Ultimo aggiornamento: 25 aprile 2022
Il test per la ricerca di mutazioni nei geni BRCA1 e 2 è riservato a persone con caratteristiche precise. Uno studio fornisce nuove stime sulla relazione tra questi geni e il rischio di sviluppare diversi tipi di cancro, e suggerisce l’utilità di estendere il test genetico a una fascia di popolazione più ampia.
I geni BRCA1 e BRCA2, coinvolti nei meccanismi di riparazione del DNA, sono noti perché alcune loro forme mutate e a trasmissione ereditaria aumentano il rischio di sviluppare determinati tipi di cancro, in particolare alla mammella e all’ovaio. Ora i risultati di uno studio sostenuto anche da Fondazione AIRC, pubblicati sul Journal of Clinical Oncology, confermano che le forme mutate di questi geni sono associate anche a un rischio maggiore di sviluppare il cancro allo stomaco, al pancreas e, per BRCA2, alla prostata. I ricercatori del Dipartimento di medicina molecolare dell’Università La Sapienza di Roma, in collaborazione con scienziati dell’Università di Cambridge, partivano da conoscenze già acquisite: mutazioni di BRCA1 e BRCA2 erano già state associate allo sviluppo di tumori diversi da quelli della mammella e dell’ovaio, ma ancora non si era riusciti a quantificare quanto fosse significativo questo aumento di rischio. I dati ottenuti nel nuovo studio forniscono nuove stime e, al contempo, smentiscono alcune associazioni emerse in precedenza. I risultati ottenuti suggeriscono anche l’utilità di estendere a una popolazione più ampia i test genetici per la ricerca di mutazioni ereditarie in questi due geni, a oggi previsti solo in specifici casi selezionati secondo criteri individuali e familiari.
Nello studio sono stati stimati i rischi di ammalarsi di 22 tipi di cancro, diversi da quelli della mammella e dell’ovaio, associati a mutazioni ereditarie nei geni BRCA1 e BRCA2 in entrambi i sessi. Il campione dello studio è molto ampio, grazie alla collaborazione con il Consortium for Investigators of Modifiers of BRCA1/2 (CIMBA): si è partiti dai dati di oltre 5.000 famiglie con almeno un membro portatore di mutazioni in BRCA1 (3.184 casi) o in BRCA2 (2.157 casi). I risultati hanno confermato che le mutazioni in questi geni sono associate a una probabilità più alta di ammalarsi di cancro del pancreas e dello stomaco, così come di tumore alla mammella maschile. Proprio riguardo a quest’ultimo, per esempio, gli autori hanno calcolato che una mutazione in BRCA1 aumenta il rischio relativo di svilupparlo di circa 4 volte, rispetto a chi non è portatore. Se invece la mutazione è in BRCA2 il rischio aumenta molto di più, di oltre 40 volte.
Nei portatori maschi, inoltre, una mutazione in BRCA2 ma non in BRCA1 è associata a un aumento di rischio di tumore alla prostata, tale che le probabilità di sviluppare questo tumore entro gli 80 anni sarebbero pari a circa il 27 per cento superiori a chi non ha tale mutazione.
D’altro canto, sono state escluse alcune associazioni con altri tumori che erano invece state ipotizzate in studi precedenti, in particolare riguardo ad altri tumori genitourinari e al melanoma.
I ricercatori spiegano che i risultati sottolineano quanto sarebbe importante effettuare screening per la diagnosi precoce dei tumori del tratto gastrointestinale superiore nei portatori di queste mutazioni, soprattutto in alcune fasce d’età. Ritengono inoltre che si potrebbe invece rivedere la frequenza, sempre nei portatori di queste mutazioni, dei controlli preventivi per altri tipi di cancro, tra cui il melanoma. In questo modo si potrebbero ottimizzare le strategie di prevenzione e ridurre il carico di stress e ansia tra le persone che sanno di essere portatrici delle varie mutazioni.
Laura Ottini, dell’Università Sapienza di Roma, una delle coordinatrici dello studio, ha spiegato che i risultati suggeriscono di estendere a un pubblico più ampio i test genetici per identificare possibili mutazioni nei geni BRCA.
Come riportato nelle raccomandazioni 2021 dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), di norma i test genetici per BRCA1/2 vengono eseguiti per identificare i portatori di mutazioni in questi due geni. Tali mutazioni sono infatti associate a un rischio superiore alla norma di ammalarsi di cancro alla mammella, all’ovaio, al pancreas e alla prostata. I test permettono di stabilire un programma di prevenzione oppure di valutare l’efficacia di alcune terapie antitumorali nei pazienti colpiti da tali tumori.
Le persone vengono generalmente indirizzate verso il test per la ricerca di una mutazione ereditaria in base ad alcuni criteri, previsti dalle linee guida internazionali, che considerano la storia individuale e familiare, il tipo di tumore per cui vi è familiarità e l’età di insorgenza tra i membri della famiglia.
Nel corso del tempo gli esperti hanno cominciato a parlare anche della possibilità di uno screening genetico “generale” per BRCA1/2, rivolto a tutte le donne. Come spiegano i ricercatori dell'IFOM di Milano in un articolo apparso su Breast, studi recenti hanno dimostrato che eseguendo i test secondo le attuali linee guida una buona parte delle persone che presentano mutazioni che predispongono al rischio di tumore non viene identificata. Gli autori suggeriscono quindi non di testare chiunque, ma almeno chi ha già un caso di cancro in uno o più familiari, anche se non necessariamente tra i parenti più stretti. “Identificare una mutazione di BRCA1 o BRCA2 in una donna solo dopo che ha sviluppato il tumore è un fallimento della prevenzione oncologica” scrivono i ricercatori. “Pertanto, allo scopo di migliorare i programmi di screening per il cancro alla mammella e all’ovaio ereditari, l’estensione del test genetico per BCRA alle donne sane nella popolazione generale contribuirebbe sicuramente alla riduzione della mortalità e dell’impatto sociale di questa peculiare malattia genetica.” Secondo i ricercatori, uno screening simile porterebbe anche a una diminuzione dei costi sanitari.
Quello che manca, però, per poter estendere tale raccomandazione a tutte le donne, è il cosiddetto “number needed to test” (letteralmente, il numero di donne da testare per ogni vita salvata). Si tratta di un parametro importante per determinare se i costi economici e sociali sono giustificati.
Sottoporsi a un test di questo tipo, infatti, oltre a richiedere investimenti in strutture e laboratori, può avere diverse implicazioni, tra cui quelle psicologiche, da non sottovalutare. Un risultato positivo, e cioè l’identificazione di una mutazione pericolosa in BCRA1 o BRCA2, rende necessario partecipare ad alcuni screening prima del previsto e può mettere davanti a decisioni difficili, come quella di sottoporsi a chirurgia preventiva con l’asportazione di seno e ovaie, una scelta più comune negli Stati Uniti che in Italia. Inoltre sia i risultati del test sia le decisioni prese possono coinvolgere anche altri familiari, come figli e figlie, sorelle, madri.
È infine possibile che il risultato del test non sia conclusivo o che porti alla scoperta di una “variante di significato incerto” (VUS dall’inglese variant of uncertain significance), e cioè una mutazione il cui effetto non è certo. Tutti aspetti che la comunità medica ha ben chiari.
In considerazione di questi e di altri fattori, appare chiara l’importanza del counseling oncogenetico. I compiti degli specialisti in questo campo sono molteplici: ricostruiscono insieme alla persona interessata la storia clinica, forniscono le informazioni necessarie a capire che cosa significa sottoporsi a un test genetico, ne spiegano i pro e i contro, inclusi i limiti. Con le informazioni e il supporto forniti, questi specialisti aiutano l’individuo e la sua famiglia a decidere se sottoporsi al test. Inoltre, in caso di esito positivo, aiutano le persone coinvolte a comprendere i risultati e a valutare, insieme ai medici, le eventuali decisioni successive da prendere.
Agenzia ZOE