Grassi e cancro

I grassi e i lipidi sono stati tra i primi macronutrienti su cui si è concentrata l’attenzione della comunità scientifica. Ancora oggi, quando una persona intende dimagrire, gli alimenti che li contengono sono tra i primi a essere messi al bando. Per le loro proprietà, i grassi sono utilizzati perlopiù come “magazzino” e fonte di energia per il nostro organismo. Quando si brucia 1 g di acido grasso come combustibile, si ricavano 9 kcal: più del doppio di quanto si ottiene da carboidrati o proteine (4 kcal). Limitarne l’apporto è dunque importante per prevenire l’aumento del peso corporeo e quell’ampia gamma di malattie che sono conseguenza di sovrappeso e obesità. Eppure, come avremo modo di vedere, non possiamo vivere senza i grassi. Alla categoria dei lipidi appartengono sia i grassi propriamente detti sia gli oli. Sono grassi propriamente detti il burro, lo strutto, il lardo, ossia alimenti compatti a temperatura ambiente e composti quasi esclusivamente da lipidi. Gli oli invece contengono anch’essi quasi esclusivamente lipidi, ma sono liquidi a temperatura ambiente. Per praticità, d’ora in avanti in questo articolo parleremo sempre di grassi per riferirci a entrambe le categorie.

Perché anche i grassi sono importanti?

Assieme ai carboidrati, gli acidi grassi costituiscono i carburanti primari del metabolismo degli organismi superiori, esseri umani compresi. Come tali, occupano un ruolo centrale nella nutrizione umana. I lipidi sono molto diffusi in natura: li troviamo infatti sia nel regno animale sia in quello vegetale e sono tra i costituenti essenziali di quasi tutti gli organismi. Nel corpo umano i grassi costituiscono mediamente il 17 per cento del peso corporeo. A livello cellulare, i grassi svolgono almeno due azioni: sono presenti nei fosfolipidi che compongono le membrane cellulari garantendone il funzionamento, e sono precursori di diverse molecole e intervengono in numerosi processi biologici. Dopo l’acqua, i grassi rappresentano la componente principale del nostro cervello e della mielina, la guaina che riveste i neuroni e che permette la trasmissione degli impulsi nervosi. A livello funzionale i grassi hanno innanzitutto una funzione termoregolatrice. Se sono presenti nelle quantità necessarie, concorrono a sostenere gli organi interni e a garantire il mantenimento di un’adeguata temperatura corporea (indipendentemente da quelle che sono le condizioni dell’ambiente esterno). La loro presenza è alla base anche dell’assorbimento delle vitamine A, D, E e K che, per la loro capacità di sciogliersi nei grassi, sono dette liposolubili. Alcuni grassi, in seguito all’assunzione attraverso la dieta e all’idrolisi che avviene nell’intestino, diventano molecole più semplici (acidi grassi liberi e monogliceridi) che concorrono alla produzione di diversi ormoni (come quelli sessuali e l’aldosterone), della vitamina D e degli acidi biliari coinvolti nei processi digestivi. Tra i grassi presenti nella dieta, alcuni contribuiscono al mantenimento di un buono stato di salute. Per esempio, gli omega-3 e gli omega-6 sono elementi costitutivi di diverse molecole coinvolte nella regolazione dell’infiammazione, della pressione arteriosa, della funzione dei reni e del sistema immunitario.

I grassi attraverso la dieta

Nei cibi i grassi si trovano spesso legati ad altre molecole: è il caso dei trigliceridi (la principale fonte di grassi attraverso la dieta), degli esteri del colesterolo e dei fosfolipidi. I primi rappresentano la fonte principale di grassi attraverso la dieta ed è principalmente da questi che il nostro organismo trae energia, in assenza di zuccheri. Si trovano soprattutto in alimenti di origine animale, latticini, prodotti da forno, dolci e prodotti ultraprocessati. Le caratteristiche dei trigliceridi dipendono da quelle dei tre acidi grassi che sono “agganciati” alla molecola di glicerina, lo scheletro che accomuna tutte queste molecole. I fosfolipidi si trovano soprattutto negli oli vegetali e vengono utilizzati per la sintesi delle membrane cellulari e per la digestione e l’assorbimento dei grassi e delle vitamine solubili. Se questi rappresentano un elemento residuale della dieta, più importante è la presenza del colesterolo a tavola. Quest’ultimo, a differenza dei trigliceridi, è sintetizzato all’interno dell’organismo per il 70 per cento del fabbisogno, ed è coinvolto soprattutto nei processi di sintesi di ormoni steroidei, vitamine liposolubili e sali biliari. Gli alimenti da cui traiamo il maggior quantitativo di colesterolo sono le uova, i formaggi e le carni rosse.

Attraverso la dieta assumiamo anche composti che sono simili al colesterolo, ma che si trovano nei vegetali. I fitosteroli sono costituenti naturali che ritroviamo soprattutto negli oli di mais, di colza e di soia, ma anche nella frutta secca, nei semi e nei cereali integrali. Il consumo di fitosteroli con la dieta è piuttosto ridotto nel mondo occidentale (300-400 mg al giorno), nonostante la ricerca scientifica testimoni diversi benefici derivanti dal loro consumo. A differenza del colesterolo alimentare di origine animale, i fitosteroli vengono assorbiti soltanto in minima parte dall’organismo umano. In condizioni fisiologiche sono presenti in concentrazioni molto basse anche nel plasma delle persone che li assumono regolarmente attraverso la dieta.

Tutti i grassi sono uguali sul piano dell’apporto energetico, ma dal punto di vista della qualità possono essere molto diversi e avere effetti altrettanto variegati sullo stato di nutrizione e di salute umana. In base alla loro composizione biochimica, i grassi sono suddivisi principalmente in:

  • Saturi: sono quasi sempre di origine animale, ma si trovano anche nell’olio di palma e di cocco e nel burro di cacao. Si presentano di solito in forma solida e sono contenuti principalmente nella carne, nelle frattaglie, negli insaccati, nelle uova, nello strutto, nella panna, nel burro e nei formaggi e, in misura minore, nei crostacei (gamberi, scampi, aragoste, astici) e nei frutti di mare (molluschi come cozze e ostriche). La loro presenza ad alte concentrazioni nella dieta è stata associata a una maggiore incidenza di aterosclerosi e disturbi cardiaci. Questo perché l’apporto di acidi grassi saturi determina un innalzamento dei livelli di colesterolo-LDL, che tende a depositarsi sulle pareti delle arterie. In questo modo, ne causa il restringimento con conseguenze negative per la circolazione del sangue.
  • Insaturi: sono quasi sempre di origine vegetale, si presentano di solito in forma liquida e sono contenuti principalmente negli oli (d’oliva, di mais, di girasole e di altri tipi di semi), nella frutta secca a guscio (noci, mandorle, arachidi), nelle margarine monoseme e anche in alcuni alimenti di origine animale (latte e derivati, ma soprattutto pesce e oli di pesce). Sulla base della composizione biochimica, i grassi insaturi si dividono a loro volta in: monoinsaturi (si trovano principalmente negli oli, ma anche in latte e derivati e nel lardo) e polinsaturi (frutta secca a guscio, oli, pesce). Tra i principali grassi polinsaturi vi sono gli omega-3 (contenuti in quantità significative nel pesce, soprattutto quello azzurro, nel salmone e nell’olio di pesce) e gli omega-6 (contenuti negli oli, in particolare in quelli di mais e di girasole). Omega-3 e omega-6 sono anche detti acidi grassi essenziali perché il nostro corpo non è in grado di produrli autonomamente.
  • Insaturi trans: questo particolare tipo di acidi grassi insaturi è quasi del tutto assente negli alimenti di origine vegetale. I grassi trans si trovano in natura in quantità limitate nel latte, nei latticini e nelle carni dei ruminanti. Si formano per azione di alcuni batteri, che si trovano nel rumine di questi animali, su acidi grassi mono e polinsaturi di origine vegetale assunti con l’alimentazione. I grassi trans che andrebbero invece completamente evitati per motivi di salute sono quelli di origine industriale, prodotti durante il trattamento di solidificazione degli oli finalizzato alla produzione di margarine. Soprattutto nei Paesi anglosassoni e del Nord Europa, gli acidi trans si ritrovano in grandi quantità nelle patatine fritte e in prodotti da forno come ciambelle, brioche, cracker e altri snack. Secondo l’Agenzia europea per la sicurezza degli alimenti (EFSA), la loro assunzione dovrebbe essere ridotta al minimo. L’Organizzazione mondiale della sanità è ancora più drastica e punta all’azzeramento del loro utilizzo da parte dell’industria alimentare entro il 2023. In Italia, come nel resto dei Paesi dell’Unione europea, dal 2021 è stata fissata la soglia di 2,2 g di acidi grassi trans per ogni 100 g di grassi presenti nei prodotti industriali. Nel prossimo paragrafo vedremo perché le agenzie regolatorie e le istituzioni sanitarie raccomandino tanta prudenza nei confronti dell’utilizzo (e dunque dell’assunzione) dei grassi trans.

L’impatto dei (troppi) grassi sulla salute

Le tabelle dei Livelli essenziali di assunzione dei nutrienti ed energia (LARN) redatte dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) indicano che l’apporto di grassi deve essere responsabile del 20-35 per cento circa delle calorie quotidiane prodotte. Rispettando queste indicazioni e praticando un’adeguata attività fisica, non sussistono rischi particolari per la salute.

L’attenzione nei confronti dei diversi tipi di grassi è iniziata negli anni Cinquanta, con gli studi, tra gli altri, del fisiologo americano Ancel Keys che aveva approfondito le possibili cause della longevità degli abitanti del Cilento, un’area della Campania, e, più in generale, del Mezzogiorno italiano. I suoi studi hanno portato a comprendere che una dieta povera di grassi – molto diversa da quella che Keys era abituato a osservare negli Stati Uniti – riusciva a tenere bassi i livelli di colesterolo nella popolazione e, di conseguenza, a ridurre l’incidenza dell’infarto del miocardio. Così ha iniziato a farsi strada l’ipotesi che gran parte delle morti per cause cardiovascolari fossero da ascrivere, oltre che al fumo di sigaretta, a un consumo eccessivo di grassi alimentari, in particolar modo se di origine animale.

Oggi sappiamo che un apporto eccessivo di grassi saturi determina un innalzamento dei livelli di colesterolo nel sangue, in particolare della forma LDL. Anche per questo, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità i grassi saturi dovrebbero contribuire al massimo al 10 per cento dell’apporto energetico giornaliero. Conosciamo due tipi di colesterolo: quello cosiddetto "cattivo", trasportato dalle lipoproteine LDL e che tende ad accumularsi nelle arterie, e quello "buono", trasportato invece dalle HDL. Il rapporto tra colesterolo-LDL e colesterolo-HDL dovrebbe sempre essere inferiore a 3, per non costituire un’insidia per cuore e vasi sanguigni.

Ancora più dannosi per la salute rispetto ai grassi saturi, sono considerati quelli trans (in particolare quelli di origine industriale). Come i grassi saturi, infatti, tendono ad aumentare il colesterolo totale e le LDL, ma, oltre a ciò, riducono i livelli del colesterolo “buono”, l’HDL, andando così a peggiorare il rapporto tra queste due frazioni. Per questi composti è stato ipotizzato anche un effetto favorevole allo sviluppo di aritmie, oltre a un’azione pro-infiammatoria. Per l’Organizzazione mondiale della sanità, al loro consumo eccessivo sono da ascrivere circa 500.000 decessi ogni anno a livello globale. È stato calcolato che un’eliminazione completa dei grassi trans e la loro sostituzione con carboidrati e acidi grassi insaturi potrebbero ridurre l’incidenza delle malattie cardiovascolari, la prima causa di morte nel mondo, del 20-25 per cento. In questo senso i riflettori sono puntati soprattutto sulle margarine, considerate le principali responsabili della presenza di grassi trans nella dieta. Oggi il loro profilo nutrizionale è migliorato molto, con una riduzione significativa del tenore di queste componenti. Ma in molti prodotti industriali le materie ricche di acidi grassi trans si trovano ancora, in ragione della loro facilità di utilizzo, del prezzo ridotto e della lunga conservabilità nel tempo. Inoltre, aspetto da non sottovalutare, i grassi trans donano una consistenza e un sapore che risultano spesso molto apprezzati dai consumatori.

Un consumo eccessivo di grassi di qualsiasi natura comporta inoltre un aumento di energia che, se di molto superiore al dispendio calorico giornaliero, si traduce nell’accumulo di lipidi conservati come deposito energetico. Ecco perché tenere sotto controllo l’apporto di grassi, in particolar modo di quelli saturi e trans, contribuisce a mantenere un adeguato peso corporeo e ridurre il rischio di sviluppare sovrappeso, obesità e malattie quali il diabete di tipo 2 e la steatosi epatica, oltre alle patologie cardiovascolari.

I grassi di cui non possiamo fare a meno

Non tutti i grassi hanno lo stesso impatto sulla salute. La dieta dei cilentani, e più in generale delle popolazioni mediterranee, è ricca di grassi provenienti soprattutto da fonti vegetali (olio extravergine di oliva e legumi) e dal pesce. Eppure, tra coloro che seguono la dieta mediterranea e danno ampio spazio ad alimenti freschi e a pietanze poco elaborate, il tasso di incidenza delle malattie cardiovascolari, dell’obesità e del diabete sono molto più bassi di quelli che si registrano, per esempio, negli Stati Uniti. Segno che, anche a parità di apporto di grassi, a fare la differenza è anche il tipo.

Gli acidi grassi mono e polinsaturi non fanno infatti aumentare il colesterolo nel sangue. Al contrario, in alcuni casi sembrano in grado di agire positivamente riducendo i valori del colesterolo totale e della sua frazione “cattiva”. È questo un aspetto determinante ai fini della riduzione dell’aterosclerosi, un processo che comporta una riduzione del lume delle arterie e dell’elasticità delle loro pareti, e che rappresenta il principale fattore di rischio cardiovascolare. Omega-3 e omega-6, in particolare gli acidi eicosapentanoico (EPA), docosaesanoico (DHA) e alfa-linolenico (ALA) tra i primi e il linoleico tra i secondi, sono coinvolti anche nella regolazione della risposta infiammatoria. Considerando che l’infiammazione è coinvolta in molteplici processi alla base di diverse malattie, il ruolo di questi grassi è oggi considerato cruciale per lo sviluppo cognitivo (nel feto e nel bambino), per la prevenzione dei processi di demenza senile (soprattutto negli anziani) e delle malattie cardiovascolari, e per la riduzione del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. Trattandosi di acidi grassi essenziali, gli omega-3 e gli omega-6 non possono essere sintetizzati dal nostro organismo. Di qui l’importanza della dieta: se da un lato il consiglio è di limitare al minimo il consumo di alimenti ricchi di acidi grassi saturi e trans, opposta è la raccomandazione che riguarda gli acidi grassi insaturi. Infatti, stando alle raccomandazioni delle linee guida, circa il 10-15 per cento delle calorie che “acquisiamo” attraverso la dieta dovrebbe derivare dai grassi monoinsaturi (presenti soprattutto nell’olio extravergine di oliva) e il 6-10 per cento dai polinsaturi (di cui fanno parte gli omega-3 e gli omega-6, che si ritrovano soprattutto nel pesce azzurro e nella frutta secca a guscio).

Dieta ricca di grassi e cancro: che cosa sappiamo?

Possiamo affermare che una dieta ricca di grassi aumenti il rischio di sviluppare un tumore? A oggi sappiamo che un consumo eccessivo di acidi grassi trans è associato a un aumentato rischio di sviluppare tumori del cavo orale, della faringe, dell’esofago, del seno e dell’ovaio. Osservazioni in tal senso sono state raccolte negli ultimi dieci anni da alcune delle più importanti istituzioni scientifiche, quali l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) e la Società americana degli oncologi (ASCO).

Per quel che riguarda l’apporto di grassi in generale nella dieta e il rischio oncologico, non ci sono conclusioni certe. Sebbene si sappia che oltre 3 casi di cancro su 10 sono la conseguenza di abitudini alimentari non salutari, tra cui anche un eccessivo consumo di grassi, è la qualità complessiva della dieta, più che l’apporto di un singolo macronutriente, a determinare la riduzione o l’aumento di tale rischio. I risultati di diversi studi epidemiologici hanno mostrato una correlazione tra un elevato consumo di grassi e un maggiore rischio di sviluppare un tumore del colon-retto. A contribuire a tale effetto sarebbe l’aumento dell’infiammazione determinato da una dieta ricca di grassi e inoltre l’impatto di questi ultimi sulla composizione del microbiota intestinale, il cui assetto è sempre più spesso considerato fondamentale per mantenere un buono stato di salute, non soltanto contro il rischio oncologico. Allo stesso tempo, nessuna ricerca ha finora dimostrato che riducendo l’apporto dei grassi si possa prevenire del tutto l’insorgenza dei tumori o ridurre il loro tasso di mortalità. Alcune ricerche condotte con animali di laboratorio hanno provato a evidenziare gli effetti sull'organismo di una dieta particolarmente ricca di grassi rispetto a una a basso contenuto di lipidi, a parità di calorie. È stato riscontrato un aumento dei depositi viscerali di grasso, che rappresentano un fattore di rischio oncologico sia per il contributo alla sintesi di estrogeni sia per la produzione di citochine proinfiammatorie. Risultati analoghi sono emersi anche da studi condotti con esseri umani, bilanciati però da altri che non hanno invece mostrato un impatto di una dieta ricca in grassi sul grasso viscerale. Serviranno dunque nuove ricerche, su campioni più omogenei di persone, per provare a giungere a conclusioni più chiare.

A grandi linee, per quel che riguarda i consumi di grassi, possiamo ritenere valide le stesse raccomandazioni utilizzate in ambito cardiovascolare. E cioè: le soglie di consumo indicate dalle linee guida delle principali società scientifiche nazionali e internazionali, secondo cui il 20-25 per cento delle calorie giornaliere dovrebbe provenire dai grassi, non determinano un aumento della probabilità di sviluppare un tumore. A far oscillare questo rischio, piuttosto, è il tipo di alimenti, e dunque anche di grassi, considerando le differenze nei profili nutrizionali che si rilevano, per esempio, tra l’olio extravergine di oliva (su 100 g di prodotto, 99,9 sono grassi) e il burro (83,4 g su 100 g). A parità di energia fornita, infatti, l’effetto determinato dal consumo di olio extravergine di oliva è opposto a quello indotto dal burro. La presenza dell’acido oleico e di altre sostanze con proprietà antinfiammatorie, immunomodulanti e antiossidanti (acido maslinico, idrossitirosolo, oleuropeina, pinoresinolo, squalene) è possibilmente la ragione della riduzione del rischio di sviluppare il tumore del colon-retto che si rileva nelle persone che consumano regolarmente olio extravergine di oliva. Questa conclusione potrebbe valere anche per altre neoplasie, come mostrato dai risultati di una metanalisi pubblicata sulla rivista Plos One.

Bisogna inoltre evitare un eccesso di peso corporeo per ridurre il rischio di cancro, come afferma l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) su un articolo del 2016 pubblicato sul New England Journal of Medicine. Questo è infatti considerato ciò che lega la quota crescente di casi di cancro ai comportamenti adottati a tavola. L’aumento di peso, se fa diventare una persona obesa, fa crescere il rischio di sviluppare almeno 12 forme di cancro. Nello specifico, il rischio aumentato è per i tumori che colpiscono gli organi dell’apparato digerente (l’esofago, lo stomaco, il colon-retto, il fegato, il pancreas e la colecisti), oltre ai tumori del seno, dell’utero, dell’ovaio, della tiroide, del rene e della prostata. Come è descritto nell’approfondimento dedicato alla correlazione tra obesità e rischio oncologico, il contributo di questa relazione al rischio di cancro è ancora oggetto di studio e potrebbe anche rivelarsi più significativo di quanto già non sia.
In conclusione, per mantenere il peso nella norma, partendo dalla tavola, è importante:

  • Considerare l’apporto energetico della dieta più importante della scelta dei singoli alimenti;
  • Misurare le porzioni, senza sentirsi obbligati a consumare tutto ciò che è nel piatto;
  • Fare la spesa in maniera oculata, limitando a casi eccezionali l’acquisto di snack dolci e salati e di bevande gassate e zuccherate;
  • Consumare a ogni pasto alimenti ricchi di acqua e di fibra, come frutta e verdura;
  • Evitare di mangiare regolarmente piatti troppo elaborati o alimenti ultra-processati;
  • Prediligere il consumo di grassi di origine vegetale e, tra le fonti animali, il pesce rispetto alla carne e ai formaggi.
  • Fabio Di Todaro

    Laureato in scienze biologiche (biologia della nutrizione), è giornalista professionista e ha scritto per diverse testate nazionali. Dopo una lunga esperienza in Fondazione Umberto Veronesi, ha lavorato in RAI (TGR). Oltre che con Fondazione AIRC, attualmente collabora con i quotidiani La Repubblica, La Stampa e con il mensile AboutPharma. È membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis) e dell’associazione Science Writers in Italy (SWIM).
  • Articolo pubblicato il:

    10 aprile 2023