Ultimo aggiornamento: 5 dicembre 2024
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L’epatite C è una malattia infettiva e infiammatoria di origine virale a carico del fegato. Il virus responsabile della malattia è l'HCV (Hepatitis C Virus, ovvero virus dell’epatite C in inglese). Epatite B e C rappresentano le principali cause di tumore al fegato.
Come altre forme di epatiti virali, l’epatite C è una malattia subdola: raramente compaiono sintomi, sia nella forma acuta sia in quella cronica, in cui il sistema immunitario non riesce più a sbarazzarsi del virus. Ma sapere di aver contratto il virus è importante per almeno due ragioni. La prima è evitare di infettare altre persone. La seconda ragione è che da qualche anno sono disponibili nuovi farmaci antivirali estremamente efficaci, in grado di eliminare il virus dall’epatite C nel giro di qualche settimana, riducendo il rischio di complicazioni come la fibrosi, la cirrosi e il tumore al fegato. Il tumore più comune che può seguire a un’epatite cronica è il carcinoma epatocellulare, che si sviluppa in circa l’1-4 per cento delle persone che hanno sviluppato una cirrosi epatica. La cirrosi è una compromissione delle funzioni del fegato dovute alla fibrosi, il tessuto cicatriziale che si forma nelle aree danneggiate da una malattia epatica.
Da quando sono entrati in commercio gli antivirali contro l’epatite C, esperti e associazioni di pazienti hanno chiesto, talvolta ottenendoli, programmi di screening che mirano a far emergere i casi sommersi, quelli ancora sconosciuti, così da avviarli al trattamento. La necessità è quanto mai sentita anche perché, a differenza di altre forme di epatiti virali, l’infezione con il virus dell'epatite C non è ancora prevenibile con un vaccino.
Circa il 70 per cento degli infetti da virus dell’epatite C rischia di sviluppare forme croniche. Ma le persone con epatite C cronica che non sanno di averla sono tante. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), solo circa 15 milioni di persone sono consapevoli di essere infetti da HCV, un quarto circa di quelli che si stima abbiano la malattia, mentre sono appena 10 milioni le persone in trattamento. I nuovi farmaci antivirali, noti come DAA, dall’inglese “direct-acting antiviral” (antivirali ad azione diretta), eliminano il virus con un’efficacia superiore al 95 per cento. I farmaci non evitano però che i danni e le complicazioni già in atto per l’infezione da HCV, tra cui la fibrosi e la cirrosi che nel tempo compromettono il funzionamento dell’organo e sono considerate una sorta di anticamera del tumore al fegato. In effetti, i risultati di diversi studi hanno dimostrato che l’eliminazione del virus grazie ai farmaci riduce il rischio di sviluppare tumori associati all’infezione da HCV fino al 75 per cento.
Nel complesso, dunque, se è vero che i nuovi antivirali hanno un’elevatissima efficacia nell’eliminare il virus, a oggi la strategia più efficace contro l’epatite C rimane la prevenzione. Per questo è raccomandato evitare il contatto con sangue, altri fluidi corporei e oggetti potenzialmente infetti (siringhe, oggetti di uso quotidiano come rasoi o spazzolini da denti) e assicurare adeguate procedure igieniche, soprattutto negli strumenti di uso medico o in quelli utilizzati per tatuaggi, piercing e altre procedure estetiche.
La presenza a lungo termine dell’infezione da HCV nel corpo, soprattutto nel fegato, aumenta il rischio di tumore attraverso diversi meccanismi, simili a quelli utilizzati dal virus dell’epatite B, con il quale condivide molti aspetti del processo di tumorigenesi. Si stima infatti che questi due virus siano responsabili della maggior parte dei casi di epatocarcinoma.
Al pari del virus dell’epatite B, anche per quello dell’HCV sono stati identificati meccanismi diretti e indiretti di oncogenesi, un processo che può richiedere anche molti anni. Durante questo periodo il virus dell’epatite C può favorire direttamente l’insorgere del tumore, stimolando la tumorigenesi attraverso l’azione delle sue proteine.
La presenza del virus può creare un ambiente favorevole allo sviluppo del tumore alterando il metabolismo energetico delle cellule, per esempio favorendo l’accumulo di grassi, stimolando l’angiogenesi o inducendo la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). Queste ultime favoriscono l’accumulo di mutazioni genetiche e contribuiscono a danneggiare i tessuti, favorendo lo sviluppo di fibrosi. Inoltre la presenza del virus nel fegato crea una condizione di infiammazione cronica e altera la risposta delle cellule del sistema immunitario, inibendo l’eliminazione delle cellule tumorali e stimolando la liberazione di molecole prodotte dalle cellule immunitarie e in grado di favorire la trasformazione tumorale. Nel tentativo di riparare i danni causati dal virus, nell’organismo aumenta naturalmente il tasso di ricambio delle cellule epatiche e anche questo contribuisce al possibile accumulo di mutazioni pericolose.
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Anna Lisa Bonfranceschi