Ultimo aggiornamento: 12 febbraio 2021
Il 12 febbraio si celebra la Giornata mondiale del colangiocarcinoma, un tumore difficile da riconoscere precocemente e per cui ci sono ancora poche opzioni di cura.
Colangiocarcinoma significa letteralmente tumore delle vie biliari. Si tratta di una malattia subdola che non dà sintomi così chiari e allarmanti da indurre chi ne soffre a rivolgersi al medico. La diagnosi, poi, non è delle più semplici, e sul fronte delle terapie non sono stati fatti grandi progressi negli ultimi anni.
Per queste ragioni questo tumore raro, che nel 2020 si stima abbia colpito in Italia circa 5.400 persone (Airtum, I numeri del cancro in Italia 2020), continua a essere tra le neoplasie più difficili da curare con efficacia. La giornata mondiale dedicata al colangiocarcinoma, che si celebra il 12 febbraio, ha proprio l’obiettivo di aumentare la consapevolezza su una malattia poco conosciuta e la cui incidenza sta aumentando in tutto il mondo.
“La prima grande difficoltà legata a questo tumore è il fatto che dà pochi sintomi generici, che per questo sono spesso attribuiti per errore ad altre patologie” spiega Gianluigi Giannelli, direttore scientifico dell’IRCSS Saverio De Bellis Castellana Grotte (BA). “Nelle fasi iniziali non dà dolore né sintomi di particolare rilievo. Il più delle volte la prima manifestazione è un cambiamento di colore delle sclere, il cosiddetto "bianco dell’occhio”, che tende a virare verso il giallo (ittero). Con il passare del tempo può comparire ittero anche della cute. Tra i campanelli di allarme c’è anche un cambiamento nel colore delle feci che diventano un po’ più chiare, e dell’urina che si fa più scura”.
Si tratta di sintomi che, fin quando non raggiungono un’intensità allarmante, di rado vengono colti dal paziente. Questo ritardo sottrae tempo prezioso per combattere efficacemente il tumore.
“A stringere ulteriormente la finestra utile per intervenire è la difficoltà della diagnosi” spiega ancora Giannelli. “In genere la valutazione clinica e un’ecografia possono far sorgere soltanto un sospetto di colangiocarcinoma. Per arrivare a una diagnosi affidabile è necessario eseguire esami più approfonditi, come la TAC, che tuttavia non sempre dà risultati risolutivi; si passa allora a una specifica risonanza magnetica, definita colangio-RM e, se anche questa è insufficiente, a un esame invasivo definito colangio-pancreatografia retrograda endoscopica (CPRE).”
Dopo questo lungo percorso, al momento della diagnosi solo in un paziente su cinque la localizzazione e le caratteristiche del tumore sono tali da consentire una sua asportazione chirurgica. In questi casi il trattamento può essere risolutivo. Per gli altri pazienti, l’unico trattamento oggi disponibile è la chemioterapia, che tuttavia può provocare effetti collaterali non trascurabili e ha un’efficacia limitata.
Tante difficoltà nascono soprattutto dalle conoscenze ancora insufficienti su questo tumore. “Non abbiamo ancora abbastanza informazioni sulla sua biologia, per cui non possiamo utilizzare i farmaci a bersaglio molecolare che hanno permesso di raggiungere importanti progressi in molte altre neoplasie, né disponiamo di marcatori che consentano una diagnosi più semplice e precoce” dice lo specialista.
Da questo punto di vista, anche i fattori di rischio sono ancora oggetto di studio. A oggi sappiamo che ad aumentare il rischio di colangiocarcinoma ci potrebbero essere alcune malattie delle vie biliari come la colangite sclerosante primitiva, la presenza di calcoli nei dotti biliari e nella cistifellea, le cisti del coledoco. Meno chiaro è se le probabilità di ammalarsi possano essere influenzate da obesità, sindrome metabolica, cirrosi, infezioni da virus dell’epatite B e C e da comportamenti a rischio come il fumo.
La ricerca sta lavorando intensamente per rispondere a questo bisogno di conoscenze e anche AIRC sta sostenendo diversi progetti dedicati al colangiocarcinoma. Uno di questi è guidato dal professor Giannelli, con l’obiettivo di comprendere alcuni dei meccanismi che alimentano la crescita del tumore e che potrebbero diventare il bersaglio di futuri trattamenti. Il progetto si concentra in particolare su un sottotipo di colangiocarcinoma, quello intraepatico, che nasce e si diffonde dai dotti biliari all’interno del fegato ed è il più difficile da trattare. Caratteristica di questo tumore è la tendenza a invadere rapidamente i grandi vasi sanguigni del fegato e da lì a diffondersi.
“In questi casi il tumore è di solito circondato da tessuto fibrotico: crediamo che questa componente svolga un ruolo importante” spiega Giannelli. “Ricerche precedenti hanno mostrato che esiste un fitto scambio di segnali tra il tumore e il microambiente circostante. In questi processi è anche coinvolta la cosiddetta via di segnalazione di Notch, un insieme di messaggi molecolari rilevanti anche in altri tipi di tumori. Abbiamo osservato che un farmaco che interferisce con questa via di segnalazione è in grado di contrastare la crescita del tumore, ma soltanto quando vi è una forte componente fibrotica." Se i risultati fossero confermati, l’approccio terapeutico potrebbe essere esteso a tutti i pazienti con questa caratteristica.
I ricercatori però vogliono andare oltre e comprendere se il microambiente tumorale sia effettivamente un elemento di cui il tumore ha bisogno per la propria sopravvivenza. Se così fosse, sarebbe possibile mettere a punto nuove strategie che, rendendo il microambiente ostile, consentirebbero di colpire indirettamente la malattia.
Antonino Michienzi