Ultimo aggiornamento: 6 settembre 2021
Nuove ricerche dimostrano che agire sui microrganismi che vivono nel nostro intestino potrebbe portare a risultati importanti che vanno dalla prevenzione al miglioramento delle terapie
Sono sempre più numerose le ricerche scientifiche che hanno come oggetto le decine di migliaia di miliardi di microscopici coinquilini con cui conviviamo, il nostro microbiota. Tantissime specie diverse di batteri, virus, funghi e protozoi vivono nell’ intestino, ma anche sulla pelle o nella bocca, solo per citare alcune delle sedi dove sono comunemente presenti microrganismi. È ormai chiaro che non si tratta di semplici spettatori, ma di attori importanti nella biologia della nostra salute, oltre che di diverse malattie, tra cui il cancro. Tre recenti studi chiariscono come le conoscenze sul microbiota potrebbero tradursi in progressi nel campo dell’oncologia.
Uno stato infiammatorio cronico predispone all’insorgenza di alcuni tipi di tumori, tra cui quelli dell’intestino. Per ridurre il rischio potrebbe essere utile modificare il microbiota agendo sulla dieta. Ciò di cui ci nutriamo, infatti, regola la varietà e l’abbondanza relativa dei microrganismi che colonizzano l’intestino e che a loro volta influenzano il sistema immunitario. I risultati di uno studio dell’Università di Stanford dimostrano che una dieta ricca di cibi fermentati aumenta la diversità del microbiota intestinale e riduce i segni molecolari dell’infiammazione in adulti sani. Coloro che mangiano cibi come yogurt, kefir, vegetali fermentati o bevono kombucha hanno un numero più alto di specie di microrganismi nell’intestino e questo è più evidente per coloro che consumano più abbondantemente prodotti fermentati (il kombucha è un tè zuccherato fermentato che arriva dall’Oriente, oggi popolare anche in Occidente). Costoro hanno anche cellule immunitarie meno attivate di base e livelli ematici più bassi di proteine pro-infiammatorie. Gli autori dello studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cell, hanno dichiarato che “i cibi fermentati potrebbero essere preziosi per contrastare la riduzione della diversità del microbiota e l’aumento dell’infiammazione diffusi nella società industrializzata”.
Dato che il microbiota ha effetto sulle cellule dell’immunità, è logico pensare che agendo sui microrganismi nostri ospiti si possa aumentare l’efficacia dell’immunoterapia dei tumori. Uno studio delle Università di Würzburg e di Marburg dimostra per la prima volta che due sostanze prodotte dal metabolismo dei batteri intestinali sono in grado di potenziare la capacità di alcune cellule immunitarie di uccidere le cellule tumorali. I ricercatori tedeschi hanno osservato che pentanoato e butirrato, due molecole che appartengono alla classe degli acidi grassi a catena corta (SCFA), rendono più letali i linfociti T citotossici. Non solo, i due SCFA sono risultati attivi anche sulle cellule CAR-T, linfociti T sottoposti a ingegneria genetica per essere equipaggiati con una molecola con cui riconoscere le cellule tumorali da eliminare. L’attivazione delle cellule CAR-T con butirrato o pentanoato si traduce in un maggior effetto antitumorale in animali di laboratorio con tumore del pancreas. Una stimolazione delle cellule CAR-T in vitro, prima dell’infusione delle cellule ingegnerizzate nel paziente, potrebbe facilmente essere introdotta nei protocolli immunoterapici, ma si potrebbe anche pensare di trasferire nel paziente che riceve le CAR-T un “consorzio” di batteri che producono questi SCFA. “Idealmente la composizione delle specie batteriche nel microbiota intestinale potrebbe essere usata per controllare la sua influenza sul successo della terapia” commentano gli autori della ricerca nell’articolo pubblicato sulla rivista Nature Communications.
Ottimizzare le cure non vuole dire solo avere terapie più potenti, ma anche limitare gli effetti indesiderati delle terapie. Un terzo studio con risultati pubblicati sulla rivista Nature Medicine si è concentrato su questo aspetto. Gli inibitori dei checkpoint immunitari (ICI) sono farmaci immunoterapici che hanno rivoluzionato il trattamento di alcuni tumori ad alta letalità, anche se alcuni pazienti sperimentano effetti collaterali importanti. Purtroppo, a oggi non sappiamo come identificare anticipatamente chi è più suscettibile agli effetti collaterali gravi. I ricercatori del MD Anderson Cancer Center dell’Università del Texas hanno notato che i pazienti con melanoma avanzato trattati con ICI in cui compariva maggiore tossicità ai farmaci avevano un’abbondanza di Bacteroides intestinalis. Sia in animali di laboratorio sia nei pazienti, questa abbondanza si associava a livelli più elevati di una molecola proinfiammatoria (IL-1beta) e di infiammazione nella mucosa intestinale. Inibire l’IL-1beta con un farmaco già utilizzato in clinica riduceva invece l’infiammazione intestinale senza influenzare negativamente l’efficacia dell’immunoterapia in animali di laboratorio. Studi ulteriori dovranno confermare nei pazienti questi risultati, che tuttavia aprono interessanti prospettive alla soluzione del problema della tossicità causata dagli inibitori dei checkpoint immunitari.
Agenzia ZOE