Ultimo aggiornamento: 2 marzo 2020
Il cosiddetto riposizionamento dei farmaci sta prendendo sempre più piede anche in oncologia, tagliando i tempi e i costi di produzione e portando spunti nuovi e inaspettati alla ricerca sul cancro.
A volte è possibile utilizzare farmaci già approvati per curare malattie diverse da quelle per cui erano stati creati. Si parla in questi casi di “repurposing” o riuso, e questa strategia, quando ha successo, permette di accorciare i tempi e i costi legati allo sviluppo di una nuova molecola, poiché almeno gli studi tossicologici e di sicurezza sono già stati completati e approvati. I risultati di uno studio da poco pubblicati sulla rivista Nature Cancer hanno dimostrato come alcune molecole già oggi in uso per patologie che con il cancro non hanno nulla a che fare possono essere efficaci anche in oncologia. Tra i tanti composti potenzialmente utili per la lotta contro i tumori ce ne sono alcuni davvero inaspettati: farmaci approvati per combattere il diabete, la dipendenza da alcol e addirittura l’artrosi nel cane.
Come ricordano gli autori dell’articolo, già in passato sono stati scoperti farmaci non oncologici capaci di combattere il cancro, ma quasi sempre per caso. Ora la situazione è profondamente cambiata e numerosi gruppi di ricerca nel mondo stanno lavorando in modo sistematico alla ricerca di nuovi ambiti d'utilizzo per vecchi farmaci, per riuscire a rispondere a esigenze ancora insoddisfatte dei pazienti oncologici.
Oggi gli scienziati hanno a disposizione strumenti molto complessi sia di tipo informatico sia sperimentale per analizzare i composti disponibili e un loro potenziale nuovo utilizzo. Nel caso della ricerca pubblicata, gli autori sono riusciti a studiare l’effetto di oltre 4.500 composti in quasi 600 linee cellulari tumorali umane, identificando decine di potenziali armi attive contro le cellule e aprendo così le porte a possibili nuove strategie di cura per i pazienti. Un lavoro che richiede, oltre a grandi competenze da parte dei ricercatori, metodi e tecniche specifici, come particolari approcci per valutare i risultati e “banche” che contengano migliaia di farmaci o composti noti dai quali partire per la ricerca.
Sapere che un farmaco già approvato è in grado di avere un effetto sulle cellule del tumore non è un punto di arrivo, ma piuttosto un punto di partenza lungo la via che porta dal laboratorio al letto del paziente. Gli ostacoli da superare nel percorso di repurposing sono numerosi, anche senza tener conto degli aspetti burocratici legati alla presenza di brevetti o all’approvazione finale dalle agenzie che regolano l’immissione dei farmaci sul mercato. Prima di portare uno di questi composti in clinica è infatti necessario essere sicuri, per esempio, che facciano effetto alle dosi che il paziente è in grado di tollerare e che i risultati che si osservano in laboratorio siano riscontrabili in uno studio clinico e poi nella vita reale.
Gli studi di repurposing possono avere anche altre conseguenze. In alcuni casi possono generare idee originali e spunti interessanti dai quali partire per sviluppare nuove strategie anticancro. In particolare, il lavoro di Nature Cancer ha suggerito nuovi potenziali bersagli molecolari e nuovi biomarcatori che potrebbero aiutare a predire la risposta a un determinato farmaco, sempre a patto che queste scoperte vengano poi confermate in studi successivi.
Agenzia Zoe