Vantaggio al femminile contro il cancro

Ultimo aggiornamento: 17 aprile 2025

Vantaggio al femminile contro il cancro

Con qualche eccezione, le donne tendono a sviluppare meno tumori e ad affrontarli meglio, con esiti più spesso positivi rispetto agli uomini. Ma la complessità è tanta.

Davanti al cancro non siamo tutti uguali. L’approccio sempre più personalizzato alla prevenzione e alla cura, ormai in tutti i campi della medicina, punta a riconoscere le differenze proprio per dare a ciascuno l’esito più favorevole possibile. In quest’ottica, un ruolo fondamentale hanno sesso e genere di ogni individuo.

La ricerca in questo campo è ancora agli albori, ma già disponiamo di dati sufficienti a capire che sia le differenze biologiche (da cui dipende il sesso di un individuo), sia quelle culturali (che ne connotano il genere), determinano una diversa probabilità tra uomini e donne sia di sviluppare alcuni tumori sia poi di sopravvivere alla malattia. In generale, escludendo i tumori tipicamente femminili (mammella, utero, ovaio), possiamo dire che l’incidenza e la mortalità per cancro, con poche eccezioni – tra cui il carcinoma della tiroide –, sono inferiori nelle donne rispetto agli uomini. “In media, nel corso della vita, la metà degli uomini, ma solo 1 donna su 3, ricevono una diagnosi di tumore, con una mortalità che nei maschi è il doppio che nelle femmine” dice la ricercatrice AIRC Carlotta Sacerdote, epidemiologa e docente di statistica medica presso l’Università del Piemonte Orientale. Ma le differenze non riguardano solo l’oncologia: “In media le donne vivono più a lungo, anche se in peggiori condizioni di salute. La vita media degli uomini in Italia prima della pandemia era infatti di 80,6 anni, mentre quella delle donne sfiorava gli 85. Le donne però si ammalano di più e consumano più medicinali” continua Sacerdote. “Sono anche ‘svantaggiate’ rispetto agli uomini perché più facilmente soggette a disoccupazione, difficoltà economiche e violenze. Se si considerano gli anni di vita trascorsi in buona salute, quindi, il vantaggio a favore delle donne diminuisce considerevolmente.”

L’impatto sul cancro

Più frequenti nel sesso femminile sono anche le reazioni avverse ai farmaci, come dimostra il fatto che 8 su 10 tra i farmaci ritirati dal mercato statunitense tra il 1997 e il 2000 provocavano effetti indesiderati più gravi tra le donne. Questo fenomeno può avere varie spiegazioni, ancora da approfondire. Potrebbe essere legato ad aspetti strettamente biologici, ma è anche possibile che subentrino fattori culturali legati al genere, per cui le donne percepiscono come disturbanti sintomi che gli uomini sono più disposti a ignorare, per esempio un senso di gonfiore addominale o la caduta dei capelli. Inoltre, i dosaggi della maggior parte dei medicinali non indicano valori diversi per uomini e donne, ignorando le fondamentali differenze nel metabolismo delle sostanze, nella massa corporea dell’individuo e nel suo tessuto adiposo. Tutti fattori che possono influire sulla distribuzione o l’accumulo dei farmaci. Questa trascuratezza può dipendere anche dal fatto che i medicinali sono stati testati a lungo solo sui maschi, così come solo maschi sono stati per molto tempo i partecipanti agli studi clinici.

La scelta di escludere dalle sperimentazioni le donne (soprattutto in età fertile) nasceva in parte dalla volontà di evitare rischi in caso di impreviste gravidanze, ma rispondeva anche ad altre esigenze pratiche dei ricercatori. Dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso si è incoraggiata sempre più l’inclusione delle donne nei trial clinici, ma ancora oggi capita che i risultati non siano valutati in maniera distinta o l’analisi dei dati disaggregati per sesso non sia effettuata in maniera adeguata, anche perché ciò richiede un numero di partecipanti molto più elevato, che fa lievitare ulteriormente i già stratosferici costi della ricerca clinica. Sono poi rarissimi i trial che includano persone trans, in cui sesso e genere sono discordanti, per provare a distinguere quante delle differenze riscontrate tra uomini e donne in termini di incidenza e prognosi dei tumori e di altre malattie dipende da fattori biologici e quanto invece da determinanti culturali, che comportano una diversa esposizione a fattori di rischio e una diversa attitudine a comportamenti e stili di vita.

Sesso e genere

Il sesso biologico determina, tra le altre cose, i livelli dei diversi ormoni, il tipo e l’intensità della risposta immunitaria e la capacità di metabolizzare farmaci e sostanze tossiche. Tutti aspetti che possono influire, da soli o in combinazione, sul rischio di ammalarsi o sulla risposta alle terapie.

Per le peculiarità del loro sistema immunitario, per esempio, le donne soffrono molto più spesso degli uomini di malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide o la sclerosi multipla. Reagiscono in maniera molto più vivace alle vaccinazioni, soprattutto a quella antinfluenzale, e ai trattamenti che stimolano il sistema immunitario. Viceversa, gli inibitori dei checkpoint immunitari, che hanno rivoluzionato la cura del melanoma e di altri tumori solidi, aumentano la sopravvivenza in entrambi i sessi, ma in media danno risultati migliori nei pazienti maschi.

Anche il genere, oltre al sesso, può incidere sul rischio di cancro. Per esempio, è diversa l’esposizione a fattori di rischio propri di determinate professioni più comuni tra uomini o donne. Inoltre, si registra una differenza anche per quanto riguarda gli stili di vita. Gli uomini tendenzialmente fumano di più e bevono più alcolici, mentre le donne, in media, sembrano avere una maggiore attitudine a mangiare sano, fare attività fisica, sottoporsi a controlli, informarsi e più in generale prendersi cura della propria salute. Va considerato, purtroppo, che in alcuni casi può verificarsi anche una diversa attenzione ai sintomi, più spesso etichettati come psicosomatici nelle donne. Il genere dell’individuo può influire perfino sulle scelte terapeutiche da parte del personale sanitario, che in alcuni casi sono risultate inconsciamente condizionate dal genere del o della paziente.

Un esempio di come sesso e genere possano influenzare il rischio di cancro ci viene dal tumore al polmone, che nell’80% dei casi è associato al fumo. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, le donne che fumavano erano un’eccezione, per cui il cancro al polmone era una malattia tipicamente maschile. Negli anni, la differenza tra il tasso di uomini e di donne che usano sigarette si è ridotta, e l’incidenza di cancro al polmone nel genere femminile è aumentata, ma conservando importanti differenze tra i sessi: “Una donna che fuma ha infatti una probabilità quasi 20 volte superiore di sviluppare un tumore polmonare rispetto a una coetanea che non fuma, mentre l’aumento del rischio in un uomo fumatore rispetto al non fumatore è sempre altissimo, ma minore, cioè circa di 13 volte” spiega la dottoressa Sacerdote. “A livello molecolare ciò si spiega con vari meccanismi: per esempio, le donne sembrano avere una maggiore predisposizione a sviluppare alterazioni genetiche del DNA indotte dai carcinogeni contenuti nel tabacco, ma anche una maggiore sensibilità ai meccanismi con cui la nicotina stimola la proliferazione delle cellule bronchiali.” La diagnosi di cancro al polmone coglie poi in genere le donne in un’età più giovanile rispetto alla controparte maschile, ma, per fortuna, in media, con una prognosi migliore.

Alle differenze genetiche di base tra uomini e donne si sommano quindi quelle epigenetiche indotte dall’ambiente e dagli stili di vita, che possono esprimersi e misurarsi anche guardando alla cosiddetta metilazione del DNA, che regola l’espressione dei diversi geni, protettivi o no. Anche qui sono state trovate centinaia di differenze tra maschi e femmine, legate a geni coinvolti in processi di sviluppo cruciali.

“Nel complesso, queste osservazioni sottolineano che, da un punto di vista biologico, il sesso dovrebbe essere considerato come un insieme diversificato di tratti continui, piuttosto che una semplice dicotomia maschio-femmina” conclude la ricercatrice, che con il suo gruppo, grazie al sostegno di AIRC, sta studiando la possibilità di sviluppare un sistema di punteggio per misurare la metilazione del DNA come indice di mascolinizzazione o femminilizzazione. “Questo approccio, invece della variabile unica dei due sessi, potrebbe permettere di catturare meglio le complesse interazioni tra i fattori di rischio tumorale, la regolazione mitocondriale e il rischio e la sopravvivenza al cancro.”

L’ideologia non c’entra: il ruolo di sesso e genere nello sviluppo del cancro e di altre malattie è solo una delle molteplici manifestazioni del complesso intreccio tra geni e ambiente, che determina il nostro rischio di ammalarci e la nostra capacità di rispondere alle cure, oltre che la nostra identità.

  • Roberta Villa