Ultimo aggiornamento: 25 settembre 2023
Titolo originale dell'articolo: Pre-existing immunity drives the response to neoadjuvant chemotherapy in esophageal adenocarcinoma
Titolo della rivista: Cancer Research
Data di pubblicazione originale: 23 giugno 2023
Analizzare il microambiente tumorale può aiutare a prevedere la risposta alla chemioterapia nei pazienti con adenocarcinoma esofageo, così da rendere più mirate le terapie.
L’incidenza nei Paesi occidentali dell’adenocarcinoma all’esofago è aumentata in modo significativo negli ultimi 40 anni. In genere il percorso di cura per questa malattia inizia con la terapia neoadiuvante, termine con cui si intende la chemio- o radioterapia che precede l’operazione chirurgica, seguita dalla rimozione del tumore. Se i pazienti rispondono in modo completo alla chemioterapia neoadiuvante e procedono con le cure, hanno probabilità maggiori di sopravvivere a 5 anni dalla diagnosi rispetto ai pazienti, ma questo accade soltanto nel 30 per cento dei casi. Per gestire al meglio i trattamenti sarebbe quindi necessario comprendere che cosa determina una diversa risposta nei pazienti.
Il gruppo di ricerca diretto da Giuseppina Arbore presso l’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano ha scoperto di recente che studiare il microambiente tumorale dei pazienti, cioè l’ambiente che circonda le cellule neoplastiche, potrebbe aiutare proprio a prevedere l’efficacia della chemioterapia neoadiuvante. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Cancer Research, grazie anche al sostegno di AIRC.
L’analisi è stata condotta su 34 pazienti con adenocarcinoma esofageo in cura presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Milano dal 2017 al 2021. Prima di somministrare le terapie, i ricercatori hanno prelevato una porzione di tessuto tumorale per analizzare diversi parametri, come la composizione del microambiente tumorale, la risposta antitumorale del sistema immunitario, il profilo molecolare e la disposizione delle cellule nel campione. In seguito i pazienti sono stati sottoposti alla chemioterapia neoadiuvante, a volte con l’aggiunta della radioterapia, e i ricercatori li hanno successivamente suddivisi in gruppi in base al grado di risposta (completo, parziale o nullo).
Confrontando i tessuti estratti dai pazienti che avevano avuto risposte nulle o complete, gli scienziati hanno rilevato differenze nel microambiente tumorale. In particolare, i pazienti che avevano risposto in modo completo presentavano una maggiore attività antitumorale del sistema immunitario. Sono stati infatti registrati concentrazioni più alte di linfociti T citotossici, cellule del sistema immunitario potenzialmente in grado di distruggere le cellule tumorali. In sostanza, il loro microambiente tumorale era più preparato a contrastare l’adenocarcinoma, in un modo che favoriva l’efficacia della chemioterapia neoadiuvante. Invece, nei pazienti che non avevano risposto alla chemioterapia neoadiuvante sono stati registrati livelli più alti di cellule pro-tumorali che inibiscono la funzione di “killer dei tumori” dei linfociti T citotossici. Inoltre, questi tumori producono delle proteine che favoriscono la sopravvivenza delle cellule tumorali e la formazione di metastasi.
Per aumentare la significatività statistica di questi risultati, i ricercatori li hanno confrontati con i dati ottenuti da campioni di altri 34 pazienti con lo stesso tipo di tumore, raccolti e analizzati in precedenza all’interno della stessa struttura ospedaliera. Nell’insieme, sono state confermate la presenza di un maggior numero di linfociti T citotossici e un minor numero di cellule pro-tumorali nei pazienti con risposta completa alla chemioterapia neoadiuvante rispetto a quelli con risposta nulla.
Se questi risultati saranno confermati in studi più ampi, in futuro l’analisi del sistema immunitario nel microambiente tumorale dei pazienti potrebbe aiutare i medici a selezionare meglio i pazienti che potrebbero beneficiare di più dalle terapie neoadiuvanti. E coloro che rischiano di non rispondere alla chemioterapia neoadiuvante potrebbero essere trattati (anche o solo) con l’immunoterapia. Per ora sul fronte dell’immunoterapia sono stati ottenuti buoni risultati in alcuni pazienti con adenocarcinoma esofageo, ma sono ancora tutti da confermare in sperimentazioni più ampie.
Camilla Fiz