Ultimo aggiornamento: 14 settembre 2020
Da qualche anno la ricerca oncologica dedica particolare attenzione ai microrganismi che popolano l’intestino e che sembrano avere un ruolo di primo piano nella prevenzione e nella cura dei tumori.
Di microbiota intestinale, che una volta veniva comunemente chiamato “flora intestinale o flora batterica”, si è parlato e si continua a parlare molto, per una ragione più che valida: il ruolo fondamentale di questa comunità di microrganismi per la salute umana.
Non a caso la prestigiosa rivista Nature ha recentemente dedicato un report proprio ai microrganismi che compongono il microbiota, ai loro geni (definiti nel loro insieme “microbioma”), ai loro effetti su diversi aspetti della salute e della vita quotidiana, e anche all’interesse che hanno suscitato nella ricerca sul cancro e su altre patologie.
La ricerca sul legame tra microbiota e cancro è ancora agli inizi, ma procede a grandi passi, tanto che sono molti i microrganismi per i quali è già stata identificata una possibile associazione con lo sviluppo di tumori o, al contrario, con un rischio più basso di ammalarsi di cancro, o ancora con una maggiore efficacia delle terapie. Helycobacter pylori è uno dei più noti batteri associati allo sviluppo del cancro e in particolare del tumore dello stomaco, ma la lista dei “cattivi” ne comprende altri come Bacteroides fragilis, Fusobacterium nucleatum e un ceppo di Escherichia coli, tutti associati allo sviluppo di tumori dell’intestino.
Si tratta solo di alcuni esempi di un campo di ricerca in divenire e non certo semplice da affrontare. Lo sanno bene i ricercatori dell’International Cancer Microbiome Consortium, nato nel 2017 da una collaborazione tra accademici e medici, con l’obiettivo di promuovere la ricerca sul microbioma in oncologia, creare documenti di consenso degli esperti sull’argomento e fornire strumenti educativi sia per chi si occupa di ricerca oncologica sia per chi affronta ogni giorno il cancro come clinico.
Del resto, i dati oggi disponibili non permettono neppure di definire con certezza cosa si intende con l’espressione “microbiota sano”. “Stiamo iniziando ora ad avere una prima percezione di quali siano gli attori coinvolti in questo scenario, ma c’è ancora una considerevole quantità di ‘materia oscura’ da esplorare” spiega a Nature Jeroen Raes, bioinformatico all’Istituto di ricerca VIB di Gand in Belgio. “Un microbioma sano per una persona potrebbe non essere tale per un’altra. È un concetto complicato” conferma Ruth Ley, esperta di ecologia microbica dell’Istituto Max Planck di biologia evolutiva a Tubinga, in Germania.
Si chiamano Bifidobacterium pseudolongum, Lactobacillus johnsonii e Olsenella alcuni dei microrganismi che potrebbero aprire la via a nuove strategie per rendere più efficaci le terapie anti-cancro, in particolare l’immunoterapia. Infatti, come riportato sulla rivista Science da un gruppo di ricerca canadese, esperimenti condotti in animali di laboratorio hanno dimostrato in particolare che B. pseudolongum è in grado di modulare la risposta all’immunoterapia grazie alla produzione della molecola inosina, che interagisce direttamente con le cellule T, ovvero le cellule del sistema immunitario che possono attaccare il tumore. Come ricordano gli autori, gli esperimenti sono stati condotti in animali con un tumore intestinale che assomiglia a quello del colon umano; risultati analoghi sono stati ottenuti anche in animali con tumore della vescica e melanoma, ma devono ancora essere confermati negli esseri umani con apposite sperimentazioni cliniche.
“Nello studio abbiamo identificato una nuova via anti-tumorale che merita di essere studiata più a fondo e che potrebbe aiutarci a terapie contro il cancro basate proprio sul microbiota” spiegano gli autori.
I batteri identificati nell’articolo non sono però gli unici cui prestare attenzione quando si parla di risposta al trattamento. In un articolo pubblicato su European Urology, si legge per esempio che i pazienti con tumore metastatico del rene che presentano un microbiota più “vario” (ovvero con maggior ricchezza di specie microbiche), e in particolare con abbondanza del batterio Akkermansia muciniphila, rispondono meglio all’immunoterapia. I meccanismi sottostanti a queste associazioni devono essere chiariti, naturalmente. Se sarà confermato un nesso causale, tenere sotto controllo i cambiamenti del microbiota nel corso della terapia potrebbe rappresentare una strategia efficace per ottenere il massimo beneficio dal trattamento.
L’intestino di ciascuna persona ospita tra le 500 e le 1000 specie batteriche, oltre a un numero non meglio precisato di virus, funghi e altri microbi. Tutti questi commensali devono essere “nutriti” perché possano mantenersi in buona salute e aiutare l’intero organismo a funzionare al meglio, e la dieta quotidiana potrebbe rappresentare uno strumento utile a saziare questi piccoli amici della salute. Quali sono dunque gli alimenti più adatti al microbiota? Una risposta precisa a questa domanda ancora non c’è, anche se molti ricercatori stanno lavorando per comprendere gli effetti di alcuni alimenti sulla salute del microbiota. Uno dei principali problemi è la già citata mancanza di una definizione certa di “microbiota sano”, e a questo si aggiunge la difficoltà di comprendere l’impatto degli alimenti consumati sulla comunità dei microbi intestinali.
È noto per esempio che la carne rossa promuove nei topi la crescita di batteri che aumentano l’infiammazione intestinale e riduce quella di batteri che invece metabolizzano le fibre, ma questo non basta a giungere alla raccomandazione di non consumare carne per aiutare il microbiota. Peraltro, gli studi sull’argomento sono spesso condotti in condizioni particolari, con consumi di quantità estremamente elevate di un dato alimento, e inoltre spesso non si tiene conto delle differenze tra un alimento crudo e uno cotto e tra le diverse tecniche di cottura e preparazione.
In attesa di risultati più affidabili, è fondamentale quindi seguire i noti suggerimenti per una sana alimentazione: calorie sotto controllo, tanta varietà, tanti cibi di origine vegetale e pochi alimenti raffinati, ricchi di grassi animali o zuccheri.
Agenzia Zoe