Ultimo aggiornamento: 17 giugno 2021
Quando si perde una persona cara (e non solo un parente) le reazioni sono diverse per ognuno di noi, così come lo sono le fasi di elaborazione del lutto. Anche le modalità di adattamento dipendono da fattori specifici. Attenzione, però, alle forme di lutto patologico
Nell’ultimo anno, anche a causa della pandemia, i media hanno cominciato a parlare più apertamente della perdita di persone care e della gestione del lutto da parte dei familiari e degli amici di chi ci ha lasciato. Una sorta di tabù è stato infranto a causa di circostanze eccezionali.
“Esiste, in ogni cultura, una gerarchia della gravità dei lutti, stabilita in funzione dell’importanza attribuita a ogni relazione. Siamo, naturalmente, nell’ambito delle norme non scritte, e anche non dette, che tuttavia condizionano gli individui” scrive la filosofa e tanatologa (esperta di temi legati al lutto e alla morte) Marina Sozzi, autrice di numerosi libri sul tema e responsabile del sito “Si può dire morte”, nel quale sviscera gli aspetti sociali, culturali e psicologici del distacco dalle persone care. E nella gerarchia dei lutti “legittimi” ci sono innanzitutto quelli per le morti di figli, genitori e familiari stretti, mentre si riconosce meno il diritto alla sofferenza legata alla perdita di una persona cara con la quale non ci sono relazioni familiari, come gli amici. Ma il dolore segue le leggi del cuore e non quelle della forma: sono molti gli amici che, nel caso di malattie lunghe e faticose come il cancro, sono vicini ai pazienti quanto i familiari, e soffrono delle conseguenze del lutto, a volte con minore supporto proprio perché si tratta di un dolore non riconosciuto.
“Come società scientifica internazionale che si occupa di psiconcologia e che guida gli operatori del settore, raccomandiamo di offrire assistenza a tutti coloro che hanno voluto bene a chi ha perso la battaglia contro la malattia, senza badare ai legami formali” spiega Jane Turner, Università del Queensland, in Australia, presidente della International Psycho Oncology Society. “Spesso gli amici e i colleghi riescono, per primi, a reagire in modo costruttivo alla perdita, dedicando tempo al volontariato nel nome della persona scomparsa oppure creando fondazioni, promuovendo raccolte fondi e altre attività che ne tengano viva la memoria. Molte famiglie aderiscono con piacere a questo tipo di iniziativa che agisce nel segno della continuità e della vita.”
Nell’affrontare un lutto bisogna però evitare di adeguarsi alle aspettative degli altri su come si dovrebbe reagire, soprattutto se non le si sente proprie. Film e libri esaltano spesso i gesti altruistici nel nome del defunto quale momento di accettazione e cura del dolore della perdita, ma non per tutti è così, né si può forzare il proprio stato d’animo. “Non è vero che esistono fasi prefissate del lutto, o tempi ‘normali’ per sentirsi tristi e poi per accettare la perdita” continua Turner. “Ognuno reagisce a modo proprio, con tempi propri.”
Ecco perché i diversi sentimenti legati alla perdita possono comparire in fasi diverse, convivere o persino non comparire affatto. “La durata di un lutto è quanto di più personale esista e anche la psicologia ne ha preso atto” spiega ancora Turner. “Il punto essenziale è accorgersi quando da normale il lutto diventa patologico, ovvero interferisce con il proseguimento della vita di chi è rimasto.”
In capo a due o tre mesi è comune riuscire nuovamente a lavorare o studiare con una discreta efficienza, o ad avere una vita sociale, seppure limitata alle persone più care. Se la depressione e il senso di vuoto proseguono più a lungo, è necessario chiedere aiuto. In Italia, la maggior parte dei centri di oncologia offre assistenza psicologica anche a chi ha perso un familiare o amico, in genere attraverso incontri di gruppo ma, in casi particolari, anche con sedute di sostegno individuali.
“La necessità di ricorrere a un sostegno professionale è aumentata, nell’ultimo anno, anche tra i familiari di chi è mancato per malattie che non hanno nulla a che fare con il Covid-19” spiega ancora Turner. “Praticamente in tutto il mondo molti pazienti terminali sono morti lontani dalle famiglie per via delle restrizioni imposte alle visite ospedaliere. E i familiari faticano a elaborare un distacco particolarmente stressante e crudele anche per chi è rimasto. È una situazione anomala, alla quale bisogna dare una risposta professionale.”
Redazione