Ultimo aggiornamento: 5 aprile 2023
Uno studio internazionale ha mostrato i benefici dell’uso del farmaco praseltinib in tumori di tipi diversi che avevano in comune una mutazione nel gene RET
L’approccio cosiddetto “agnostico” alla terapia dei tumori prevede che la cura più efficace sia scelta in base alla presenza di una specifica mutazione molecolare nel cancro, e dando meno importanza al tessuto o all’organo di origine della malattia. Questo nuovo modo di scegliere un trattamento arricchisce il metodo utilizzato più tradizionalmente in oncologia, che è basato sull’istologia del tumore, ovvero sull’esame del tessuto tumorale. Sempre più studi clinici confermano l’efficacia di questo approccio innovativo.
Uno degli ultimi in ordine di tempo, lo studio internazionale ARROW, si è guadagnato la copertina della rivista Nature Medicine e ha visto anche la partecipazione di ricercatori e centri di ricerca italiani.
“Questi farmaci sono una nuova conquista della medicina di precisione, perché hanno un bersaglio molto specifico da colpire” spiega Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione per lo sviluppo di nuovi farmaci e terapie innovative dell'Istituto europeo di oncologia di Milano e professore di oncologia all’Università di Milano.
Praseltinib è il nome del farmaco valutato nello studio ARROW. Si tratta di un farmaco a bersaglio molecolare che si è dimostrato efficace in presenza di alterazioni del gene RET ed è approvato per il trattamento del tumore del polmone non a piccole cellule che presentano tale caratteristica. Mutazioni o amplificazioni di RET sono però presenti anche in altre neoplasie, come per esempio i tumori papillari della tiroide (20 per cento dei casi), e quelli di ovaio, pancreas, ghiandole salivari e colon-retto (circa 1 per cento dei casi di ciascun tipo di tumore). Proprio la presenza delle alterazioni di RET rende spesso questi tumori resistenti ai trattamenti tradizionali.
La recente ricerca apre la strada a un nuovo potenziale utilizzo di praseltinib in diversi tipi di tumore con alterazioni di RET. In particolare, nello studio sono stati coinvolti 29 pazienti con 12 diversi tumori solidi in stadio avanzato, tutti con alterazioni di RET. Nell’83 per cento dei casi è stato possibile ottenere risposte complete o parziali, che si sono mantenute in media per 12 mesi.
“Sono risultati molto interessanti, perché soddisfano un bisogno terapeutico per questi malati, le cui opzioni di cura a oggi sono limitate” è il commento di Curigliano ai dati ottenuti nello studio. Il trattamento sembra anche ben tollerato dai pazienti.
La storia dei trattamenti agnostici è ancora piuttosto breve. Solo nel 2017 la Food and Drug Administration statunitense (FDA) ha approvato il primo farmaco con queste caratteristiche: si tratta di pembrolizumab, un farmaco immunoterapico che inibisce il check point immunitario PD-1.
La FDA ha deciso in prima battuta di approvare la terapia per tutti i tumori solidi non operabili o metastatici con caratteristiche molecolari specifiche: alta instabilità dei microsatelliti o una specifica alterazione dei meccanismi di riparazione del DNA. Nei documenti di approvazione è indicato che tali terapie possono essere prescritte qualunque sia l’organo o il tessuto di origine della malattia. In seguito l’FDA ha esteso tale uso agnostico ai tumori che presentano un numero particolarmente elevato di specifiche alterazioni genetiche e molecolari.
Dopo pembrolizumab, altri farmaci sono stati approvati negli USA per uso agnostico, tra cui per esempio dostarlimab, larotrectinib ed entrectinib. Gli ultimi due sono stati approvati anche dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e quindi dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) a settembre del 2021.
Nell’era della medicina molecolare e di precisione, sono tanti i sostenitori dell’approccio agnostico in oncologia, spesso visto come lo sviluppo naturale delle moderne terapie contro il cancro.
Ma ci sono anche esperti che la pensano diversamente, come si spiega in un articolo pubblicato nel 2020 sulla rivista Nature. Una delle critiche riguarda il percorso e il tipo di studi che hanno portato all’approvazione di tali composti. Si tratta in genere dei cosiddetti “basket trials”, ossia studi nei quali gli autori possono includere persone con diversi tipi di tumore, ma che sono difficili da avviare e in alcuni casi coinvolgono pochi pazienti, o persone per le quali non esistono alternative terapeutiche efficaci.
Alcuni ricercatori sottolineano inoltre che per alcuni tumori con una determinata mutazione magari esiste già un trattamento efficace e passare subito all’approccio agnostico, spesso più costoso, potrebbe non aggiungere molto a quanto già disponibile.
È possibile che le terapie agnostiche non sostituiranno completamente i trattamenti convenzionali. Potrebbero però offrire benefici ad alcune categorie di pazienti. “È un altro passo avanti nel viaggio verso terapie più efficaci”, ha commentato nell’articolo appena citato Sandra Horning, oncologa e co-fondatrice di una Start-up di biotecnologie nel Regno Unito. Horning è però convinta che lo studio del tessuto di origine continuerà a essere rilevante.
Agenzia Zoe