La vitamina D agisce come un ormone che influisce sul processo intestinale di assorbimento di calcio e fosforo. Indirettamente contribuisce alla regolazione della mineralizzazione delle ossa, dell’infiammazione e delle attività del sistema immunitario. Solo in minima parte proviene dal cibo, mentre l’esposizione solare è la fonte principale della produzione nella sua forma attiva. Per quanto la vitamina D apporti numerosi benefici al nostro organismo, l’AIFA consiglia la sua integrazione soltanto in presenza di particolari carenze o condizioni. In uno stato normale di salute basta seguire una dieta varia ed equilibrata e passare del tempo all’aria aperta, mentre l’integrazione, alimentare o farmacologica, può essere di particolare importanza per chi esce poco di casa, come neonati e anziani.
Il 10-20 per cento del fabbisogno giornaliero di vitamina D proviene dall’alimentazione. Oltre ai cibi arricchiti a livello industriale, come molti cereali per la prima colazione, si può trovare in alimenti come i pesci più grassi (come il salmone, lo sgombro e l’aringa), il tuorlo d'uovo e il fegato.
Tutto il resto si forma nella pelle a partire da un grasso simile al colesterolo che viene trasformato per effetto dell’esposizione ai raggi UVB. Una volta prodotta nella cute o assorbita a livello intestinale, la vitamina D passa nel sangue. Qui una proteina specifica la trasporta fino al fegato e ai reni, dove viene attivata.
Nel corso degli anni una carenza di vitamina D è stata associata a diversi tipi di malattie, dal diabete al cancro, dall'Alzheimer alla sclerosi multipla e più di recente alle forme gravi di infezione da Sars-CoV-2.
Seppure i nessi di causa ed effetto di queste associazioni siano ancora da dimostrare, è nata l’ipotesi che bassi livelli di questa vitamina potessero essere dannosi per la salute, mentre una sua integrazione possa avere un effetto protettivo e terapeutico contro diverse patologie, come l’infezione da Covid-19 e i tumori. Tuttavia alla luce dei risultati di recenti studi epidemiologici, nella nota 96 del febbraio 2023, l’AIFA ha indicato che la somministrazione della vitamina D non è efficace per la cura e la prevenzione né dei tumori né di Covid-19.
La vitamina D deve essere dunque somministrata soltanto quando si manifestano particolari sintomi o forti carenze. Inoltre l’acquisto di farmaci che la contengono richiede la prescrizione di un medico, perché gli eccessi possono essere tossici. L’AIFA afferma che l’integrazione di vitamina D è consigliata con valori inferiori a 12 ng/mL (30 nmol/L). Al di sopra di questi livelli è raccomandata la sua somministrazione solo in caso di specifiche patologie, come l’osteoporosi. Per chi non soffre di particolari disturbi è sufficiente trascorrere più tempo all’aria aperta, senza dover monitorare i propri livelli di vitamina D con frequenti esami del sangue.
L’AIFA ha inoltre specificato le situazioni in un cui il medico può consigliare di assumere la vitamina D e i casi in cui non è opportuno.
Se sentite un persistente senso di debolezza, dolori diffusi, localizzati o muscolari e cadete di frequente senza motivo, potreste soffrire di ipovitaminosi e in particolare di una carenza di vitamina D. In presenza di questi segnali è consigliato consultare il proprio medico e valutare di effettuare un esame del sangue per rilevare il dosaggio di vitamina D. La sua assunzione è raccomandata soltanto se i suoi livelli sono inferiori a 12 ng/mL (o 30 nmol/L) anche in assenza di sintomi, ma sempre sotto prescrizione medica.
Se siete in terapia con antiepilettici, glucocorticoidi e altri farmaci che interferiscono con il metabolismo della vitamina D o siete adulti affetti da malattie che causano malassorbimento, come il morbo di Chron o la fibrosi cistica, la vitamina D dovrà essere assunta se i valori sono inferiori a 20 ng/mL (o 50 nmol/L).
Invece se soffrite di osteoporosi o iperparatiroidismo bisognerà integrarla quando i livelli sono al di sotto di 30 ng/mL (o 75 nmol/L).
La sua somministrazione richiede sempre la prescrizione medica, ma è indipendente dal dosaggio per chi è istituzionalizzato, soffre di gravi deficit motori o è costretto a letto, per le donne in gravidanza o in allattamento e per chi ha l’osteoporosi e non può essere sottoposto a terapia mineralizzante.
Nonostante i risultati dei primi studi epidemiologici avessero suggerito un ruolo protettivo della vitamina D contro i tumori, indagini più recenti non hanno confermato questo effetto.
Lo studio europeo EPIC fu tra i primi a mostrare che le persone con livelli più alti di questa vitamina nel sangue corrono un rischio di cancro al colon inferiore di circa il 40 per cento rispetto a chi ne è carente.
Questi risultati, ottenuti in laboratorio, non hanno però trovato una piena conferma nella clinica, ovvero negli studi con i pazienti. Secondo quanto emerso da diverse ricerche, come la Women’s Health Initiative statunitense che ha seguito circa 36.000 donne per una media di sette anni, l’assunzione di supplementi a base di vitamina D non sembra conferire alcun effetto protettivo. Si può quindi ipotizzare che alti livelli di questa vitamina nel sangue non siano direttamente responsabili del minor rischio, ma semplicemente rispecchino abitudini più sane a cui va attribuito il merito di proteggere gli individui dal cancro.
Anche studi più recenti non hanno riscontrato un evidente effetto antitumorale della vitamina D. Non si è infatti osservata una riduzione della mortalità o una ridotta probabilità di sviluppare un tumore tra chi ha seguito una cura con supplementi di vitamina D e chi non la assumeva.
Lo stesso è avvenuto per Covid-19. I dati raccolti finora non sono abbastanza solidi da affermare che la vitamina D possa proteggere dalle forme gravi di infezione da Sars-CoV-2 o da altre infezioni respiratorie.
Per trovare una risposta alle domande più frequenti sulla vitamina D: https://www.aifa.gov.it/domande-e-risposte-sui-farmaci-a-base-di-vitamina-d