteine della dieta dovrebbero fornire amminoacidi in quantità e proporzioni adeguate alle necessità dell’organismo. Ma questo, nella pratica, non si verifica quasi mai. A completare l’assetto di amminoacidi biodisponibili per le necessità dell’organismo contribuiscono (solitamente per non più del 10 per cento) anche gli amminoacidi derivanti dalla degradazione (catabolismo) delle proteine dei nostri tessuti. Questo processo ha un ruolo essenziale nel rinnovamento di cellule vecchie e ridondanti. Al contrario, quando l’assunzione di proteine attraverso la dieta supera il fabbisogno per la sintesi proteica, gli amminoacidi in eccesso vengono degradati nel fegato. Gli atomi di carbonio che ne derivano vengono ossidati a scopo energetico o convertiti in zuccheri (a loro volta rilasciati o stoccati come riserva). L’azoto liberato sotto forma di ammoniaca è invece convertito in urea, escreta con le urine.
Le proteine, come detto, sono soggette a un continuo processo di demolizione e sintesi, in gergo turnover proteico. Ogni giorno “perdiamo” mediamente circa 250 g di proteine: il valore naturalmente è soggettivo, e varia anche per la stessa persona nell’arco della giornata, dei mesi, degli anni. Sulla perdita di proteine, e dunque sul fabbisogno, influiscono infatti l’età e numerose caratteristiche individuali, tra cui il tipo di dieta, di attività fisica, le eventuali condizioni patologiche e così via. Un riferimento generale si trova nelle tabelle dei Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia (LARN), redatte dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU).
Alla popolazione adulta è raccomandata l’assunzione di 0,9 g di proteine al giorno per kg di peso corporeo. Ciò vuol dire che una donna che pesa 60 kg dovrà assumere all’incirca 54 g di proteine al giorno per soddisfare il proprio fabbisogno. Nei bambini e nei ragazzi fino a 17 anni, l’assunzione raccomandata è invece di circa 1 g di proteine giornaliero per kg. Un valore pressoché analogo (1,1 g al giorno per kg) è indicato per gli anziani, per prevenire la perdita di tessuto muscolare e mantenere l’organismo in uno stato di nutrizione adeguato.
Una deroga alla raccomandazione per la popolazione generale è prevista per le donne in gravidanza. Nel primo trimestre l’indicazione è di aggiungere ogni giorno un grammo in più di proteine rispetto a quelle suggerite per persone non in gravidanza. I valori dovrebbero poi salire nei trimestri successivi. La SINU raccomanda in particolare di aggiungere quotidianamente alla dieta rispettivamente 8 e 26 g di proteine nel secondo e nel terzo trimestre di gravidanza. Un maggior apporto proteico è consigliato anche nel corso del periodo di allattamento al seno: +21 g al giorno nei primi sei mesi, +14 g al giorno nei sei successivi.
I valori indicati fanno strettamente riferimento alle proteine e non al peso degli alimenti che le contengono e che sono costituiti anche da altre sostanze. Se per gli alimenti confezionati è più facile stimare l’apporto proteico, la stessa operazione non è ugualmente agevole quando si ha a che fare con un prodotto fresco (carne, pesce, uova). In ogni caso, con una dieta di tipo mediterraneo varia ed equilibrata il fabbisogno proteico quotidiano viene sicuramente soddisfatto.
Oggi, piuttosto, il rischio a cui è esposta la società occidentale è l’eccesso di proteine. Un esempio sono le scelte di alcuni sportivi o di chi segue diete iperproteiche con finalità dimagranti. A volte l’eccesso proteico è per necessità, perché uova e carne possono essere molto semplici e veloci da cucinare. La tendenza delle diete iperproteiche è cavalcata anche dall’industria alimentare. Nei supermercati, nelle farmacie e nei negozi di prodotti per lo sport si trovano sempre più spesso budini, dessert, barrette e preparati in polvere messi in commercio con un unico comune denominatore: favorire l’adesione a una dieta ad alto contenuto proteico, a scapito però dei carboidrati. A conferma di ciò ci sono anche i dati della sorveglianza di popolazione PASSI relativi al biennio 2020-2021, da cui si evince che in Italia i consumatori sono sempre meno “affezionati” alla dieta mediterranea. Nello specifico, sono soprattutto le fasce più giovani a ridurre il consumo di carboidrati e zuccheri raffinati e a prediligere una dieta maggiormente ricca in proteine di origine sia animale sia vegetale.
Può capitare anche che il “ribilanciamento” della dieta tra carboidrati e proteine sia suggerito alle persone sovrappeso o obese per aiutarle a dimagrire, a volte anche prima o dopo un intervento di chirurgia bariatrica. I risultati di alcuni studi hanno infatti mostrato che una dieta ipocalorica ad alto contenuto di proteine (all’incirca 1,2 g per kg di peso corporeo, per una quota prossima al 30 per cento dell’apporto calorico giornaliero) produce una perdita di peso superiore (e un recupero minore dopo una dieta) rispetto ai regimi alimentari con un apporto inferiore di proteine. Questo perché un contenuto proteico più elevato, soprattutto se abbinato a un’adeguata attività fisica (150-300 minuti alla settimana), favorisce la perdita di massa grassa, la preservazione di quella muscolare e l’equilibrio del calcio (che concorre al contenuto minerale delle ossa).
Ogni dieta ad alto contenuto proteico deve essere concordata con uno specialista, a cui sottoporsi anche per controlli periodici. L’adozione di una dieta iperproteica “fai-da-te” soprattutto se seguita per diversi mesi, può infatti comportare seri effetti collaterali. Limitare drasticamente l’apporto di certi nutrienti prediligendone altri può infatti determinare scompensi in termini di fabbisogno giornaliero e, a lungo termine, anche gravi danni alla salute.
Chi si sottopone a diete iperproteiche, in genere, riscontra una perdita di peso più veloce e più efficace. Se questa situazione si protrae nel tempo, però, non è detto che il consumo regolare di una quantità di proteine superiore a quella prevista dalla dieta mediterranea (15-20 per cento dell’apporto energetico giornaliero) garantisca la perdita di peso. Le proteine, infatti, apportano le stesse calorie dei carboidrati, per cui, se non si segue una dieta bilanciata negli altri nutrienti, consumarne troppe può determinare un eccessivo apporto di energia, con conseguente aumento di peso. Bisogna poi fare attenzione agli effetti che una dieta di questo genere determina sullo stato di idratazione dell’organismo. Quando le proteine sono in eccesso, devono essere “demolite”, e il prodotto di scarto che si genera viene eliminato attraverso l’urina. Se si eccede quindi con il consumo di proteine e non si assume abbastanza acqua, ci si può disidratare fortemente. Bisogna inoltre osservare che un consumo eccessivo di alimenti di origine animale (in particolare, carni rosse e trasformate e uova) comporta quasi sempre un apporto eccessivo anche di grassi saturi, in grado di aumentare il rischio cardiovascolare.
Per l’insieme di queste ragioni una dieta iperproteica (con un apporto superiore al 30-35 del contributo energetico giornaliero) è fortemente sconsigliata a persone affette da insufficienza renale cronica, poiché potrebbe compromettere o sovraffaticare una funzionalità degli organi già critica. Le diete iperproteiche sono fortemente sconsigliate anche a coloro che sono affetti da insufficienza epatica e cardiaca, ai pazienti con diabete di tipo 1, alle donne in gravidanza e allattamento e a tutti i soggetti con particolari disturbi psichici o del comportamento o che abusano di alcol e altre sostanze.
Tra le diete in voga possibilmente pericolose, e che sono a volte propagandate come altamente proteiche, vi è quella chetogenica. Si tratta di una dieta ricca di grassi e povera di carboidrati che induce il corpo a scomporre il grasso in molecole chiamate chetoni. I chetoni che circolano nel sangue diventano così la principale fonte di energia per molte cellule del corpo Questa dieta è consigliata soltanto per trattare alcuni tipi di epilessia, altrimenti del tutto sconsigliabile.
Negli ultimi anni abbiamo acquisito sempre più conoscenze circa l’impatto della dieta sull’insorgenza di diverse forme di cancro, malattie che, come sappiamo, nella nostra società sono in costante aumento. Per questo motivo gli epidemiologi e i nutrizionisti hanno provato a studiare l’effetto che i singoli nutrienti possono avere sul rischio oncologico, e dunque anche il ruolo delle proteine.
Con i limiti che caratterizzano tutti gli studi legati alla nutrizione, i dati finora raccolti possono essere considerati rassicuranti. I rischi da questo punto di vista sembrano essere legati al consumo eccessivo di alimenti di origine animale, in particolare di carni rosse e trasformate. Alcuni studi epidemiologici hanno correlato, infatti, la maggiore assunzione di questi cibi con una più alta probabilità di sviluppare alcune forme di cancro. L’associazione più significativa riguarda il tumore del colon-retto, ma anche altri tipi di cancro sono influenzati, anche se in misura minore, dal consumo di carni rosse e processate. Rimane da capire se la correlazione riguardi direttamente le proteine oppure le possibili conseguenze di consumi eccessivi di questo tipo di alimenti, tra cui l’aumento dell’infiammazione, una dieta troppo ricca di grassi e l’alterazione del microbiota intestinale.
Lo stesso effetto non si verifica assumendo invece proteine attraverso alimenti di origine vegetale. L’ultima conferma, in questo senso, è giunta da uno studio condotto nell’ambito del progetto EPIC, a cui hanno partecipato anche diversi ricercatori sostenuti da Fondazione AIRC. I risultati pubblicati sulla rivista Cancers hanno mostrato una riduzione delle probabilità di ammalarsi di tumore del retto (ma non del colon) tra coloro che avevano sostituito alcune fonti di proteine animali con fonti vegetali. L’effetto tuttavia era annullato a livello del colon tra coloro che avevano scelto, come sostituti delle proteine animali, alimenti di origine vegetale ad alto indice glicemico. Altri studi hanno dimostrato come un consumo regolare di pesce sia associato a un ridotto rischio di mortalità per tutte le malattie, e dunque anche per i tumori.
L’eccesso di proteine nella dieta, intendendo come tale il consumo di alimenti in grado di apportare più del 25-30 per cento dell’energia giornaliera, può essere un fattore di rischio per la salute. Ma, come abbiamo visto, non ci sono prove che associno direttamente l’apporto di proteine nella dieta con il rischio di sviluppare una o più malattie oncologiche o di morire a causa di esse.
Una ricerca i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista eBio Medicine ha evidenziato come un consumo eccessivo di alimenti ricchi di proteine di origine animale (in modo particolare di carni rosse) favorisca l’insorgere di diverse malattie legate all’invecchiamento. Allo stesso tempo sappiamo però che garantire un adeguato apporto di proteine nella terza età è fondamentale per evitare la perdita di massa muscolare (sarcopenia) e ossea (osteoporosi). Ne parleremo in maniera più estesa nell’approfondimento dedicato all’alimentazione più adatta agli anziani. Occorre dunque trovare il giusto equilibrio, evitando di ridurre drasticamente l’apporto di questi macronutrienti ma prediligendo quelle fonti alimentari (cereali, legumi e pesce) che ormai sappiamo essere alleate di una vita lunga e in salute.
Fabio Di Todaro
Articolo pubblicato il:
8 febbraio 2023