Chiara Riganti desiderava diventare una ricercatrice sin dal liceo e ha scelto di studiare i tumori durante il suo corso di studi in medicina, mentre faceva le prime esperienze nei reparti di oncologia, neurologia ed ematologia. Si è poi focalizzata sulla ricerca di base, lo studio dei meccanismi biologici, un’attività che oggi affianca alla didattica, tra le aule e i laboratori dell’Università degli studi di Torino.
Perché hai preferito la ricerca di base, più teorica, a quella applicata?
All’università mi sono resa conto che ero interessata soprattutto a comprendere i meccanismi che portano alla formazione di un tumore, che rendono efficace un trattamento o che fanno sì che alcuni pazienti rispondano a una terapia e altri no. Per approfondire questi aspetti mi sono specializzata in biochimica.
La ricerca di base dà tante soddisfazioni. Capire un meccanismo ancora sconosciuto non dà alcun riscontro immediato in termini né economici né applicativi, però può porre le basi per ulteriori risultati che nel tempo potrebbero offrire benefici importanti per i pazienti. Dietro a ogni trattamento oggi esistente ci sono anni e anni di ricerca di base, molto spesso interdisciplinare – conoscenze biomediche, fisiche, chimiche, farmaceutiche e altre ancora sono necessarie per sviluppare qualunque farmaco moderno. AIRC fornisce un sostegno essenziale a diversi medici e scienziati che desiderano studiare il cancro e trovare soluzioni efficaci contro questa complessa malattia, e questo è fondamentale per il progresso della ricerca.
Hai svolto parte del tuo percorso anche all’estero. È stata un’ispirazione per il tuo lavoro?
Assolutamente sì. A spingermi all’estero è stato proprio il desiderio di acquisire nuove tecniche e competenze, o anche semplicemente diversi modi di pensare, di concepire la ricerca, per poi riportare queste conoscenze in Italia e applicarle nel mio laboratorio.
Cosa studi oggi?
Al momento mi occupo di tumore del polmone, e in particolare di carcinoma polmonare non a piccole cellule, uno dei tipi di cancro più frequenti in Italia. Negli ultimi anni ci sono stati progressi nel trattamento e nella classificazione diagnostica di questo tipo di cancro, che hanno reso possibile mettere a punto terapie più mirate e precise. Ma c'è ancora tanto da fare, perché molti pazienti non rispondono ai trattamenti oggi disponibili. Nel mio laboratorio cerchiamo di conoscere meglio i meccanismi metabolici e molecolari a causa dei quali alcuni pazienti non rispondono alla chemioterapia e all’immunoterapia. È come se questi tumori fossero delle fortezze, ma c’è sempre un possibile punto debole, e il nostro obiettivo è identificarlo. Così, potremo individuare delle opportunità. Per esempio, grazie a queste conoscenze potremmo progettare farmaci mirati che, combinati con la chemioterapia o l’immunoterapia, potrebbero migliorare la risposta nei pazienti che non rispondono a questi trattamenti.
I risultati che state ottenendo sono promettenti?
Sono sostenuta da AIRC da oltre quindici anni, e prima che di cancro del polmone mi sono occupata anche di tumore mammario, osteosarcoma, glioblastoma – il filo conduttore comune è sempre stato la resistenza alle terapie. Abbiamo fatto alcune scoperte significative per questi tipi di cancro. Mattoncino dopo mattoncino, collaborando con altri gruppi con competenze diverse dalle nostre, queste scoperte si potranno tradurre in studi per la sperimentazione di possibili terapie. Ne vedremo i frutti tra qualche anno.
Come sei cambiata come ricercatrice in questi anni?
In verità, negli ultimi anni ho rivestito la doppia veste di ricercatrice e di paziente, perché tempo fa sono stata in cura per un tumore. L’abbiamo scoperto in modo casuale, quando era ancora precoce, perché dato che lavoro nel campo sono molto attenta alla prevenzione e a eseguire gli esami di screening. Questo mi ha fatto capire ancora di più l’importanza delle iniziative che promuovono la prevenzione e la diagnosi precoce, come quelle di AIRC. E sono sempre contenta di prendervi parte: per esempio, mi capita spesso di andare nelle scuole a sensibilizzare i ragazzini su questo tema. Poi c’è stato un episodio che mi ha fatto realizzare ancora di più l’importanza del sostegno che AIRC dà alla ricerca, sia a quella di base sia quella preclinica e quella clinica, creando una rete tra ricercatori che hanno l’obiettivo comune di migliorare la vita delle persone. A mia insaputa, l’oncologo e il chirurgo a cui mi ero rivolta per il mio tumore erano ricercatori sostenuti da AIRC: l’ho scoperto per caso qualche anno fa, in occasione della Cerimonia di apertura de “I Giorni della Ricerca”. Ci siamo incontrati di fronte al palazzo del Quirinale a Roma: è stata una bella sorpresa!
Infine, naturalmente, è aumentata la mia consapevolezza per le persone. Da medici-ricercatori, quando riceviamo un campione proveniente da un paziente, siamo subito portati a pensare alla ricerca, alla speranza di trovare dati interessanti e risultati prestigiosi. Dovremmo però sempre ricordare che dietro a quel campione c’è un paziente. Con le sue speranze, le sue angosce, i suoi momenti di paura e di sollievo. D’altronde, il nostro fine è sempre il benessere della persona che sta dietro al campione. Lavoreremo sempre per migliorare la sua diagnosi, la sua terapia, e la sua qualità di vita.
Chiara Riganti
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