Gli screening per la diagnosi precoce del tumore del colon-retto: tra vite salvate e ostacoli

Ultimo aggiornamento: 27 gennaio 2025

Gli screening per la diagnosi precoce del tumore del colon-retto: tra vite salvate e ostacoli

I programmi di screening per scoprire precocemente tumori del colon-retto possono salvare decine di migliaia di vite: ecco perché dovremmo migliorare la copertura del servizio.

A dicembre 2024 la rivista scientifica JAMA ha pubblicato i numeri di morti per cancro evitate grazie a esami di screening per 5 diversi tumori dal 1975 al 2020. Secondo gli esperti lo screening per il cancro del colon-retto può contribuire a prevenire fino al 79% circa dei decessi per questo tipo di tumore.

Il secondo tumore più diffuso in Italia

Come evidenziato ne “I numeri del cancro 2024”, il rapporto aggiornato annualmente da AIOM, AIRTUM, Fondazione AIOM e altri enti, il tumore del colon-retto è il secondo più diagnosticato in Italia, con 48.706 casi, dopo il cancro alla mammella (53.686 casi). Inoltre, è il secondo per mortalità: nel 2022 erano stati stimati 35.700 decessi per cancro del polmone e 24.200 per il colon-retto. Nel complesso, scrivono sempre gli esperti di AIOM e AIRTUM, chi sviluppa un tumore del colon-retto ha una probabilità di guarire, cioè di tornare ad avere l’aspettativa di vita di chi non ha avuto lo stesso tipo di tumore, di circa il 56%. La percentuale sale al 92% circa se la malattia viene diagnosticata in fase precoce e del 71% circa se rilevata allo stadio II.

Ne “I numeri del cancro 2023” era emerso che in Italia nel complesso tra il 2007 e il 2019 le morti per tumore del colon-retto evitate rispetto a quelle attese (stimate sui tassi che si avevano nel periodo 2003-2006) sono moltissime: si parla di oltre 16.000 decessi in meno per gli uomini (-10,8%) e 11.000 nelle donne (-8,9%).

Nel frattempo, le diagnosi di tumore del colon-retto continuano ad aumentare nel mondo, soprattutto tra i giovani, anche se nel nostro Paese il fenomeno non si osserva allo stesso modo.

I primi dati mondiali sul cancro al colon giovanile in 50 Paesi

I risultati di diverse ricerche hanno mostrato un aumento dell’incidenza del cancro colorettale tra i giovani adulti, ovvero in persone tra i 20 e i 49 anni, soprattutto in numerosi Paesi occidentali ad alto reddito. La tendenza è in contrasto rispetto alla stabilizzazione o alla diminuzione dell’incidenza dello stesso tipo di tumore tra gli adulti dai 50 anni in su.

Un articolo pubblicato a gennaio 2025 sulla prestigiosa rivista The Lancet Oncology contiene un’analisi dell’incidenza del cancro colorettale nei giovani rispetto agli adulti più anziani negli ultimi anni. L’incidenza della forma a esordio precoce è in aumento in 27 dei 50 Paesi e territori esaminati, e in particolare l’incremento è maggiore o esclusivo nella fascia di età più giovane in 20 di questi Paesi. I risultati mostrano che la crescente incidenza di cancro colorettale a esordio precoce non riguarda più soltanto i Paesi ad alto reddito e si sta estendendo anche a territori dell’America Latina e dei Caraibi (Argentina, Cile, Costa Rica, Ecuador, Martinica e Porto Rico), in Asia (Israele, Giappone, Thailandia e Turchia) e in Europa orientale (Bielorussia).

Quali sono le ragioni di questi aumenti? Le cause non sono ancora del tutto chiare, ma ci sono degli indizi. Sappiamo che abitudini meno salutari seguite sin da piccoli, in particolare un regime alimentare poco equilibrato, stanno incidendo sulle persone oggi adulte. Recentemente un gruppo di ricercatori della Cleveland Clinic, in Ohio (USA), ha individuato alcuni metaboliti che sembrano avere un ruolo cruciale come fattori di rischio per il cancro colorettale nei giovani. Questi metaboliti sono molecole derivanti da sostanze assunte attraverso la dieta e successivamente trasformate dall’organismo. Tra le molecole che i ricercatori hanno individuato ve ne sono alcune associate al metabolismo di carne rossa e lavorata. Altre ipotesi riguardano il consumo di alcol e la sedentarietà. Gli autori suggeriscono che uno dei modi più efficaci per ridurre il rischio di sviluppare un cancro colorettale nei giovani adulti, sotto i 60 anni, sia prestare attenzione alla propria alimentazione, oltre che evitare di bere alcolici e fare attività fisica.

Quante vite vengono salvate con lo screening?

Le vite che potremmo prolungare in Italia potrebbero essere molte di più rispetto a quelle stimate nell’articolo su JAMA, se solo le persone invitate all’esame di screening colorettale, quello per la ricerca di sangue occulto nelle feci, rispondessero all’invito. Al momento, come mostrano i dati dell’Osservatorio nazionale screening per il 2023 , nel nostro Paese si sottopongono a questo esame solo 3 persone su 10 tra quelle, tra i 50 e i 69 anni, che ricevono la lettera d’invito. Le cose vanno meglio al nord, dove risponde la metà, e peggio al centro e al sud, dove effettuano l’esame rispettivamente il 30% e il 20% degli invitati. L’aspetto che sorprende è anche il fatto che il livello di copertura dello screening colorettale è decisamente più basso rispetto a quello per lo screening mammografico, sia per macroarea geografica sia complessivamente per l’Italia.

Le cose potrebbe migliorare anche nell’organizzazione dello screening da parte dei servizi sanitari regionali: solo 9 persone su 10 (8 su 10 al Sud) ricevono infatti la lettera d’invito. In Sardegna addirittura soltanto il 55%, e in Campania il 63%.

I test a domicilio possono essere una strada?

In un articolo pubblicato a fine novembre 2024 sulla rivista JAMA, gli autori hanno esaminato l’efficacia di test immunochimici fecali a domicilio, al fine di migliorare le possibilità di effettuare diagnosi precoci. I risultati provenienti dagli Stati Uniti, dove non esiste un sistema di screening centralizzato come quello italiano, hanno mostrato che il tasso di adesione allo screening è triplicato.

In particolare, la sperimentazione clinica ha coinvolto circa 4.000 persone di età compresa tra i 50 e i 75 anni. I partecipanti hanno ricevuto un pacchetto contenente una lettera introduttiva, un kit per l’esame fecale (FIT) con le relative istruzioni e una lettera di promemoria. Nella lettera veniva anche indicata la possibilità di sottoporsi gratuitamente a una colonscopia in caso di risultato positivo. Il gruppo di controllo ha ricevuto invece solo l’invito a sottoporsi al test usuale. I risultati hanno mostrato che ben il 30% dei partecipanti ha completato lo screening entro 6 mesi, rispetto al 10% del gruppo di controllo. Inoltre, tra chi aveva ottenuto un risultato positivo al FIT, nel gruppo di intervento il 68,8% si era sottoposto a colonscopia, contro il 44,4% del gruppo di controllo.

In Italia abbiamo la fortuna di avere uno strumento – lo screening gratuito nazionale – che permette di raccogliere dati utili in modo sostanzialmente omogeneo e capire se le cose stanno migliorando oppure no. Potenziarlo potrà garantire risultati importantissimi sia per i pazienti sia per la ricerca.

  • Cristina Da Rold

    Cristina Da Rold (Belluno, 1988) è data-journalist dal 2012. Si occupa di sanità con approccio data-driven, principalmente su Infodata – Il Sole 24 Ore Le Scienze. Scrive prevalentemente di disuguaglianze sociali, epidemiologia e nuove tecnologie in medicina. Consulente e formatrice nell’ambito della comunicazione sanitaria digitale, dal 2015 è consulente per la comunicazione/social media presso l’Ufficio italiano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal 2021 anche presso la Fondazione Pezcoller per la ricerca sul cancro di Trento. Nel 2015 ha pubblicato il libro “Sotto controllo. La salute ai tempi dell’e-health”(Il Pensiero Scientifico Editore). È docente presso il Master in comunicazione della scienza e della salute dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e presso il Master in comunicazione della scienza dell’Università di Parma.