Dentro il microbiota il messaggio che favorisce l’immunoterapia

Ultimo aggiornamento: 11 aprile 2025

Dentro il microbiota il messaggio che favorisce l’immunoterapia

Titolo originale dell'articolo: Longitudinal analysis of the gut microbiota during anti-PD-1 therapy reveals stable microbial features of response in melanoma patients

Titolo della rivista: Cell Host and Microbe

Data di pubblicazione originale: 13 novembre 2024

Il microbiota di alcuni pazienti con melanoma contiene alcuni peptidi che facilitano il riconoscimento del tumore da parte del sistema immunitario. La scoperta dei ricercatori sostenuti da AIRC apre nuove possibilità di diagnosi e cura.

Alcune persone con melanoma reagiscono meglio all’immunoterapia con inibitori dei checkpoint immunitari anche perché nel loro microbiota sono presenti alcuni peptidi, detti FLach. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Cell Host and Microbe, contribuiscono anche a chiarire perché gli inibitori dei check-point immunitari sono una cura valida per molti pazienti con melanoma che non possono ricorrere alla rimozione chirurgica del tumore, ma non sono efficaci per tutti. “Abbiamo bisogno di capire quali casi hanno maggiori o minori probabilità di rispondere all’immunoterapia” afferma Luigi Nezi, che ha coordinato il gruppo di ricerca, presso l’Istituto europeo di oncologia (IEO) a Milano, grazie al sostegno di AIRC. Queste informazioni potrebbero permettere di evitare gli effetti collaterali di tali terapie a coloro che non ne trarrebbero alcun vantaggio e potrebbero aiutare a sviluppare nuovi approcci per aumentarne l’efficacia.

Per raggiungere questi obiettivi, il gruppo di ricerca si è focalizzato sullo studio del microbiota intestinale, l’insieme di microrganismi che vivono nel nostro intestino. Oltre a regolare il metabolismo e numerose funzioni biologiche, è sempre più riconosciuta la loro capacità di influenzare l’attività del sistema immunitario e la risposta all’immunoterapia. Nel 2017, mentre stava svolgendo un post-dottorato all’MD Anderson Cancer Center, negli Stati Uniti, Nezi ha partecipato a un importante studio al riguardo. “Abbiamo osservato che il microbiota intestinale dei pazienti con melanoma conteneva alcuni elementi che favorivano la risposta del tumore all’immunoterapia” afferma il ricercatore. Negli anni successivi questi risultati sono stati confermati grazie ad altri studi clinici, senza che però si riuscisse a comprendere con precisione la causa di tale vantaggio. “Negli studi precedenti, la composizione del microbiota è stata soprattutto analizzata prima del trattamento. Invece, in questo studio abbiamo deciso di monitorarla anche durante la terapia” spiega Nezi. “Abbiamo pensato che se il microbiota è così essenziale nel determinarne la risposta, il fattore che conferisce un vantaggio deve essere presente proprio quando avviene la risposta agli inibitori dei check-point.”

Il gruppo ha quindi coinvolto 23 pazienti con melanoma che hanno risposto in modi diversi agli inibitori dei check-point. I ricercatori hanno anche analizzato il microbiota intestinale e l’attività del sistema immunitario per più di un anno durante il percorso clinico. Sono emersi due fattori principali nei pazienti che hanno tratto vantaggio dalla terapia rispetto agli altri. Il primo è la stabilità delle popolazioni batteriche nei pazienti che rispondono meglio, la seconda è la presenza di particolari frammenti di proteine batteriche, detti peptidi FLach, con una struttura simile a quella di alcune proteine tumorali. “È come se le cellule del sistema immunitario dei pazienti che rispondono alla terapia avessero già conosciuto alcuni aspetti del tumore e quindi riuscissero a contrastarlo meglio” commenta Nezi. Dunque, si tratta di un’azione sinergica per cui la terapia con inibitori dei check-point innesca l’azione antitumorale del sistema immunitario che, a sua volta, viene resa più efficace dalla presenza di specifici peptidi batterici. Quando i FLach non sono presenti, invece, l’effetto della sola immunoterapia potrebbe non bastare per contrastare la malattia.

Da un lato questa scoperta apre la possibilità di prevedere la risposta all’immunoterapia di ciascun paziente da un semplice test sul sangue, dall’altro prospetta applicazioni terapeutiche per coloro che non traggono ancora benefici dalla cura. I ricercatori hanno infatti trattato con il peptide le cellule del sistema immunitario di 4 pazienti con melanoma, in laboratorio, prima di somministrare l’immunoterapia. Una volta ricevuto il trattamento, “le cellule che erano state stimolate uccidevano il tumore in modo molto più efficace di quelle che non avevano ricevuto i peptidi” spiega Nezi, e conclude: “La nostra speranza è che i peptidi non vengano soltanto usati per distinguere le risposte dei pazienti all’immunoterapia, ma anche per aumentarne l’efficacia contro il melanoma e, si spera, altri tipi di tumore.” Obiettivi che il gruppo di ricerca sta perseguendo tramite collaborazioni interne allo IEO e con altri gruppi di ricerca italiani e internazionali.

  • Camilla Fiz

    Scrive e svolge attività di ricerca nell’ambito della comunicazione della scienza. Proviene da una formazione in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi è PhD student in Science, Technology, Innovation and Media studies presso l’Università di Padova e collabora con diversi enti esterni. Il suo sito: https://camillafiz.wordpress.com/