La prevenzione è un pilastro della lotta al cancro e ne esistono diverse forme. In generale è l’insieme di tutte le azioni che si possono intraprendere per cercare di ridurre il rischio di sviluppare un tumore, per diagnosticarlo precocemente e per contrastare la sua progressione. Alcune di queste strategie prevedono l’utilizzo di medicinali e rientrano nella cosiddetta farmaco-prevenzione.
A oggi non è possibile misurare quanto ogni azione di prevenzione contribuisca a ridurre il rischio di mortalità per tumore. Sappiamo però che il rischio non può mai diventare zero, perché è impossibile intervenire sui fattori di rischio non modificabili, come quelli ereditari o quelli legati all’invecchiamento.
È stato però calcolato che circa il 40% delle morti che si verificano ogni anno per tumore potrebbe essere evitato eliminando i fattori di rischio cosiddetti modificabili, come abitudini e comportamenti individuali, oltre a esposizioni a cancerogeni nell’ambiente, nelle case e nei luoghi di lavoro. È meno chiaro invece quale contributo possa dare la farmaco-prevenzione nel contrasto ai tumori. Sono infatti ancora pochi i farmaci utilizzabili e usati di routine a questo scopo, mentre altri sono ancora in fase di studio.
La principale ragione per cui la farmaco-prevenzione non è ancora molto diffusa sta nel fatto che è difficile effettuare le sperimentazioni cliniche necessarie alla valutazione della sicurezza e dell’efficacia di tali interventi farmacologici, come sottolinea una revisione degli studi sul tema pubblicata sulla rivista scientifica Cancer Discovery. Si tratta infatti di somministrare dei farmaci per lungo tempo, anche per decenni, a persone sane che hanno un rischio maggiore di sviluppare un cancro rispetto alla popolazione generale. Un approccio simile è quello utilizzato da decenni nella pratica clinica con le terapie dell’ipertensione arteriosa e del colesterolo elevato, dove soggetti a rischio vengono trattati con farmaci che abbassano la probabilità di ictus e infarto. Un altro esempio è la terapia dell’osteoporosi sulla base della densitometria ossea per prevenire le fratture.
A differenza di altre forme di prevenzione, come quelle che mirano a promuovere stili di vita salutari in tutta la popolazione, la farmaco-prevenzione è considerata utile solo per persone che presentano un maggior rischio di sviluppare la malattia. La IARC, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ribadisce che proprio per queste caratteristiche la farmaco-prevenzione va sempre intesa come un intervento medico. Inoltre, essa è considerata una misura aggiuntiva rispetto alle forme più tradizionali di prevenzione, in maniera analoga a quanto è indicato, per esempio, per la profilassi antimalarica per chi si reca in zone a rischio: i farmaci vanno assunti ma occorre anche evitare di esporsi al morso delle zanzare. Allo stesso modo è di aiuto assumere i farmaci indicati, se disponibili, nel caso di chi è a maggior rischio di cancro, ma questo non sostituisce l’importanza del seguire i comportamenti che possono abbassare il rischio di malattia.
Un aspetto chiave della farmaco-prevenzione è la valutazione del rischio che le persone sviluppino un tumore negli anni a venire, per capire chi avrà probabilità superiori alla media di sviluppare una neoplasia.
Nel caso del tumore della mammella, la neoplasia su cui abbiamo più conoscenze e farmaci disponibili per la farmaco-prevenzione, esistono raccomandazioni di esperti e diverse istituzioni per capire se le persone a maggior rischio possano seguire una terapia preventiva, e in caso quale. Tali indicazioni suggeriscono di valutare il rischio di malattia, lo stato di salute complessiva della persona, la sua propensione al trattamento, i costi dei farmaci e i loro eventuali effetti collaterali, prevedendo un adeguato monitoraggio. Occorre quindi considerare la storia medica della persona e della sua famiglia e l’eventuale presenza di predisposizioni genetiche o sindromi che aumentano il rischio di cancro. Uno degli strumenti utilizzati dagli specialisti a tale scopo è il modello Gail del National Cancer Institute. Più recentemente sono più utilizzati il modello di Tyrer Cuzick e quello del BCSC (Breast Cancer Surveillance Consortium) versione 2 che incorporano anche la densità mammografica oltre ai tradizionali fattori di rischio quali età, familiarità, precedenti biopsie e storia riproduttiva. Valutazioni analoghe si compiono anche nel caso in cui si prenda in considerazione l’ipotesi di mastectomia preventiva, in quanto ogni tipo di intervento, sia esso chirurgico o farmacologico, comporta dei rischi che vanno soppesati rispetto ai benefici.
Gli stessi principi potrebbero valere anche per tumori diversi da quello della mammella, anche se in molti casi è più difficile confrontare costi e benefici, dato che abbiamo meno prove consolidate sui farmaci, mancano lunghi follow-up e adeguate valutazioni del rischio di sviluppare tali tumori. Questo contribuisce a rendere la farmaco-prevenzione un campo considerato per alcuni aspetti ancora sperimentale.
Ci sono diversi farmaci già in uso o potenzialmente utilizzabili a scopo preventivo, che possono agire a diversi livelli. La capacità di scoraggiare la formazione dei tumori può essere dovuta infatti a diversi meccanismi: in alcuni casi i farmaci agiscono ostacolando la trasformazione di cellule sane in cellule malate o la loro proliferazione, in altri combattono l’infiammazione, in altri ancora possono aiutare ad aumentare la risposta immunitaria contro il tumore o a incentivare l’apoptosi, ovvero la morte cellulare. In sostanza, i farmaci possono mettere dei “freni” a livelli diversi per impedire l’insorgere e la crescita di un tumore.
Quali sono i farmaci che sembrano ridurre il rischio di sviluppare tumori? Tra i “freni” riconosciuti, e in alcuni casi approvati anche come farmaci preventivi, ci sono quelli che possono aiutare a ridurre il rischio di tumore al seno. Rientrano in questa categoria terapie ormonali che interferiscono con l’azione degli estrogeni (che favoriscono la crescita dei tumori), quali il tamoxifene e gli altri farmaci che sono seguiti, tra cui il raloxifene, l’anastrozolo e l’exemestane. Diversi studi clinici prima e revisioni sistematiche poi hanno dimostrato, per ciascun farmaco, la capacità di ridurre il rischio di tumore del seno di circa il 40% nelle persone con un rischio superiore rispetto alla popolazione generale. Il tamoxifene è il farmaco più studiato in questo ambito. Gli effetti collaterali vanno da un aumentato rischio di tumore all’endometrio, al tromboembolismo (per il tamoxifene), a diarrea, vampate e dolori muscolari per anastrazolo ed exemestane. Tuttavia, un recente studio finanziato dal Ministero della Salute, da AIRC e dalla LILT ha dimostrato che una dose ridotta di 4 volte di tamoxifene (detto babytam) mantiene i benefici e riduce molto i rischi di effetti collaterali del farmaco nelle donne con lesioni precancerose (carcinoma duttale o lobulare in situ e iperplasia duttale atipica). Questo filone di ricerca ha cambiato la pratica clinica negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei, mentre in Italia si attende ancora il parere di AIFA, l’Agenzia italiana per il farmaco.
Riuscire a ridurre il carico di malattia grazie alla farmaco-prevenzione sarebbe un obiettivo importante, in quanto potrebbe far guadagnare salute alle pazienti e far risparmiare risorse ai sistemi sanitari, come concordano diversi esperti. Tuttavia, spesso la farmaco-prevenzione non viene utilizzata. Molti medici e scienziati sottolineano quanto sia scarsa l’adesione ai programmi di farmaco-prevenzione ancora oggi, soprattutto per i temuti effetti collaterali, ma anche per scarsa conoscenza dei potenziali benefici derivanti, la dimenticanza o i costi (laddove a carico dei pazienti).
I contraccettivi orali, invece, non vengono usati come farmaco-prevenzione, ma il loro vasto uso per evitare gravidanze ha la conseguenza di ridurre notevolmente il rischio di tumori dell’ovaio e dell’endometrio.
Oltre alle terapie ormonali, un farmaco che si è rivelato interessante per la protezione contro i tumori è la cardioaspirina, l’acido acetilsalicilico a basse dosi utilizzato per la prevenzione del rischio cardiovascolare. Sono diversi gli studi che ne hanno riportato le potenzialità per la prevenzione di diversi tipi di cancro, tra cui quelli del polmone, dell’esofago, del pancreas e dell’ovaio. Tuttavia, le evidenze più forti e coerenti riguardano la prevenzione del tumore al colon-retto, con una riduzione del rischio stimata intorno al 20-30%. Bilanciando rischi e benefici, però, le evidenze suggeriscono che la cardioaspirina possa essere vantaggiosa solo in una ristretta fascia di popolazione, non troppo anziana, non a rischio di sanguinamenti e con un determinato rischio cardiovascolare. Il ruolo dell’aspirina nella prevenzione dei tumori del colon appare molto interessante, specie nei soggetti con precedenti polipi adenomatosi e nella sindrome genetica di Lynch.
I meccanismi antitumorali ipotizzati per la cardioaspirina hanno a che fare soprattutto con la sua azione antinfiammatoria. Ciò rende potenzialmente interessanti come strategia di prevenzione anche altri farmaci della categoria, come il celecoxib. Importanti sembrano però anche la sua attività di aggregante antipiastrinico, unita alla capacità di influenzare la risposta immunitaria.
Rientrano nelle terapie di prevenzione tumorale di comprovata efficacia anche quelle a base di antinfiammatori (come diclofenac) o immunomodulanti (come l’imiquimod), utilizzati per esempio contro la cheratinosi attinica, una lesione precancerosa della pelle. Più controverso invece è il caso degli inibitori della 5-alfa reduttasi, come finasteride e dutasteride. Queste molecole, come riassumono gli esperti dell’American Cancer Society, hanno mostrato di poter ridurre il rischio di tumore alla prostata (secondo alcune stime, del 30% circa) e di poter aiutare a contrastare i fastidi dell’ipertrofia prostatica benigna, ma non riducono il rischio di tumori aggressivi, a fronte di effetti collaterali nella sfera sessuale non trascurabili.
Sono promettenti gli studi effettuati non solo su nuovi farmaci, ma anche quelli su composti già approvati e in uso per altre malattie – una strategia nota come “repurposing”. Accanto a molecole contro tumori per cui esistono prove più forti, c’è una lunga lista di sostanze su cui si sono accumulati i risultati di diversi studi osservazionali o in fase precoce di ricerca, per cui sarà necessario approfondire con ulteriori studi clinici.
Tra le molecole di interesse ci sono alcune ampiamente utilizzate da alcune fasce di popolazione per altre malattie, come la metformina per il controllo del diabete, oggetto di studio per la prevenzione del tumore al polmone in persone a rischio e obese. Anche le statine, utilizzate per abbassare i livelli di grassi nel sangue, sono indagate in questo filone di ricerca, per esempio come possibili agenti per la prevenzione del tumore dell’ovaio e dell’endometrio. In entrambi i casi i dati sono ancora preliminari.
Altre possibili strategie a fini di farmaco-prevenzione vengono dalla ricerca di base, senza che vi siano per ora evidenze che possano sostenerne l’uso negli esseri umani. Dati raccolti in animali di laboratorio hanno per esempio suggerito un ruolo come possibile agente preventivo per la rapamicina, ampiamente indagata negli studi sulla longevità, e che potrebbe essere utilizzata contro il cancro al polmone nei fumatori. Altre molecole di origine naturale, come la curcumina, sono studiate, tra l’altro, per la prevenzione di alcuni tumori del cavo orale e del fegato.
Proprio perché rivolta alle persone a più alto rischio, la farmaco-prevenzione intesa in senso stretto non comprende i vaccini, che sono invece raccomandati a tutta la popolazione. Tra i vaccini che aiutano a prevenire i tumori, ci sono quello contro il virus dell’epatite B e quello contro alcuni ceppi di Papillomavirus umani (anti-HPV).
Tuttavia, va ricordato che la farmaco-prevenzione può aiutare a ridurre il rischio di tumori in persone che hanno già avuto un cancro o hanno lesioni precancerose, come ha riportato l’American Association for Cancer Research (AACR). In alcuni casi si parla, in gergo, di agenti intercettivi, ovvero capaci di intercettare lo sviluppo di un tumore. Per questo i vaccini contro l’HPV, offerti anche a chi ha già sviluppato lesioni causate da un’infezione con il virus, potrebbero essere considerati una forma di farmaco-prevenzione secondo gli esperti. Sebbene a oggi il loro utilizzo in chi ha già avuto lesioni precancerose abbia uno scopo profilattico, per proteggere da nuove infezioni e rischi correlati (dal momento che esistono tanti tipi di Papillomavirus umani), sono allo studio vaccini terapeutici contro l’HPV che potrebbero estendere l’utilizzo di questa particolare forma di farmaco-prevenzione.
In conclusione, a oggi nella pratica clinica la forma di farmaco-prevenzione che trova più utilizzo è quella che si rivolge a persone considerate ad alto rischio perché hanno già sviluppato una neoplasia in passato. Di fatto in questa accezione la farmaco-prevenzione può essere considerata una forma di prevenzione terziaria, per evitare ricadute di malattia dopo il trattamento iniziale. Rientrano in questa categoria le terapie utilizzate per scongiurare il rischio che la malattia si ripresenti, come le terapie ormonali che vengono somministrate alle donne operate per tumore al seno (con i già citati tamoxifene e gli inibitori dell’aromatasi, quali l’anastrozolo e l’exemestane) o negli uomini con tumore alla prostata in seguito a chemio o radioterapia, per esempio. Ma allo stesso modo potrebbero essere considerate farmaco-prevenzione anche terapie adiuvanti di diversa natura impiegate per diversi tipi di tumori, come alcune forme di chemioterapia e immunoterapia.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Autore originale: Agenzia Zadig
Revisione di Anna Lisa Bonfranceschi in data 30/01/2025
Agenzia Zadig
Articolo pubblicato il:
30 gennaio 2025