Ultimo aggiornamento: 22 aprile 2021
Un esperimento sociale sulla comunicazione di notizie mediche infondate mostra che quando si leggono le notizie bisognerebbe sempre utilizzare un po’ di sano scetticismo.
“Le persone che hanno una carenza di vitamina B17 corrono il rischio di sviluppare un tumore”. Questa informazione probabilmente vi giungerà nuova, non perché si tratta dell’ultima scoperta di un laboratorio di ricerca, ma perché è palesemente falsa. La vitamina B17 non esiste. Eppure, quando un gruppo di esperti di comunicazione ha provato a fare circolare la notizia, per fare un esperimento di comunicazione, sono stati in pochi ad accorgersi dell’inganno. L’esperimento realizzato dall’Università del Kansas dimostra che difendersi dalle “fake news”, le notizie false, è possibile, facendo attenzione ad alcuni campanelli di allarme.
Hong Tien Vu e Yvonnes Chen, due professori del Dipartimento di giornalismo e comunicazione di massa dell’Università del Kansas, hanno condiviso con 750 persone otto diverse versioni di un articolo in cui si affermava che esiste una relazione tra carenza di vitamina B17 e cancro. In una versione si diceva che l’autrice fosse un medico e venivano brevemente descritte le sue credenziali; in un’altra versione l’autrice si presentava come la mamma di due bambini esperta in scrittura creativa; in un’altra versione ancora, come una lifestyle blogger, e così via. Anche lo stile di scrittura dell’articolo cambiava, in qualche caso era più giornalistico, in altri più colloquiale. Infine, alcune versioni dell’articolo includevano la segnalazione che l’informazione non era stata verificata.
È stata quindi osservata la reazione delle persone a cui erano state inviate le diverse versioni del testo. I lettori che avevano maggiore esperienza nell’utilizzo dei social media hanno esaminato l’informazione con più attenzione e si sono mostrati meno propensi a condividerla. Coloro che erano molto interessati al tema della salute hanno generalmente condiviso il contenuto, indipendentemente dal fatto che fosse credibile o meno.
Gli autori dello studio hanno analizzato quali elementi abbiano avuto un ruolo nella scelta dei partecipanti se condividere o meno l’articolo ricevuto. “Volevamo testare l’attenzione dedicata a due aspetti spesso messi in evidenza nei programmi di alfabetizzazione sui mezzi di comunicazione, le credenziali dell’autore e lo stile della scrittura, ma anche i segnali di allarme” ha detto il professor Vu. “I risultati ci dicono che prima di poterci affidare al pubblico nel distinguere le notizie vere da quelle false c’è ancora molta strada da fare. Stabilire la credibilità dell’informazione richiede un lavoro mentale. Quando si naviga sul web in genere si tende a fare affidamento sul fatto che siano le grandi aziende tecnologiche come Google o Facebook a verificare le notizie.”
A giudicare dai risultati, le credenziali dell’autore e il modo in cui era scritta la storia non hanno avuto un’influenza significativa su quanto questa sia stata percepita come credibile, sulla scelta di aderire alle raccomandazioni in essa suggerite o sul fatto di condividerla con altri. Va però sottolineato che coloro che vedevano che l’articolo era accompagnato da un qualche tipo di segnale di allarme (le cosiddette “red flag”) erano meno inclini a considerarlo credibile e a diffonderlo. “Ogni volta che vediamo un’informazione che è stata segnalata da un’azienda tecnologica come potenzialmente falsa, immediatamente il nostro livello di scetticismo si alza. Le grandi aziende tecnologiche hanno un ruolo veramente importante nell’assicurare che l’ambiente dell’informazione sia genuino e pulito” ha commentato il professor Vu. “Parlare di una vitamina che non esiste può sembrare innocuo, ma sono tante le persone che consumano tempo, soldi ed energie per delle cure inesistenti, e ciò può essere molto pericoloso, soprattutto se queste cure vengono considerate alternative ai consigli del medico.”
È innanzitutto responsabilità di ciascuno di noi cercare di difendersi dalle notizie false. Ma come?
Un primo elemento a cui va prestata attenzione è la fonte della notizia. Quale rivista l’ha pubblicata per prima? Nel campo della medicina, le nuove scoperte vengono pubblicate su riviste specializzate solo dopo che altri esperti sull’argomento hanno analizzato i dati e verificato la credibilità della ricerca (questo processo è chiamato “peer-review”, ossia “revisione tra pari”). Anche quando la notizia è ripresa dagli organi di stampa, dovrebbe sempre essere possibile risalire alla fonte originaria. Notizie diffuse da organismi internazionali e nazionali ufficialmente riconosciuti, inoltre, dovrebbero sempre godere di maggiore autorevolezza rispetto al passaparola.
In secondo luogo, bisogna mettere in relazione quanto riportato nella notizia con quello che è già noto. Questo può non essere facile per chi non è esperto del tema, ma non è impossibile. Tutte le nuove scoperte si basano su conoscenze già acquisite, non emergono dal nulla. Se qualcuno ci dicesse che avere livelli di colesterolo altissimi fa vivere dieci anni di più probabilmente non ci crederemmo, perché da molti anni è noto praticamente a tutti che l’accumulo di colesterolo ha effetti negativi sulla salute. Chi aveva ricevuto l’articolo sulla vitamina B17 avrebbe potuto chiedersi “Cos’è? Cosa si sa a riguardo?”. Una breve ricerca avrebbe messo in luce che la vitamina B17 è un’invenzione.
Un ultimo aspetto da considerare è il conflitto di interessi. Se una ricerca è sostenuta economicamente da un’industria, un’azienda o persone che hanno interesse a vedere confermata una determinata tesi, è più probabile che, nel momento di comunicare i risultati dell’indagine, siano messi in evidenza i dati che confermano l’esito sperato e tralasciati quelli che invece lo metterebbero in discussione. Questo non significa che bisogna diffidare automaticamente di qualsiasi studio finanziato da un’industria o un’azienda. Occorre tuttavia tenere in considerazione la possibile distorsione sulla stima di un effetto, a causa dei possibili interessi in gioco. Ormai da tempo le riviste scientifiche richiedono agli autori di esplicitare se hanno un conflitto di interessi in merito alla ricerca e di dichiarare espressamente da quali enti o aziende è stata finanziata. Inoltre la valutazione dell’articolo da parte di esperti tramite “peer review” e l’eventuale successiva ripetizione degli esperimenti da parte di altri gruppi indipendenti possono confermare e rafforzare la credibilità di una scoperta.
I navigatori del web e gli utilizzatori dei social network hanno tempi di reazione velocissimi, ma prendersi il tempo per ragionare su quanto si legge, prima di condividere, è sicuramente un bene per sé e per gli altri.
Agenzia Zoe