Ultimo aggiornamento: 7 febbraio 2025
Titolo originale dell'articolo: Pathogenic mitochondrial DNA variants are associated with response to anti-VEGF therapy in ovarian cancer PDX models
Titolo della rivista: Journal of Experimental & Clinical Cancer Research
Data di pubblicazione originale: 1 dicembre 2024
Alcuni tumori all’ovaio sono più dipendenti dal metabolismo del glucosio di altri e forse per questo anche più vulnerabili alla terapia anti-angiogenica. Alcune mutazioni del DNA mitocondriale potrebbero aiutare a prevedere questa associazione nelle pazienti, aumentando così l’efficacia della cura con bevacizumab.
Da tempo parte della comunità scientifica è alla ricerca di nuovi strumenti per selezionare in anticipo le pazienti con tumore all’ovaio che potrebbero beneficiare di più del trattamento con il bevacizumab, un farmaco anti-angiogenico, che cioè ostacola la formazione di vasi sanguigni nei tumori. Individuare marcatori la cui presenza possa aiutare a predire la risposta a questa terapia sarebbe importante perché si potrebbe usare il farmaco solo nelle pazienti a cui è utile, aumentandone l’efficacia. Inoltre, si ridurrebbero sia gli effetti collaterali per chi non se ne può giovare, sia i costi per i servizi sanitari. Specifiche mutazioni del DNA mitocondriale potrebbero essere una soluzione. È quanto è emerso dai risultati di uno studio condotto in animali di laboratorio con tumore all’ovaio, con il sostegno di Fondazione AIRC. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research.
“Una ventina di anni fa avevamo riposto grandi speranze nelle terapie anti-angiogeniche, ma purtroppo i risultati nei pazienti sono stati meno brillanti di quanto non si fosse osservato negli studi con gli animali” dice Stefano Indraccolo, dell’Università di Padova e dell’Istituto oncologico veneto IOV-IRCCS, che ha coordinato lo studio. Per quanto riguarda il tumore all’ovaio, in particolare, una delle opzioni di cura prevede che il bevacizumab sia somministrato insieme alla chemioterapia. Tuttavia, il trattamento anti-angiogenico, pur tenendo sotto controllo la malattia, non sembra aumentare in modo significativo la sopravvivenza generale, il parametro che al meglio rappresenta l’efficacia di una terapia. “Abbiamo sempre avuto l’impressione che un sottogruppo di pazienti avrebbe potuto trarre un particolare beneficio dal bevacizumab, ma non abbiamo mai capito come identificarlo” commenta Indraccolo. Per trovare una risposta, il gruppo di ricerca ha deciso di focalizzarsi sulle dinamiche che coinvolgono il metabolismo del glucosio, uno zucchero che rappresenta un’importante fonte di nutrimento per l’organismo e soprattutto per le cellule tumorali.
Nel 2011, in animali di laboratorio con tumore all’ovaio, il gruppo di Indraccolo ha osservato che le terapie anti-angiogeniche riducono i livelli di glucosio, perché contrastano la formazione di vasi sanguigni che permettono che i nutrienti raggiungano le cellule neoplastiche. I risultati erano stati pubblicati sulla rivista Cancer Research. In seguito, “con questo studio abbiamo cercato di comprendere quale fosse l’identikit delle cellule tumorali che sono tanto dipendenti dallo zucchero, partendo dallo studio del DNA mitocondriale” spiega Indraccolo. Oltre al genoma custodito nel nucleo, ne esiste un altro tipo nei mitocondri, gli organelli che si occupano di produrre energia nelle cellule. Il DNA mitocondriale regola diversi aspetti metabolici nelle cellule sane, ma può anche influire sullo sviluppo neoplastico e sulla risposta alle terapie anti-angiogeniche, come hanno mostrato i ricercatori.
Secondo i risultati dello studio, animali di laboratorio con tumore all’ovaio presentano alti livelli di mutazioni del DNA mitocondriale e alcune di queste alterazioni sono associate a una migliore risposta al bevacizumab. “Le cellule con specifiche alterazioni di DNA mitocondriale sono più vulnerabili all’azione farmaci anti-angiogenici” continua Indraccolo. “È come se queste cellule fossero molto dipendenti da un nutriente, il glucosio, e non fossero in grado di cambiare alimentazione quando la terapia con bevacizumab ne ostacola il rifornimento.” In virtù di questa associazione, tali alterazioni del DNA mitocondriali potrebbero aiutare a individuare le pazienti con tumore all’ovaio che traggono maggiore vantaggio dai farmaci anti-angiogenici.
“Nei prossimi mesi inizieremo a valutare i nuovi biomarcatori in uno studio che coinvolge le pazienti. Prima valuteremo se e quanto sono presenti tali mutazioni, e poi se sono associate all’efficacia del trattamento.” Come sottolinea Indraccolo, in questo studio i ricercatori hanno analizzato in dettaglio la risposta alla sola terapia anti-angiogenica con bevacizumab. Nella pratica clinica, tuttavia, il tumore all’ovaio viene trattato anche con altri farmaci. Bisognerà dunque comprendere come varia il ruolo delle mutazioni di DNA mitocondriale in risposta a diverse combinazioni terapeutiche, al di fuori dei limiti di ciò che si osserva negli esperimenti di laboratorio.
Camilla Fiz