Eduardo Bonavita, insieme al suo team di ricerca, si sta occupando del tumore al fegato. In particolare, di come una popolazione di cellule immunitarie possa influenzare lo sviluppo di questo tumore e la risposta ad alcune terapie.
È grazie ai sostenitori come te che Eduardo, e tanti altri ricercatori AIRC, possono dare continuità ai loro progetti di ricerca. Resta con noi! Affrontiamo il cancro. Insieme!
La mia avventura nel campo della ricerca medica ha avuto inizio a Salerno poco più di 15 anni fa. Subito dopo la laurea, ho iniziato un tirocinio presso il laboratorio Patologia dell’Università di Salerno, dove mi sono interessato all'immunologia dei tumori. Era il 2008 e nonostante le buone idee che avevamo, mancavano gli strumenti per realizzarle. Ad esempio, l’immunoterapia dei tumori non era ancora una realtà, dato che i primi farmaci inibitori dei checkpoint del sistema immunitario non erano stati ancora approvati per l’utilizzo clinico.
A quei tempi facevo la spola tra i laboratori di Salerno e quelli della Fondazione G. Pascale di Napoli, dove svolgevo alcuni studi con animali di laboratorio. Un pomeriggio mi fermai a Napoli per partecipare a un seminario tenuto dal Professor Alberto Mantovani. Dopo la sua presentazione, lo avvicinai per esprimergli il mio interesse nel fare un dottorato nel suo laboratorio. Mandai il curriculum, e dopo alcuni mesi di attesa, esattamente la vigilia di Natale del 2009 ricevetti una email in cui mi veniva proposta una borsa di studio di un anno presso Humanitas.
Appena qualche giorno più tardi, l’11 gennaio 2010, mi imbarcavo su un volo di sola andata per Milano, dove la mia permanenza è andata ben oltre l’anno previsto. Alla borsa di studio è seguito un dottorato, dedicato a studiare come i processi infiammatori possano favorire la crescita tumorale. Sono stati cinque anni molto positivi che mi hanno permesso di pubblicare due importanti articoli come primo autore su riviste molto prestigiose.
Grazie a queste credenziali ho avuto la possibilità di proseguire il mio lavoro scegliendo tra prestigiosi istituti in Europa e negli Stati Uniti. Ho optato per il Cancer Research UK Manchester Institute, nel Regno Unito. Qui mi sono dedicato allo studio di meccanismi in grado di condizionare la capacità del sistema immunitario di combattere i tumori. Abbiamo scoperto come la presenza di un particolare tipo di infiammazione ‘cattiva’, associata a specifici mediatori solubili, possa aiutare a predire una scarsa risposta dei pazienti all’immunoterapia antitumorale.
Manchester è stato un capitolo fondamentale della mia carriera, ma durante la pandemia causata da SARS-CoV-2 ho cominciato a maturare la decisione di tornare in Italia. Ho quindi scritto un progetto di ricerca raccogliendo gli spunti maturati nel corso degli anni e ho deciso di concorrere al bando Start-Up di Fondazione AIRC, che mi ha consentito di tornare in Italia per avviare un mio laboratorio di ricerca.
Il rientro, dopo sei anni e mezzo, non è stato semplice. Durante la mia assenza erano cambiate molte cose: per esempio non avevo idea di cosa fosse lo Spid! E poi, nel 2021, in Gran Bretagna, era nata mia figlia, che per lo Stato italiano non esisteva ancora.
Mettere in piedi un nuovo gruppo di ricerca, barcamenandosi tra queste pratiche burocratiche, è stato veramente estenuante. A complicare il tutto, la coda della pandemia che ha ritardato, anche di molto, le forniture di reagenti. Oggi, finalmente, dopo un anno, siamo operativi. Al momento lavorano con me due studentesse di dottorato arruolate grazie al sostegno di AIRC.
Ci occupiamo di tumore al fegato. In particolare, di come una popolazione di cellule immunitarie possa influenzare lo sviluppo di questa neoplasia e la risposta ad alcune terapie. Si tratta di un tumore la cui incidenza è in crescita come conseguenza di un'alimentazione poco salutare. Il progetto trae spunto dal fatto che alcuni tumori, come quello del fegato, sono infiltrati da una particolare popolazione di cellule immunitarie, dette cellule dendritiche, le quali sono indispensabili a indirizzare la risposta immunitaria verso il bersaglio più appropriato.
Esistono diverse sottopopolazioni di queste cellule e noi andremo a vedere qual è il rapporto tra un particolare tipo che esprime il recettore per le chemochine CCR7, il tumore al fegato e la risposta all’immunoterapia. Ci aspettiamo che queste cellule svolgano un ruolo chiave nel controllo tumorale e nella risposta alla terapia antitumorale e che in loro assenza il tumore tenda a prendere il sopravvento. Al momento la considero una “ricerca fondamentale”, dedicata cioè a comprendere i meccanismi alla base della malattia e della risposta alla terapia. Non escludo, però, che lo studio possa avere in futuro importanti ricadute cliniche.
Eduardo Bonavita
Università:
Humanitas Research Hospital
Articolo pubblicato il:
30 maggio 2023