Obesità e cancro

Per molti le conseguenze dell’obesità sono soprattutto un problema estetico, ma le implicazioni sanitarie vanno purtroppo ben oltre l’aspetto psicologico. Infatti l’eccesso di peso, oltre una determinata soglia, costituisce il secondo fattore di rischio evitabile, dopo il fumo di sigaretta, per l’insorgenza di almeno 16 tipi di tumori e numerose altre serie malattie. Manca ancora però una piena conoscenza dei meccanismi attraverso i quali l’eccesso di peso corporeo aumenta il rischio di ammalarsi di cancro.

Che cosa si intende per obesità?

Il sovrappeso e l’obesità sono condizioni caratterizzate da un aumento della massa corporea dovuto a uno squilibrio tra energia introdotta e consumata. La causa risiede principalmente in abitudini e comportamenti non salutari, in particolare abitudini alimentari malsane e sedentarietà. Entrambe le condizioni sono associate a una maggiore incidenza di malattie come il diabete di tipo 2, l’ipertensione, i problemi cardiovascolari, respiratori e i tumori. Il parametro più utilizzato per misurare l’entità del problema è l’indice di massa corporea, spesso abbreviato con l’acronimo inglese BMI. Il BMI si calcola dividendo il peso in chili per l’altezza in metri al quadrato (kg/m2). Per esempio: un adulto che pesa 65 kg ed è alto 1,70 m ha un indice di massa corporea pari a 22,5. Un BMI ottimale è compreso tra 18,5 e 24,9. Le persone con un BMI tra 25 a 29,9 sono invece considerate sovrappeso, mentre sono considerati obesi gli individui con un valore di BMI compreso tra 30 e 34,9 (obesi di classe 1), 35 e 39,9 (obesi di classe 2) o superiore a 40 (obesi di classe 3).

La prevalenza dell’obesità è in costante e preoccupante aumento non soltanto nei Paesi occidentali, ma anche in quelli a basso e medio reddito. Nessuna nazione è riuscita finora a invertire l’epidemia in corso, sebbene si stiano registrando alcuni segnali positivi di cambiamento derivanti principalmente da un appiattimento della prevalenza dell’obesità infantile. Gli individui in sovrappeso appartengono più di frequente a gruppi socialmente vulnerabili, perché hanno minore accesso a educazione di qualità e a informazioni adeguate su abitudini, comportamenti e salute. Inoltre a volte vivono in zone che non si prestano a stili di vita attivi. Molto di frequente, inoltre, i cibi più economici hanno una minore qualità nutrizionale e una elevata densità energetica.

Oggi sappiamo che il peso corporeo di un individuo è determinato dall’interazione multipla e complessa di fattori genetici, comportamentali e ambientali. Se alla genetica in maniera esclusiva può essere ascritta soltanto una piccola quota dei casi di obesità, ben più rilevante è il contributo determinato dall’effetto dell’ambiente su alcuni geni di suscettibilità (sono oltre 40 quelli conosciuti). Questi ultimi rappresentano un terreno fertile per lo sviluppo di questa condizione a fronte di comportamenti poco salutari. Anche in questo caso, in cima alla lista compaiono una dieta ricca di alimenti energetici e l’inattività fisica.

Perché oggi l’obesità è più diffusa rispetto al passato?

L’aumento della diffusione dell’obesità è stato anche favorito dai processi di modernizzazione e di transizione economica che hanno portato a una progressiva industrializzazione di aree precedentemente rurali e a scambi commerciali su scala globale. Tali cambiamenti hanno determinato notevoli miglioramenti degli standard di vita, ma anche alcune conseguenze negative. L’industria alimentare ha infatti modificato la qualità degli alimenti abitualmente consumati. La stagionalità è stata superata, le porzioni degli alimenti sono diventate sempre più abbondanti e la disponibilità di cibi ipercalorici supera di gran lunga il fabbisogno. La diffusione del trasporto motorizzato, degli elettrodomestici e dei macchinari per il lavoro hanno favorito inoltre una vita sempre più sedentaria. Tutti questi fattori, combinati con aspetti genetici e altri determinanti ambientali, come per esempio l’educazione e gli esempi familiari, rappresentano alcune cause importanti dell’incremento dell’obesità nel mondo.

Ci sono malattie che possono farci diventare obesi?

Si può diventare obesi in conseguenza di una malattia o dei farmaci che per questa si assumono? La risposta è affermativa, anche se si stima che meno di un quinto dei casi di obesità sia da ascrivere a una ragione di questo tipo. Tra le malattie che aumentano il rischio di obesità ci sono diverse sindromi genetiche rare, l’ipotiroidismo, la sindrome di Cushing, il deficit dell’ormone della crescita, alcuni disturbi dell’alimentazione (per esempio il disturbo da alimentazione incontrollata e la sindrome da alimentazione notturna) e alcuni problemi psichiatrici. Tra i farmaci che possono aumentare il rischio di obesità, invece, i più comuni sono l’insulina, le sulfaniluree e i tiazolidindioni (sempre per la cura del diabete), gli antipsicotici di seconda generazione (utilizzati per curare la schizofrenia, il disturbo bipolare, le psicosi e alcune forme di depressione), gli antidepressivi e gli anticonvulsivanti (fenitoina e valproato), i beta bloccanti e alcuni contraccettivi ormonali. Infine, alcuni agenti infettivi potrebbero influenzare il metabolismo e favorire lo sviluppo di obesità. È stato dimostrato che il microbiota intestinale ha caratteristiche diverse nelle persone magre rispetto a quelle obese, e che questo può influenzare la capacità di assorbimento dei nutrienti. Quello che non è ancora chiaro, però, è se tali differenze siano la causa o la conseguenza dell’obesità. Inoltre, è stata osservata un’associazione tra alcune infezioni virali e obesità sia negli esseri umani sia in numerose altre specie animali. Anche questa correlazione è però ancora da determinare con precisione.

Come si può curare l’obesità?

L'obesità è una malattia e come tale va trattata. A gestire problemi di questo tipo dovrebbero essere preferibilmente un medico nutrizionista e uno psicologo esperto di disturbi dell’alimentazione. Gli specialisti possono stabilire le cause più probabili dell’aumento di peso e valutare le strategie più efficaci per affrontare il problema. Il primo passo per chi non ha mai provato a perdere il peso in eccesso consiste in una modifica alla dieta, un correttivo tanto più efficace quanto più è precoce. Nei casi più gravi, quando questi accorgimenti non bastano, ci sono altre possibili strade da percorrere, tra cui la terapia farmacologica e la chirurgia bariatrica. I dati di efficacia riguardanti la prima sono stati ottenuti soprattutto per persone obese di grado 1, con un indice di massa corporea compreso tra 30 e 34. Attualmente tra i farmaci che possono essere prescritti in questi casi vi sono l’orlistat (da assumere per via orale trenta minuti prima di ogni pasto per ridurre l’assorbimento dei grassi) e la liraglutide (un antidiabetico che viene iniettato e che contribuisce a ridurre l’appetito). Sebbene necessitino di una prescrizione medica per essere acquistati, non sono mutuabili e il costo è interamente a carico dei pazienti. Un aspetto di non poco conto, se si considera che un ciclo di terapia ha una durata minima di un anno. Una soluzione più estrema, quella del bisturi, viene offerta a chi ha già visto fallire uno dei precedenti approcci o a chi si presenta dallo specialista con un’obesità già molto grave. Le opportunità chirurgiche sono diverse e la scelta si basa sulle caratteristiche di ciascun paziente. Alcune procedure – come il bendaggio gastrico e l’inserimento del palloncino intragastrico – sono reversibili, altre invece sono definitive e agiscono anche sul sistema ormonale. È il caso della gastrectomia verticale, del bypass gastrico e della diversione biliopancreatica. Si parla quindi sempre più spesso di chirurgia del metabolismo, perché tra i vantaggi di questi interventi c’è anche quello di curare le quasi sempre concomitanti diagnosi di diabete di tipo 2. Un vantaggio di non poco conto, che consente ai pazienti di fare a meno dei farmaci per tenere sotto controllo la glicemia.

Quali sono i tumori associati all’obesità?

I risultati di numerosi studi hanno mostrato un’associazione positiva tra obesità, incidenza e mortalità per diverse forme di cancro. Grazie agli studi condotti anche da ricercatori sostenuti da Fondazione AIRC, sappiamo che sono almeno dodici i tumori attualmente correlati all’obesità: a quelli che colpiscono l’apparato digerente – e dunque l’esofago, lo stomaco, il colon-retto, il fegato, il pancreas e la colecisti – vanno aggiunti i tumori specifici del genere femminile (del seno, dell’utero e dell’ovaio) e, anche se in misura meno significativa, quelli della tiroide, del rene e della prostata. Una correlazione meno forte tra obesità e tumori è emersa anche riguardo al mieloma multiplo, alla leucemia promielocitica acuta e al meningioma.

Oltre a convivere con un maggior rischio di ammalarsi, le persone obese sviluppano più di frequente tumori particolarmente aggressivi e difficili da curare, e hanno significative probabilità di dover affrontare la recidiva di un precedente tumore o di andare incontro a complicanze durante le cure. Questo anche perché in questi pazienti è più difficile dosare i trattamenti a causa dell’alterata distribuzione dei farmaci nel grasso corporeo.

In che modo l’obesità può provocare un tumore?

Gli scienziati – tra cui anche alcuni sostenuti da Fondazione AIRC hanno finora riconosciuto che il grasso in eccesso incrementa la produzione di ormoni della crescita e sessuali, oltre all’infiammazione: tre condizioni che sono associate a una maggiore probabilità che le cellule aumentino il numero di cicli riproduttivi fino a perderne il controllo, portando alla formazione di cellule tumorali. Tra i tumori associati all’obesità, quelli che possono colpire gli organi dell’apparato digerente sono più spesso la conseguenza di uno stato infiammatorio prolungato. Anche perché è soprattutto la presenza di grasso addominale e viscerale – quello, cioè, non palpabile poiché situato in profondità, intorno agli organi centrali del corpo – a rappresentare un fattore di rischio. Ecco perché si dice che la circonferenza della vita è con ogni probabilità un parametro più attendibile rispetto al peso corporeo e al BMI. Quanto agli estrogeni, sintetizzati anche direttamente dal tessuto adiposo, una loro presenza eccessiva nell’organismo accresce le probabilità di ammalarsi di cancro (del seno, dell'utero e dell'ovaio) soprattutto per le donne. L’obesità, inoltre, rende più difficile per i tessuti assorbire gli zuccheri. Così il pancreas finisce per incrementare la produzione di insulina, senza che questa riesca però a ridurre sensibilmente il livello di zuccheri nel sangue. La conseguenza è un aumentato rischio di diabete, che può favorire l’insorgenza di alcuni tipi di cancro, come quelli che colpiscono il colon e il rene. Inoltre l’insulina favorisce la produzione di un fattore di crescita, chiamato IGF-I, che è un vero e proprio “alimento” per le cellule in generale e in particolare per quelle cancerose.

Cosa fare per proteggersi dal cancro?

Mantenersi nell’intervallo di un peso nella norma è con ogni probabilità una delle strategie più efficaci per ridurre il rischio controllabile di cancro. È importante rientrare in questa fascia per l’intera durata della vita, per due ragioni. In primo luogo, chi è in sovrappeso o obeso in giovane età ha maggiori probabilità di esserlo per tutta la vita. In secondo luogo i tumori sono malattie tipiche dell'invecchiamento e quindi meglio si arriva ad affrontare l’ultima tappa della vita e minore sarà il rischio di dover fare i conti con una malattia oncologica.

Per mantenere il peso nella norma, partendo dalla tavola, è importante:

  • consumare a ogni pasto alimenti ricchi di acqua e di fibra, come frutta e verdura;
  • misurare le porzioni, senza sentirsi obbligati a consumare tutto ciò che è nel piatto;
  • evitare di mangiare regolarmente piatti troppo elaborati o alimenti ultraprocessati;
  • fare la spesa in maniera oculata, limitando a casi eccezionali l’acquisto di snack dolci e salati e di bevande gassate e zuccherate.

Lo schema alimentare da prediligere è la dieta mediterranea. Allo stesso modo è importante non dimenticarsi dell’attività fisica. Per chi ha già un peso nella norma, l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di effettuare almeno 150 minuti di attività fisica moderata (prevalentemente aerobica) alla settimana. Un valore che va raddoppiato (fino a 300 minuti) se una persona ha invece necessità di dimagrire. Queste indicazioni si trovano anche nel Codice europeo stilato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione.

L’obesità può far ammalare di cancro anche i bambini?

Quando si parla di obesità, spesso ci si riferisce a quella infantile. Questa condizione era abbastanza rara fino a quattro decenni fa, ma oggi riguarda quasi un bambino su dieci, anche in Italia. L’eccesso di peso corporeo fin da bambini rischia di perdurare per tutta la vita e, di conseguenza, di esporre le persone a un rischio più alto di ammalarsi di cancro e numerose altre malattie. Non esiste, invece, alcuna correlazione tra l’obesità infantile e la probabilità di sviluppare un tumore pediatrico. Queste malattie, che ogni anno in Italia colpiscono poco più di 2.200 tra bambini e adolescenti, sono dovute perlopiù a fattori genetici che non all’influenza degli stili di vita. Di conseguenza, l’obiettivo di favorire il mantenimento di un adeguato peso corporeo nei più piccoli non ha nulla a che fare con il rischio di ammalarsi di cancro nel corso dell’età infantile o dell’adolescenza. Ciò non toglie che sia un obiettivo di prevenzione oncologica comunque importante per prevenire l’insorgere di tumori negli adulti di domani.

L’importanza di controllare il peso anche dopo la malattia

Negli ultimi anni è emerso che anche chi è già malato di cancro deve fare molta attenzione alla dieta. Durante le terapie oncologiche, la priorità è in genere evitare uno stato di malnutrizione, che può rendere meno efficaci le terapie. Per le persone in sovrappeso o obese, però, è importante raggiungere un adeguato peso corporeo per ridurre il rischio di recidive, oltre che la mortalità complessiva. Per questo motivo anche ai pazienti oncologici, in particolare a quelli che hanno tumori dell’apparato digerente o “alimentati” dagli ormoni, tra cui il tumore del seno, si raccomanda di seguire alcune prescrizioni dietetiche. In linea generale, con le dovute differenze legate alle condizioni individuali, rimangono valide le raccomandazioni diffuse a scopo preventivo dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC). Ma soprattutto, se le condizioni fisiche lo consentono, i pazienti oncologici devono poter svolgere un’attività fisica.

Via libera allo sport durante le terapie

Nel 2021 lo svolgimento di una regolare attività fisica è stato raccomandato per la prima volta anche dall’American Society of Clinical Oncology (ASCO), la principale società scientifica di oncologia medica a livello mondiale. La pratica sportiva durante le terapie riduce infatti i rischi di recidiva e di mortalità con un’efficacia paragonabile a quella dei farmaci. Essa contribuisce inoltre a una migliore gestione di effetti collaterali, quali l’affaticamento, il dolore e la nausea. La correlazione è stata provata soprattutto per alcuni dei tumori più diffusi, come quelli che colpiscono il seno, la prostata, il polmone e il colon-retto. Un insieme che, in Italia, rappresenta almeno il 50 per cento delle diagnosi di cancro. Per trarre benefici ed evitare gli infortuni, gli esercizi da svolgere durante le terapie devono essere di tipo aerobico e mirati ad aumentare la resistenza. Le discipline maggiormente raccomandate sono la corsa, il ciclismo e il nuoto. Questo non vuol dire, però, che esse siano alla portata di tutti, né che altre risultino sconsigliate a priori. L’importante è evitare il fai-da-te. E, se possibile, chiedere indicazioni agli specialisti.

  • Fabio Di Todaro

    Laureato in scienze biologiche (indirizzo biologia della nutrizione), è giornalista professionista dal 2010. Dopo aver lavorato nella redazione di Altroconsumo e in seguito a una lunga esperienza in Fondazione Umberto Veronesi, ha vinto il concorso nazionale bandito dalla Rai e lavorato per un anno nella redazione della Tgr Basilicata. La passione per il giornalismo medico-scientifico lo ha riportato però alle origini: attualmente è giornalista medico-scientifico della rivista specializzata AboutPharma e collaboratore di Fondazione AIRC. Per oltre dieci anni ha collaborato con i quotidiani La Gazzetta del Mezzogiorno, La Stampa e La Repubblica. È membro dell'Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione (Unamsi) e dell’associazione Science Writers in Italy (Swim).
  • Articolo pubblicato il:

    16 marzo 2023