Ultimo aggiornamento: 6 novembre 2024
Titolo originale dell'articolo: Prostate cancer incidence and mortality in Europe and implications for screening activities: population-based study
Titolo della rivista: The British Medical Journal
Data di pubblicazione originale: 4 settembre 2024
Secondo un recente studio sostenuto da AIRC, il fenomeno della sovradiagnosi dei tumori della prostata è diffuso in tutta Europa e i problemi che ne derivano potrebbero essere in gran parte evitati se il test del PSA fosse eseguito soltanto in persone con determinati sintomi e familiarità per la neoplasia.
In Europa, il tumore alla prostata è diagnosticato molto più spesso di quanto sarebbe necessario, soprattutto a causa dell’eccessivo ricorso al test del PSA. È quanto emerge da una recente analisi sull’andamento dell’incidenza di questo tipo di neoplasia e della sua mortalità tra il 1980 e il 2017 in 26 Paesi europei. Luigino Dal Maso, del Centro di riferimento oncologico (CRO) di Aviano in Friuli-Venezia Giulia, ha collaborato allo studio con il sostegno di AIRC. Commenta: “La sovradiagnosi è il fenomeno per cui vengono identificate patologie che non avrebbero mai causato sintomi o messo a rischio la vita dei pazienti”. Si tratta di un problema noto, che per le persone coinvolte comporta procedure ed esami invasivi, terapie con effetti collaterali e ansia, apprensione e disagio per pazienti e famiglie. I risultati, pubblicati sul British Medical Journal, sono stati raccolti grazie alla collaborazione dei ricercatori di diversi centri di ricerca internazionali, tra cui, oltre al CRO di Aviano, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione, in Francia, e l’Università Sun Yat-Set di Canton, in Cina.
Il gruppo di ricerca ha confermato il fenomeno della sovradiagnosi di cancro alla prostata osservando la grande differenza tra il numero di nuove diagnosi e il numero di decessi. Secondo i dati, dagli anni Novanta in poi l’incidenza per questo tipo di neoplasia sarebbe aumentata in modo graduale nella quasi totalità dei Paesi europei, raggiungendo un picco nei primi anni Duemila. Tuttavia nello stesso periodo la mortalità, che è sempre stata bassa, non è diminuita in modo proporzionale: ha subito soltanto una lieve decrescita. La situazione in Italia è in linea con la Spagna, la Slovenia, la Repubblica Ceca e altri Paesi, dove il numero di nuove diagnosi non ha mai superato i 200 casi ogni 100.000 abitanti, e quello dei decessi è rimasto inferiore ai 50. Inoltre, in diversi Paesi i ricercatori hanno osservato un’associazione tra l’aumento del numero di diagnosi e il ricorso al test del PSA.
In genere questo esame non è indicato come screening per diagnosi precoce per la popolazione generale, dato che in questo senso i suoi risultati sono poco affidabili. Di conseguenza il PSA non è utilizzato come esame di screening in nessun Paese europeo, a eccezione della Lituania. In Italia è in genere consigliato solo agli uomini tra i 50 e i 70 anni con casi di tumore alla prostata in famiglia o che manifestano specifici sintomi, come difficoltà a urinare o tracce di sangue nell’urina e nello sperma. Il fatto che il test del PSA possa essere eseguito con un semplice esame del sangue può però invogliare anche persone prive di tali indicazioni o sintomi a effettuarlo comunque. Quando i risultati del PSA mostrano che l’antigene prostatico specifico (PSA) è presente in concentrazioni tra 3 e 10 nanogrammi per millilitro, è possibile che vi sia un tumore alla prostata, la cui effettiva presenza deve però essere confermata o esclusa con la biopsia; “Bisogna però considerare che livelli elevati di PSA possono essere associati anche ad altre condizioni, che sono benigne” spiega Dal Maso. Un PSA elevato può infatti essere presente anche in caso di infezioni, di infiammazioni e di iperplasia prostatica e non di tumore. “Inoltre, i livelli di PSA sono molto variabili e possono cambiare a seconda del laboratorio in cui viene svolto l’esame o per altri fattori, come l’aggressività della malattia, l’età e lo stile di vita dei pazienti.”
L’insieme di questi fattori di incertezza produce numerosi risultati falsi positivi e casi di sovradiagnosi, con esiti che indicano la presenza di un tumore in realtà non presente o indolente e non pericoloso. E questo può comportare diversi effetti collaterali, da un importante stress psicologico per pazienti e familiari a quelli che derivano dagli accertamenti invasivi che in genere seguono un PSA positivo quale la biopsia prostatica (come il rischio di emorragie e infezioni). Infine, qualora un tumore sia effettivamente presente, è possibile che venga curato con terapie aggressive, esponendo i pazienti a un sovratrattamento con il rischio di ulteriori complicazioni, talvolta anche a fronte di un cancro indolente, per cui sarebbe bastato un monitoraggio frequente.
Per migliorare la situazione, l’Unione europea sta mettendo a punto lo Europe’s Beating Cancer Plan. L’obiettivo del piano è definire raccomandazioni aggiornate su una nuova strategia di controllo del tumore alla prostata, che prevedano di svolgere una risonanza magnetica multiparametrica alle persone con un valore elevato di PSA. In questo modo si limiterebbero gli effetti collaterali della biopsia e i conseguenti danni della sovradiagnosi alle sole persone la cui risonanza avesse esito positivo. Dal Maso, però, ricorda che si tratta di un esame complesso e costoso, la cui utilità a fini di diagnosi precoce dovrà essere studiata e valutata attentamente. Poiché le risorse pubbliche sono limitate, “il rischio è di generare disparità di trattamento tra chi potrà permettersi trattamenti privati a pagamento e chi non potrà farlo” conclude il ricercatore. “Per il momento, le persone dovrebbero valutare con il proprio medico l’opportunità di svolgere il test del PSA e la frequenza con cui eventualmente ripeterlo.”
Camilla Fiz