Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Nel nostro corpo vive una moltitudine di microrganismi con cui siamo in simbiosi. La loro presenza e composizione influenza la risposta alle terapie antitumorali, in particolare all’immunoterapia.
Conviviamo con decine di migliaia di miliardi di microscopici coinquilini, e la stragrande maggioranza di essi vive nel nostro intestino. Possono influenzare diversi meccanismi all'interno del corpo umano, non ultimo il modo in cui rispondiamo alle terapie, anche a quelle che combattono il cancro.
"Si chiama microbiota l'insieme di tutti i microrganismi (batteri, virus, funghi e protozoi) che vivono nel nostro corpo e microbioma il patrimonio genetico di questi microrganismi" spiega Giorgio Trinchieri, direttore del Programma di ricerca su infiammazione e cancro del National Institute of Health di Bethesda, negli Stati Uniti. Prima della nascita, il nostro intestino è sterile: poi, dal momento del parto, viene colonizzato dai microbi. Fattori come il tipo di parto, il tipo di allattamento e l'alimentazione della prima infanzia influiscono sulla sua composizione. Il microbiota intestinale di un singolo individuo è formato da numerosissimi specie diverse, anche 1.000, presenti in proporzioni variabili. Durante l'età adulta, la sua composizione è relativamente stabile, anche se può essere alterata da fattori quali dieta, stili di vita, stato di salute, infezioni e terapie antibiotiche. Le modificazioni nel microbiota che alterano l'equilibrio tra l'organismo ospite e i microbi vengono chiamate disbiosi.
Le terapie anticancro che si basano sull'attivazione del sistema immunitario, le cosiddette immunoterapie, sono studiate da decenni, ma solo in questi ultimi anni si sono ottenuti i primi risultati che fanno davvero la differenza. L'introduzione in clinica dei checkpoint immunologici (ICI, premiati quest'anno con il Nobel per la medicina), ha segnato un punto di svolta nel trattamento di alcuni tipi di tumore. Gli ICI sono anticorpi che si legano a molecole che "frenano" la risposta dei linfociti T: eliminato questo freno, i linfociti T uccidono le cellule tumorali. Sfortunatamente, solo il 40 per cento dei malati risponde a questa terapia. Alcuni ricercatori hanno scoperto che uno dei meccanismi di resistenza dipende dal microbiota del paziente.
"Normalmente esiste un equilibrio tra le cellule del nostro corpo e i nostri coinquilini" spiega ancora Trinchieri. "Loro trovano di che cibarsi e in cambio svolgono funzioni utili come favorire la digestione degli alimenti e sintetizzare le vitamine. L'interazione del microbiota con il sistema immunitario è ovviamente un fattore cruciale in questo equilibrio: il sistema immunitario influisce sulla colonizzazione dell'intestino da parte dei microbi, che, a loro volta, influenzano il comportamento dei globuli bianchi".
Il fatto che il microbiota abbia un ruolo nel funzionamento del tratto gastrointestinale non stupisce, mentre la possibilità che esso abbia effetti su altre parti del corpo è meno intuitiva. Eppure è così: il microbiota è coinvolto anche nella formazione e nella progressione dei tumori e non solo quelli dell'intestino. I meccanismi non sono del tutto noti, ma includono la produzione di metaboliti e tossine e la modulazione del sistema immunitario.
Nella disbiosi, la composizione del microbiota cambia: aumenta la presenza di alcune specie, diminuisce quella di altre e a volte si riduce la diversità. Ora si sa che alcune specie sono benefiche, mentre altre possono favorire l'insorgere di patologie.
Per esempio, studi condotti sul tumore del colon-retto hanno mostrato che il microbiota dei pazienti affetti da tumore è molto diverso da quello dei soggetti sani.
"Recentemente è emerso che il microbiota, in particolare quello intestinale, modula le risposte alle terapie antitumorali e anche la suscettibilità agli effetti collaterali di queste terapie" dice Giorgio Trinchieri, che nel suo laboratorio studia come le variazioni nel microbiota si ripercuotono sulla carcinogenesi e sui trattamenti oncologici.
Qualche mese fa, la prestigiosa rivista Science ha pubblicato tre studi di gruppi indipendenti in cui si prova che la resistenza agli inibitori dei checkpoint immunologici è da attribuire a una composizione anomala del microbiota intestinale. La presenza del microbiota è necessaria per la risposta agli ICI, infatti i benefici del trattamento erano ridotti nei pazienti che avevano assunto antibiotici (notoriamente in grado di eliminare i batteri che vivono nel nostro intestino, inclusi quelli buoni).
Tuttavia ci sono microbioti favorevoli e microbioti sfavorevoli: i pazienti che avevano risposto alla terapia avevano un microbiota diverso, per composizione e ricchezza di specie, rispetto a quello dei pazienti che non avevano risposto. Grazie a tecniche sofisticate, i ricercatori hanno identificato le specie che prevalevano nei pazienti che avevano risposto alla terapia. Le specie identificate nei tre studi sono diverse ma queste differenze, spiegano gli esperti, potrebbero dipendere dal tipo di tumore e dalle tecniche di analisi.
Per verificare che a fare la differenza fossero proprio i coinquilini, i ricercatori hanno usato dei topi "avatar" del paziente, cioè in grado di mimarne la situazione intestinale. Hanno raccolto campioni di feci dei pazienti trattati con ICI e le hanno "trapiantate" in topi a cui erano stati dati antibiotici per eliminare i batteri già presenti. Il trapianto di feci consiste nel trasferire nell'intestino del paziente (o del topo, nel caso di una sperimentazione) una sospensione liquida delle feci del donatore in modo che i batteri in essa contenuti possano colonizzare l'intestino del ricevente. Utilizzando modelli sperimentali di tumore gli scienziati hanno visto che gli ICI avevano un effetto antitumorale solo nei topi che avevano ricevuto il microbiota dei pazienti che avevano risposto alle cure. In questi casi la risposta immunitaria era più potente.
L'analisi del microbiota intestinale potrebbe quindi essere usata per prevedere quali pazienti potrebbero avere buone probabilità di trarre beneficio dalla terapia con ICI e per quali invece questo approccio terapeutico verosimilmente non sarà efficace.
Manipolare il microbiota potrebbe essere un modo per superare il problema della resistenza ai trattamenti. A questo stanno lavorando molti ricercatori, ma la strada da percorrere è ancora lunga. "È difficile sapere come agire perché non è ancora possibile definire una composizione del microbiota ideale per favorire la risposta agli inibitori dei checkpoint immunologici. Saranno necessari studi nell'uomo, ma anche nel topo, che chiariscano i meccanismi coinvolti" spiega Trinchieri, che aggiunge: "A differenza delle tecniche per lo studio del microbioma, che hanno fatto grandi progressi, la nostra capacità di modificare il microbiota è primitiva, basata sulla dieta. L'uso empirico del trapianto di feci da pazienti che hanno risposto alla terapia a pazienti che non rispondono bene è in sperimentazione in alcuni centri clinici. Il vantaggio di questa metodica è di potere modificare il microbiota dei malati senza doverne determinare la composizione. Con l'identificazione dei meccanismi, potremo intervenire in modo più mirato".
Elena Riboldi