Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Da uno studio italiano arrivano risultati che potrebbero presto cambiare la pratica clinica, migliorando anche la qualità di vita delle donne.
Una notizia importante per le donne che dovranno affrontare l’intervento chirurgico per un tumore al seno intraepiteliale in stadio iniziale: per proteggerle dal rischio di recidive e dalla formazione di nuovi carcinomi all’altra mammella, il tamoxifene è efficace anche a basse dosi pari a 5 mg al giorno. Non solo: rispetto al dosaggio prescritto oggi di 20 mg al giorno, gli effetti collaterali sono molto ridotti e non c’è un aumento dei sintomi della menopausa come vampate di calore, secchezza vaginale e dolore durante i rapporti sessuali.
Risultati di grande rilievo ottenuti da un gruppo di ricercatori italiani guidati da Andrea De Censi, direttore della S.C. Oncologia medica dell’E.O. Ospedali Galliera di Genova, e presentati in Texas al San Antonio Breast Cancer Symposium, il più importante meeting internazionale sul carcinoma alla mammella, e riconosciuto dell’American Association for Cancer Research tra i quattro lavori più rappresentativi del congresso.
"Riteniamo che i nostri risultati possano cambiare la pratica clinica: le donne che hanno avuto un tumore in situ, con il basso dosaggio avranno una protezione efficace e una qualità di vita migliore" sottolinea De Censi.
Lo studio, condotto grazie al sostegno in primo luogo di AIRC e anche del Ministero della Salute e di LILT, ha coinvolto 500 donne con tumore mammario intraepiteliale (una forma che rappresenta circa il 20 per cento del totale) e ha dimostrato che il tamoxifene a 5 mg al giorno somministrato per tre anni, riduce del 52 per cento il rischio di recidiva e del 75 per cento il rischio di sviluppo di un tumore all’altro seno rispetto al placebo. Pone anche le basi per un possibile utilizzo del farmaco a basse dosi (ancora da verificare con nuove ricerche) come trattamento di prevenzione primaria nelle donne sane che hanno un alto rischio di sviluppare un tumore al seno, comprese le donne con mutazione di BRCA, quello conosciuto come il gene di Angelina Jolie.
Redazione