Ultimo aggiornamento: 20 marzo 2020
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A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, con l’introduzione del Pap-test, sono stati organizzati massivi programmi di screening che hanno consentito di ridurre fortemente l’incidenza del tumore della cervice uterina e la relativa mortalità, sia in Italia sia negli altri Paesi avanzati. I progressi della ricerca (che hanno associato lo sviluppo del tumore del collo dell’utero all’infezione da Papillomavirus, in sigla HPV) e quelli delle tecniche diagnostiche (in particolare lo sviluppo di test molecolari) hanno però recentemente modificato questo approccio. A oggi è infatti disponibile un’ulteriore metodo di screening, l’HPV DNA test, che permette di rilevare la presenza di DNA di ceppi di HPV ad alto-medio rischio, prima ancora che le cellule del collo dell’utero presentino alterazioni riscontrabili con il Pap-test.
L’esame di riferimento per le donne di età compresa tra i 30 e i 65 anni è diventato dunque l’HPV DNA test (o più semplicemente HPV test), da ripetersi ogni 5 anni, mentre per le donne tra i 25 e i 29 anni rimane il Pap-test da effettuarsi ogni 3 anni. Il Sistema sanitario italiano, attraverso le Regioni, è impegnato a modificare il programma di screening entro la fine del 2020.
I test effettuati quando si aderisce allo screening sono gratuiti e per la donna l’esame è identico: sia per il Pap test sia per l’HPV DNA test si tratta di un prelievo indolore di un campione di cellule del collo dell’utero.
È stato dimostrato che il tumore del collo dell’utero nel 99 per cento dei casi ha come causa l’infezione da Papillomavirus e che circa l’80 per cento delle donne contrae l’infezione nel corso della propria vita. Nella maggior parte dei casi il virus viene facilmente eliminato dall’organismo, l’infezione è quindi temporanea e tende a regredire spontaneamente in 1-2 anni, senza causare lesioni uterine (cosiddette precancerose). Nella piccola percentuale di donne in cui l'infezione diventa persistente, soltanto una parte sviluppa le lesioni che precedono il cancro invasivo. Il processo tumorale è in genere lento: sono necessari circa 10-15 anni prima che l’infezione da HPV, una volta instauratasi, porti allo sviluppo del cancro. Nelle donne che si sottopongono regolarmente ai controlli, si ha quindi il tempo necessario per rilevare l’infezione e diagnosticare eventuali lesioni precancerose che, se non trattate, potrebbero evolvere verso un tumore invasivo.
L'esame è indolore e viene eseguito con le stesse modalità di una visita ginecologica. Inizialmente viene inserito uno speculum, che è uno strumento che dilata leggermente le pareti vaginali, e successivamente si procede al prelievo delle cellule poste sulla superficie del collo dell’utero e del canale cervicale, mediante una spatola e uno spazzolino. Il materiale prelevato viene poi fissato su un vetrino e inviato in laboratorio per valutare la presenza di cellule anomale (per i consigli pratici consulta la voce Pap-test nella Guida esami).
L'oncologo medico Sandro Pignata parla della diagnosi precoce del tumore della cervice uterina attraverso il Pap-test.
Lo screening per il tumore del collo dell'utero in Italia prevede l'esecuzione di un Pap-test ogni tre anni nelle donne con un'età compresa tra i 25 e i 29 anni.
Non è raccomandato eseguire il Pap-test prima dei 25 anni. Le infezioni da Papillomavirus sono infatti più frequenti nelle fasce di età più giovani, ma nella quasi totalità dei casi regrediscono spontaneamente. Sottoporsi all'esame precocemente, dunque, esporrebbe le donne giovanissime a controlli di secondo livello e al possibile riscontro e successivo trattamento di lesioni che sarebbero regredite spontaneamente.
Lo screening è raccomandato fino ai 65 anni. Oltre questa età, se tutti i Pap-test precedenti sono sempre stati negativi, la scelta di eseguirlo è personale perché il rischio di sviluppare un tumore del collo dell’utero si abbassa considerevolmente.
Se il Pap-test risulta positivo, la paziente viene sottoposta a un esame di secondo livello, la colposcopia, che consente, mediante uno strumento particolare e l’utilizzo di specifiche colorazioni, una visione ingrandita del collo dell’utero e delle eventuali lesioni rilevate con il test di screening. Nel caso in cui l’esame colposcopico evidenzi la presenza di aree anomale, si procede a una biopsia. Se la lesione precancerosa viene confermata, la si asporta con procedure micro-chirurgiche eseguite ambulatorialmente e in anestesia locale.
Non tutte le lesioni pretumorali necessitano tuttavia del trattamento. Le lesioni di basso grado, infatti, hanno un’alta probabilità di regredire spontaneamente. È per questo, soprattutto nelle pazienti giovanissime, che generalmente si preferisce monitorarle nel tempo anziché intervenire. Questa condotta, definita di attesa, serve a evitare interventi invasivi che si potrebbero dimostrare inutili. Nel caso in cui, invece, la lesione di basso grado persista, o sia riscontrata una lesione di alto grado confermata anche all’esame istologico, è raccomandata l'asportazione.
L’HPV test è un test molecolare che ricerca il DNA dei ceppi di Papillomavirus ad alto rischio oncogeno e quindi più frequentemente associati allo sviluppo del carcinoma della cervice uterina. La metodica dell’esame è la stessa del Pap-test (per i consigli pratici consulta la voce HPV test nella Guida esami).
L'oncologo medico Sandro Pignata spiega che cos’è il Papilloma virus e in che cosa consiste l’HPV test.
L’HPV test viene raccomandato a partire dai 30 anni di età fino ai 65 anni, e deve essere eseguito ogni 5 anni. Il test presenta una maggiore sensibilità ed efficacia rispetto al Pap-test, perché consente di rilevare la presenza del virus ancora prima che questo abbia avuto la possibilità di generare lesioni precancerose.
È importante precisare che l'eventuale positività all'HPV test non corrisponde a una diagnosi di tumore.
È piuttosto un segnale che sono necessari ulteriori accertamenti. Il materiale prelevato per l’HPV test viene infatti esaminato anche al microscopio (in un esame che prende il nome di Pap test di triage). Se questo esame evidenzia la presenza di alterazioni a carico delle cellule, si procede con la colposcopia. Nel caso in cui la valutazione citologica invece non evidenziasse nessuna atipia, la paziente ripeterà l’HPV test a un anno di distanza.
In definitiva, dunque, aderire allo screening aumenta notevolmente le probabilità di individuare un tumore a uno stadio di sviluppo molto precoce e quindi di intervenire con i trattamenti adeguati caso per caso.
È raccomandato a tutte le donne che si siano sottoposte a vaccinazione anti HPV di aderire ugualmente allo screening. Sono stati identificati circa 200 ceppi differenti di HPV, e i vaccini attualmente presenti in commercio offrono la protezione solo contro 9 ceppi, che sono quelli considerati ad alto rischio perché più frequentemente associati all’insorgenza del tumore. Non è escluso però che un ceppo classificato come a basso rischio possa instaurare una infezione persistente e così portare allo sviluppo di lesioni precancerose o di un cancro invasivo. Quindi vaccinarsi diminuisce il rischio di ammalarsi ma non lo annulla del tutto.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Michela Vuga