I risultati di un numero crescente di studi stanno dimostrando l'importanza di una sana alimentazione nella prevenzione del cancro. In particolare, l'OMS annovera una dieta sana ed equilibrata tra le abitudini che concorrono a uno stile di vita salutare, grazie al quale si possono prevenire 4 tumori su dieci.
Il legame tra abitudini alimentari malsane e cancro in alcuni casi dipende dalla presenza in determinati alimenti di sostanze che favoriscono lo sviluppo della malattia. Tra questi vi sono:
Che la dieta possa incidere sul rischio di ammalarsi di cancro è ormai acclarato. Detto ciò, non è possibile stimare un rischio individuale sulla base del proprio regime alimentare. Le evidenze epidemiologiche non possono infatti essere tradotte in raccomandazioni sui livelli di assunzione dei nutrienti per i singoli individui, anche perché sul rischio oncologico incidono contemporaneamente più fattori. Come consiglio generale, si può però dire che una dieta di tipo mediterraneo o comunque con una notevole quantità di vegetali rappresenta il modello di alimentazione ideale per la prevenzione dei tumori. Ed è tanto più efficace quanto più precoce è la sua adozione. Fermo restando che non è mai troppo tardi per modificare le proprie abitudini.
Il rischio di ammalarsi di cancro a causa di un’alimentazione non equilibrata varia a seconda del tipo di tumore. La conferma viene da alcuni grandi studi epidemiologici, tra cui il più “vicino” a noi è l'European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC), che ha indagato l’impatto delle abitudini alimentari dei cittadini europei sulla loro salute. “Vicino” in quanto a EPIC hanno contribuito anche epidemiologi sostenuti da Fondazione AIRC.
Tra coloro che seguono una dieta poco salutare, aumenta in particolare il rischio di sviluppare tumori che colpiscono gli organi dell’apparato digerente. Per esempio, quelli del cavo orale (soprattutto tra chi consuma di frequente bevande alcoliche), dell'esofago, dello stomaco e del colon-retto, seguiti dalle neoplasie che possono colpire il fegato, la colecisti e le vie biliari e il pancreas. Le stime, complessivamente, portano a ritenere che oltre 7 casi su 10 di queste malattie oncologiche possano essere evitati migliorando la dieta.
Le possibili conseguenze di una dieta poco equilibrata non sono solo a carico degli organi a diretto contatto con gli alimenti. Le conclusioni degli studi pubblicati negli ultimi quindici anni hanno infatti permesso di scoprire che una dieta non salutare può aumentare anche il rischio di ammalarsi di tumori della prostata, del seno, dell'ovaio e del corpo dell’utero. Un incremento riscontrato in particolare in uomini e donne in sovrappeso e obesi, e dovuto con ogni probabilità all’aumento dello stato infiammatorio e dei livelli degli ormoni sessuali circolanti.
La maggior parte delle informazioni su come gli alimenti influenzano il rischio di sviluppare un tumore derivano da studi epidemiologici. In tali studi si osserva una determinata popolazione lungo un arco temporale piuttosto lungo (in genere decenni), si prende nota del tipo di alimentazione assunta per anni e si osserva la frequenza con cui le persone sviluppano le diverse malattie oncologiche. È grazie a studi di questo tipo, per esempio, che si è potuto osservare nel tempo che chi mangia più di 500 grammi di carne rossa alla settimana ha un rischio maggiore di sviluppare un tumore del colon-retto. Gli studi epidemiologici non sono però in grado di dirci perché un alimento ci difende o meno dal rischio di ammalarsi di cancro. Per ottenere queste informazioni, occorre indagare la composizione di un alimento in laboratorio, una ricerca che viene portata avanti in condizioni che sono però molto diverse da quelle reali. La nostra dieta, infatti, non è mai composta da un singolo alimento, né rappresenta l’unico fattore in grado di influenzare il rischio oncologico. Sulle probabilità di ammalarsi o meno, infatti, agiscono anche altri alimenti, oltre a fattori genetici o legati a comportamenti e abitudini. Si pensi per esempio al fumo di sigaretta, alla sedentarietà, al vivere in un luogo particolarmente inquinato o allo svolgere professioni a rischio. Per questo, consapevoli del fatto che è la dieta nel suo complesso a determinare un effetto sulla salute, gli scienziati si sono concentrati sulle condizioni che si vengono a creare nel nostro corpo in seguito al consumo regolare di determinate categorie di alimenti. È grazie a questo percorso compiuto negli ultimi decenni che siamo arrivati alla consapevolezza che una dieta che favorisce l’aumento dei livelli di insulina nel sangue o della massa grassa (che concorre alla sintesi di ormoni della crescita e sessuali) stimola la proliferazione delle cellule. Così come siamo altrettanto sicuri del beneficio conferito dalla combinazione di antiossidanti e fibre che ci garantiamo attraverso il consumo regolare di frutta e verdura. Tutti questi meccanismi contribuiscono, in varia misura, a tenere a bada la formazione dei tumori.
Un'alimentazione sana, che aiuti a proteggersi non solo dal cancro ma anche dalle malattie cardiovascolari e neurodegenerative, richiede soprattutto di ridurre drasticamente l'apporto di grassi e proteine animali e di favorire l'assunzione di cibi ricchi di vitamine e fibre. Per questo occorre portare a tavola almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno. Inoltre bisogna ridurre le proteine di origine animale, consumando non più 2-3 volte alla settimana gli alimenti che ne contengono, dare più spazio ai legumi e privilegiare i cereali integrali. Di fatto si tratta dei dettami della dieta mediterranea i cui benefici per la salute sono molteplici. Tra questi, una riduzione del rischio di ammalarsi di cancro, determinato dalla sinergia di diverse componenti: una migliore regolazione del peso corporeo, l’apporto di micronutrienti antiossidanti (vitamina C, vitamina E, folati, carotenoidi, selenio, zinco) e il controllo dell’infiammazione (garantito da un apporto contenuto di proteine di origine animale). Per quanto riguarda quest'ultimo punto, da evitare sono soprattutto le carni rosse (manzo, vitello, maiale, capra, agnello, montone e cavallo), lavorate a livello industriale e trasformate (insaccati, salumi e carni in scatola). Un eccessivo consumo di carni rosse mette a rischio soprattutto il colon-retto, ma i risultati di varie ricerche mostrano che aumenta la possibilità di sviluppare anche altre forme di cancro: per esempio allo stomaco, al pancreas e alla prostata. Per garantirsi un adeguato apporto proteico, è consigliabile invece puntare sui legumi, tra cui innanzitutto la soia. Che svolga verosimilmente un ruolo protettivo rispetto al rischio di ammalarsi di tumore al seno la comunità scientifica lo ha compreso valutando la bassa incidenza di questa malattia nelle popolazioni asiatiche, che fanno un largo uso di questo alimento. I benefici sono probabilmente da ascrivere all’elevato contenuto di isoflavoni, sostanze molto simili nella loro struttura agli estrogeni e in grado di occupare gli stessi recettori sulle cellule, ma senza determinare analoghi effetti biologici. Ecco perché un consumo regolare di soia, fin dalla giovane età, è considerato utile alla prevenzione dei tumori sensibili agli ormoni, ovvero principalmente quello al seno nella donna e quello alla prostata nell’uomo.
Le linee guida sulla sana alimentazione e sulla prevenzione di pressoché tutte le malattie croniche raccomandano di seguire un’alimentazione ricca soprattutto di frutta e verdura. Lo stesso vale per la prevenzione del rischio oncologico: le persone che seguono diete povere di questi alimenti sono più esposte al rischio di sviluppare diversi tipi di tumore. Via libera dunque ai vegetali – non amidacei, quindi diversi dai tuberi – nella dieta. L’ideale sarebbe consumare le famose cinque porzioni al giorno di frutta (150 grammi a porzione) e verdura (200 grammi) al giorno. Ma quali sono i vegetali da scegliere dall’ampio bancone di un fruttivendolo? In linea generale non esistono divieti categorici né “super-alimenti”. Una prima regola da seguire è quella della varietà, a partire dal colore. Portando a tavola un “paniere” quanto più possibile assortito di frutta e verdura, ci si garantisce infatti un apporto di tutte le vitamine e i sali minerali di cui abbiamo bisogno per proteggere la nostra salute, senza bisogno di ricorrere agli integratori, che non hanno lo stesso effetto benefico. L’apporto di nutrienti e le proprietà anticancro dei diversi alimenti sono emerse da numerose ricerche, anche se prevalentemente di laboratorio. Un ruolo di primo piano nella prevenzione oncologica lo occupano gli agrumi, ricchi di vitamina C, e i frutti di bosco, che sono un concentrato di sostanze antiossidanti in grado di proteggere il DNA da mutazioni potenzialmente cancerogene. A questi si aggiungono le verdure a foglia verde, come insalata, erbette e spinaci, molto ricche di folati, che a loro volta proteggono il DNA da mutazioni. Vi sono poi ortaggi quali le carote e la zucca, per l’apporto di antiossidanti, e il pomodoro, per il contenuto di licopene, una sostanza che sembra ridurre il rischio di insorgenza del tumore della prostata. Non sono da dimenticare le crucifere: verze, cavolfiori, broccoli, cavolini di Bruxelles, cime di rape, rucola, ravanelli e crescione, nell’insieme sembrano avere un impatto protettivo contro il tumore al seno, al polmone, al colon-retto, alla prostata e alla vescica.
Numerosi studi hanno evidenziato un’associazione tra l'obesità e l'incidenza e la mortalità di diverse forme di cancro. Chi è obeso, sulla base del valore dell’indice di massa corporea, convive di fatto con una maggiore probabilità di sviluppare una malattia oncologica. Grazie agli studi condotti anche da ricercatori sostenuti da Fondazione AIRC, sappiamo che i tumori attualmente correlati all’obesità sono 15 (seppur con gradi di evidenza differenti). Si tratta di tutti quelli che colpiscono l’apparato digerente (dunque l’esofago, lo stomaco, il colon-retto, il fegato, il pancreas e la colecisti) e di quelli specifici del genere femminile (cioè le neoplasie del seno, dell’utero e dell’ovaio). La correlazione tra chili in eccesso e rischio di malattia è emersa anche per i tumori della tiroide, del rene e della prostata. E, seppur in modo più sfumato, anche per il mieloma multiplo, la leucemia promielocitica acuta e il meningioma. Oltre ad avere un maggior rischio di ammalarsi, le persone obese sviluppano più di frequente malattie maggiormente aggressive e difficili da curare, e hanno significative possibilità di dover affrontare la recidiva di un precedente tumore o di andare incontro a complicanze durante le cure. Questo, con ogni probabilità, anche perché le dosi dei farmaci rischiano di essere troppo basse o troppo alte a causa della differente distribuzione del medicinale che si verifica nel grasso corporeo.
Grigliate, barbecue e altri tipi di cottura che espongono i cibi (carne, pesce, pollame) a temperature molto elevate producono composti chimici quali le amine eterocicliche e gli idrocarburi policiclici aromatici. Questi composti, in esperimenti di laboratorio, sono risultati mutageni, cioè capaci di provocare cambiamenti nel DNA che possono aumentare in particolare il rischio di sviluppare un cancro dello stomaco o del colon-retto. Per questo motivo è opportuno non ricorrere troppo spesso a questi metodi di cottura e comunque, quando lo si fa, associare sempre abbondanti verdure al pasto, in modo da limitare l’assorbimento di sostanze nocive nel tratto digerente. Anche durante la frittura, a temperature troppo elevate, si possono produrre sostanze tossiche (come l’acroleina). La bollitura è invece un modo di cucinare più salutare, ma va fatta attenzione a non prolungarla troppo, perché si potrebbero inattivare le vitamine idrosolubili (quelle del gruppo B e la C). Quando possibile, quindi, la cottura al vapore è da preferire, perché la temperatura è meno elevata e i nutrienti non si disperdono. Come cottura a secco, invece, nessun particolare problema a usare il forno tradizionale o a microonde. A patto, naturalmente, di considerare (anche qui) la temperatura massima che viene raggiunta.
L’alcol è considerato il terzo fattore di rischio (dopo il tabacco e l’ipertensione) per i decessi e per le invalidità in Europa e il principale per la salute dei giovani (in quanto aumenta le probabilità di incidenti stradali). I rischi più noti per la salute attribuibili all’alcol riguardano le conseguenze a carico del sistema nervoso centrale e del fegato (cirrosi epatica). Ma questa sostanza è anche, secondo la classificazione dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), un agente cancerogeno di tipo 1. Questo vuol dire che esistono sufficienti prove scientifiche della sua capacità di influenzare l'insorgenza dei tumori. Per diverso tempo l’alcol è stato considerato un fattore di rischio in primis per il fegato e poi per gli altri organi che compongono l’apparato digerente. Vista la facilità con cui va in circolo nell’organismo, però, nel tempo sono giunti ulteriori riscontri che hanno chiarito il legame tra il consumo di bevande alcoliche e il maggior rischio di insorgenza di diverse forme tumorali. Oggi l’alcol è considerato un fattore di rischio per lo sviluppo delle neoplasie del cavo orale, della faringe e della laringe, dell’esofago, dello stomaco, del colon-retto, del fegato e del pancreas. Un dato consolidato dalle conclusioni del grande studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), a cui hanno partecipato anche diversi ricercatori sostenuti da Fondazione AIRC. Già dai primi risultati, risalenti al 2011, è emerso che il 10 per cento di tutti i tumori che colpiscono gli uomini e il 3 per cento di quelli che colpiscono le donne sono attribuibili al consumo di alcolici. Venendo all’Italia, le stime diffuse attraverso i rapporti Istisan dell’Istituto superiore di sanità portano a stimare che una quota prossima al 4 per cento dei decessi per cancro sia correlata al consumo di alcol.
Succhi, spremute, frullati e centrifughe di frutta e verdura, purché privi di zuccheri aggiunti, possono sopperire almeno in parte a uno scarso apporto di alimenti vegetali nella dieta. Nel tè verde sono inoltre contenuti polifenoli dalle note proprietà anticancro chiamati catechine, che negli studi preclinici hanno dimostrato di poter svolgere una funzione protettiva contro i tumori della pelle, del colon-retto, del polmone, del seno e della prostata.
Sebbene a livello popolare siano spesso considerati come degli alleati per la salute, non è dimostrato che gli integratori riducano il rischio di sviluppare un tumore. Questo dicono le conclusioni di un’ampia metanalisi pubblicata a luglio 2022 sul Journal of the American Medical Association. Nonostante l’ampio numero di studi passati in rassegna, i ricercatori statunitensi hanno infatti stabilito che "le prove sono insufficienti per determinare se prevalgano i rischi o i benefici legati alla supplementazione con micronutrienti singoli o in composizioni multivitaminiche". La posizione è analoga a quella espressa dall’Organizzazione mondiale della sanità, attraverso l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC). "I riscontri sono ancora troppo deboli per raccomandare l'uso di integratori" ammoniscono gli esperti nel Codice europeo contro il cancro. Non solo "gli studi di intervento che li hanno testati non hanno stabilito alcun beneficio", ma anzi "in alcuni casi hanno rilevato effetti negativi, soprattutto quando sono state consumate dosi elevate". È il caso, per esempio, dell'assunzione di vitamina E del beta-carotene (precursore della vitamina A). Diverse ricerche hanno, infatti, mostrato che l’assunzione regolare del secondo micronutriente da parte di fumatori o di persone esposte a lungo all’amianto in contesti professionali aumenti il rischio di sviluppare un tumore del polmone. Quanto alla vitamina A, dosi moderate possono ridurre la densità minerale delle ossa e spianare la strada all'osteoporosi. Quelle elevate invece sono potenzialmente tossiche per il fegato e teratogene, in grado cioè di provocare malformazioni nello sviluppo di un feto.
Non si sa ancora bene perché ci sia una simile difformità tra gli effetti degli alimenti di origine vegetale e quelli degli integratori. È possibile che, nel primo caso, l'effetto benefico sia il risultato più dell’azione sinergica delle varie sostanze che non di quella della singola vitamina. Inoltre non è probabilmente trascurabile il ruolo delle fibre e di altri elementi presenti anche soltanto in tracce.
La carne rossa è un alimento molto discusso. Sulla sua cancerogenicità si è scatenato un ampio dibattito in seguito alla pubblicazione, nel 2015, dei risultati di un’analisi svolta dagli esperti dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione. I ricercatori, dopo aver analizzato i dati disponibili nella letteratura scientifica, hanno definito la carne rossa probabilmente cancerogena (classe 2A della classificazione IARC), e quella rossa lavorata sicuramente cancerogena (classe 1 della classificazione IARC). La valutazione (completata tenendo conto di studi condotti solo su una popolazione adulta) ha riguardato soprattutto la comparsa di un tumore del colon-retto, ma anche di altre forme di cancro, come quelle che possono interessare il pancreas, il seno, lo stomaco e la prostata. I rischi legati al consumo di carne sembrano dipendere soprattutto dai metodi di lavorazione: agli alimenti possono essere aggiunte sostanze pericolose, come nitrati e nitriti. Inoltre vi sono rischi legati alla cottura, in particolare quelle ad alta temperatura, per esempio alla griglia, o le fritture che determinano la formazione di sostanze potenzialmente dannose. Ma c’è un “però” da considerare. Gli studi che hanno portato a queste conclusioni sono tutti di natura epidemiologica. Una caratteristica che, come già spiegato, ci permette soltanto di parlare di aumento del rischio a fronte dell’esposizione a una determinata sostanza (la carne rossa o lavorata, in questo caso). Non è invece possibile stabilire con certezza che, dopo un consumo per un determinato periodo di tempo di un quantitativo superiore a quello considerato limite, ci si ammalerà sicuramente di una delle forme di cancro elencate. In generale il consumo di carne rossa o lavorata non deve superare i limiti raccomandati dalle Linee guida per una sana alimentazione redatte dal Centro di ricerca alimenti e nutrizione (CREA). La popolazione adulta non dovrebbe quindi mangiare più di una volta a settimana una porzione di carne rossa (pari a 100 grammi) e soltanto occasionalmente una porzione di carne lavorata (50 grammi).
Come nel caso della carne, il dibattito è molto acceso anche per quel che riguarda l’impatto che una dieta ricca di latte, latticini e formaggi può avere sul rischio di ammalarsi e di morire a causa di una forma di cancro. È bene chiarirlo: non abbiamo a disposizione studi completi e di elevata qualità, per cui al momento non è possibile trarre conclusioni definitive.
Ci sono però diversi indizi che segnalano un probabile effetto protettivo di una dieta ricca in latte e derivati rispetto al rischio di insorgenza di un tumore del colon-retto. I dati derivano quasi tutti da studi epidemiologici, dunque non sono in grado di indagare a fondo le cause di questa possibile correlazione. Soprattutto i latticini avrebbero un ruolo nella prevenzione di questa neoplasia, la terza più diffusa al mondo (dopo quelle al polmone e al seno). La ragione potrebbe risiedere nell’apporto di calcio, ritenuto in grado di legare i fattori infiammatori degli acidi biliari e di ridurre la proliferazione e la differenziazione cellulare. Un aspetto che, se confermato, potrebbe avere un ruolo analogamente protettivo anche contro il tumore dello stomaco.
Sono simili, anche se parziali, i riscontri riguardanti il rapporto tra il consumo di latte e il rischio di insorgenza di un tumore alla vescica.
Per il tumore della prostata, invece, un consumo frequente di latte e derivati aumenterebbe il rischio di ammalarsi. Il dato è però ancora provvisorio, così come lo sono quelli che riguardano una possibile correlazione con il tumore al seno. Al momento non ci sono dati solidi per poter sconsigliarne il consumo alle donne sane, mentre è meglio che le donne reduci dalla malattia assumano con moderazione il latte vaccino e i suoi derivati, poiché si ritiene che questo alimento possa far aumentare i livelli degli estrogeni.
Come indicazioni generali, al momento, le linee guida italiane consigliano un consumo di latte e yogurt nella popolazione adulta di 2-3 porzioni al giorno: pari a 250-375 millilitri (poco meno di due tazze). A queste vanno aggiunte tre porzioni settimanali di formaggio: da 50 o 100 grammi, a seconda che sia stagionato o fresco.
Sul piano del rischio oncologico, a fare la differenza è anche il tipo di latte e di formaggi che si scelgono. Quelli più ricchi in grassi, come tutti gli alimenti che contengono elevate quantità di questi macronutrienti, determinano un aumento delle probabilità di sviluppare condizioni (sovrappeso e obesità, aumento degli estrogeni circolanti e dell’infiammazione) che sono ritenute fattori di rischio per lo sviluppo di diverse forme di cancro.
Ai pazienti oncologici di norma vengono date indicazioni generali sulla dieta che ricalcano in larga parte quelle valide per la popolazione generale. Meglio dunque prediligere il consumo di cereali integrali, legumi, pesce e verdure di stagione. Moderazione viene invece raccomandata nel consumo di alimenti ricchi di carboidrati raffinati, di zuccheri semplici, di carni rosse e lavorate, di formaggi troppo grassi e di bevande alcoliche. In ogni caso è sempre importante confrontarsi sull'argomento con il proprio medico curante.
Disponibili fino a pochi anni fa soltanto in negozi specializzati, oggi i prodotti provenienti da agricoltura o allevamento biologici sono reperibili anche nei più comuni supermercati. I critici nei confronti di questi cibi ne sottolineano spesso i costi maggiori e i dubbi sul fatto che le certificazioni vengano conferite rispettando il controllo e l’adeguatezza di tutti i punti critici della filiera.
Fatta questa premessa, nel tempo diversi gruppi di ricerca hanno cercato di indagare se una dieta in cui viene dato ampio spazio ad alimenti di origine biologica aiuti a ridurre il rischio di ammalarsi di cancro. Le conclusioni, al momento, non sono definitive. Quello che sembra emergere dalla letteratura scientifica è che coloro che consumano più alimenti di questo tipo hanno un rischio leggermente inferiore di sviluppare una malattia oncologica, in particolare per quanto riguarda il linfoma non-Hodgkin e il tumore al seno.
Quali possibili meccanismi determinerebbero questi effetti protettivi? Al momento si può ipotizzare che l’eventuale beneficio possa essere attribuito alla ridotta contaminazione di questi alimenti con pesticidi ritenuti probabilmente (gruppo 2A) o possibilmente (2B) cancerogeni per gli esseri umani. Va comunque considerato che spesso chi è così attento all’alimentazione adotta anche altri comportamenti notoriamente salutari, come praticare molta attività fisica, rinunciare al fumo di sigaretta e limitare al minimo il consumo di dolci e bevande alcoliche. Risulta quindi difficile distinguere gli effetti positivi di queste abitudini da quelli possibili di una dieta basata su cibi biologici.
Al momento il consumo di alimenti di origine biologica non è raccomandato nelle linee guida per la prevenzione oncologica, anche se in linea generale si può affermare che questi prodotti garantiscono comunque una sicurezza maggiore rispetto a quelli convenzionali. Rimane però da considerare che il loro prezzo, spesso elevato, è in molti casi una barriera all’acquisto. In questi casi è ancora più importante saper leggere correttamente le etichette nutrizionali e valutare gli ingredienti presenti in un determinato alimento, prestando attenzione agli additivi, ai conservanti, agli edulcoranti e agli zuccheri aggiunti.
Redazione
Articolo pubblicato il:
20 gennaio 2023