Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Nella storia dell’oncologia, l’idea di utilizzare le difese immunitarie dell’organismo per contrastare la crescita e la diffusione del tumore non è una novità assoluta: le prime ipotesi sul ruolo del sistema immunitario risalgono agli albori della ricerca sul cancro (vedi “Le tappe della ricerca sul cancro”). Per anni, però, la ricerca si è concentrata sulla cellula tumorale invece che su tutto quello che la circonda.
“Gli immunologi, e io mi metto in prima fila, non hanno mai creduto fino in fondo a questa visione” afferma Alberto Mantovani, direttore scientifico della Fondazione Humanitas. “Abbiamo sempre pensato che anche il microambiente che circonda il tumore e i sistemi di difesa dell’organismo giocassero un ruolo di primo piano”.
Complici anche le sempre più numerose prove scientifiche a sostegno dell’idea e tecnologie più potenti, dal 2000 a oggi si è assistito a un cambio di paradigma e l’immunoterapia è diventata una delle star della cura del cancro, anche se per ora funziona (piuttosto bene) su una piccola percentuale di pazienti (dal 10 al 20 per cento di quelli trattati).
“In alcuni casi la sopravvivenza dei malati è passata dal 5 al 30 per cento, anche se è chiaro che non si possono generalizzare i risultati” spiega Michele Maio che all’Ospedale Le Scotte di Siena dirige il principale centro di immunoterapia dei tumori in Italia e, grazie al contributo di AIRC, conduce ricerche di assoluta avanguardia.
Nei prossimi anni l’oncologia vedrà l’arrivo di nuove terapie capaci di risvegliare il sistema immunitario per combattere il tumore dall'interno. Le sfide? Sono principalmente due: capire esattamente quali pazienti beneficiano di questo approccio terapeutico e valutare, insieme ai sistemi sanitari nazionali, come affrontare il problema dei costi.
L’acronimo deriva dall’inglese Chimeric Antigen Receptor T-cell (cellule CAR-T). Si tratta di un procedimento complesso con cui alcune cellule del sistema immunitario di un paziente con tumore vengono prelevate e geneticamente modificate per riconoscere la cellula maligna. In seguito vengono reinfuse nello stesso paziente per combattere la malattia. La prima terapia CAR-T è stata approvata in Europa nel 2018 e ha sollevato grandi speranze ma anche discussioni: si tratta di una metodologia che può provocare effetti collaterali anche pesanti, che richiede il ricovero in terapia intensiva (ma bisogna ricordare che viene usata su pazienti per i quali non ci sono alternative) e che è estremamente costosa (circa 400.000 euro a trattamento), tanto che il sistema sanitario britannico ha deciso di non rimborsarla, ritenendo il suo costo non sostenibile per la collettività.