Ultimo aggiornamento: 9 ottobre 2020
Due ricercatrici hanno messo a punto un sistema di editing genetico premiato con il Nobel per la chimica 2020, rivoluzionando le tecniche di manipolazione genica con uno strumento che potrebbe diventare prezioso anche per curare il cancro.
Con le moderne biotecnologie è possibile lavorare sul DNA per analizzare, modificare e sostituire geni. Il genome editing, ovvero la capacità di cambiare parte delle sequenze di DNA di una cellula animale o vegetale, è uno dei traguardi più importanti raggiunti finora dalla scienza del XXI secolo. Fin dagli anni Ottanta circa del secolo scorso era già possibile fare operazioni di “taglia e incolla” di frammenti di DNA modificandone la sequenza, ma ci voleva molto tempo, oltre a una buona dose di fortuna, poiché le operazioni erano poco precise e non sempre davano il risultato atteso. È cambiato tutto con la messa a punto della forbice genetica CRISPR/Cas9 da parte delle due scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna, premiate con il premio Nobel per la chimica 2020.
Il sistema prende ispirazione da un meccanismo usato dai batteri per difendersi dai virus e utilizza un enzima chiamato Cas9, trasportato da un frammento di RNA capace di raggiungere esattamente il bersaglio previsto. Per questo il sistema sfrutta la presenza di alcune zone di sequenze ripetute palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari, dette, in breve, CRISPR. Giunto lì, l’enzima esegue l’equivalente biologico del comando copia-incolla di un software di scrittura ed elimina o sostituisce la sequenza bersaglio.
“Con questa tecnica abbiamo reso democratico il gene editing, cioè la capacità di modificare il genoma di una cellula o di aggiungere ed eliminare geni a piacimento” ha spiegato qualche anno fa proprio Jennifer Doudna. “È così facile e poco costoso che qualunque laboratorio minimamente attrezzato può farlo.” E infatti la tecnica si è diffusa rapidamente non solo nella ricerca su cellule animali, tra cui quelle umane, ma anche su quelle vegetali, dando un contributo essenziale allo sviluppo di terapie e sistemi diagnostici ma anche di sementi.
Sappiamo che una cellula, per diventare tumorale, deve subire una serie di mutazioni a livello genetico, ma non sappiamo quali, tra questi geni, è davvero essenziale per il processo che porta alla malattia. Per capirlo possiamo percorrere diverse strade, ma una delle più lineari consiste nel disattivare uno a uno i geni da studiare in cellule o animali di laboratorio, e verificare che cosa succede di conseguenza. Questa tecnica, che si chiama knock-out genico, richiedeva, con i sistemi precedenti, molto tempo e molte risorse. CRISPR ha permesso, tra le altre cose, di velocizzare l’intero processo.
La scelta di usare questo strumento nella ricerca sul cancro è legata anche a questioni di precisione. CRISPR/Cas9 permette infatti di “silenziare” un gene nella sua posizione normale lungo la sequenza del DNA, e questo consente di modificare in modo naturale sia i meccanismi di controllo dell’attività del gene stesso, sia quelli di comunicazione con l’ambiente circostante, ricreando con buona approssimazione ciò che accade nella malattia. Le tecniche precedenti, invece, silenziano il gene in modo meno preciso e quindi non permettono di studiare l’interazione tra questo e i suoi sistemi di regolazione.
È di luglio scorso la notizia di uno studio pilota, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science, su tre pazienti (uno con sarcoma e due con mieloma multiplo), in cui sono stati combinati due approcci: la terapia cellulare basata sui linfociti T, già impiegata con successo per alcuni tipi di leucemie e di linfomi, e l’editing genomico delle cellule malate con CRISPR/Cas9. In tutti e tre i casi la procedura è stata ben tollerata, anche se i pazienti hanno continuato a peggiorare e sono stati trattati anche con altri farmaci.
Perché quindi tanto entusiasmo? Perché l’editing genomico negli esseri umani è ancora agli albori, malgrado le potenzialità di CRISPR/Cas9. Permangono dei dubbi sia su una possibile reazione immunitaria – l’ingrediente principale del sistema è pur sempre un enzima batterico –, sia sulla difficoltà di controllare al cento per cento l’effetto taglia-incolla. Per questo la rivista Science ha affidato il commento dello studio proprio a quella che, pochi mesi dopo, è diventata il neo premio Nobel Jennifer Doudna: “Questi risultati nel complesso forniscono una guida per produrre e somministrare in modo sicuro cellule editate”. Una nuova barriera è stata infranta proprio nella terapia del cancro e ha contribuito a consolidare, nel comitato che assegna il premio più prestigioso, la convinzione che il momento di CRISPR/Cas9 era proprio arrivato.
Daniela Ovadia