Le molte forme di resistenza ai farmaci

Una delle cause principali del fallimento di un trattamento antitumorale è lo sviluppo di resistenze agli effetti dei farmaci da parte delle cellule. La ricerca se ne sta occupando, cercando di capire i processi alla base del fenomeno per rendere le cure più efficaci.

Che cos'è la resistenza ai farmaci?

Un trattamento oncologico è considerato efficace quando è in grado di uccidere le cellule tumorali o di bloccarne la crescita. È molto raro che un farmaco o un trattamento sia del tutto efficace, dal momento che per esempio può non raggiungere tutte le cellule tumorali, senza contare che le cellule di un tumore sono spesso eterogenee, e quindi non tutte sono ugualmente sensibili a un farmaco. In ogni caso, può capitare che una cura inizialmente efficace smetta di funzionare dopo un primo periodo a causa di evoluzioni delle cellule tumorali. In questo caso si parla di resistenza ai farmaci.

La cosiddetta farmaco-resistenza si ha quando le cellule tumorali (o i microrganismi, in caso per esempio di antibiotico-resistenza) non rispondono più a un farmaco che è solitamente in grado di ucciderli o indebolirli. Si tratta quindi del contrario della sensibilità di una malattia ai farmaci. In oncologia, quando si verifica i tumori continuano a crescere, talvolta invadendo nuovi organi e tessuti. La resistenza ai farmaci è quindi una delle cause principali del fallimento di un trattamento antitumorale ed è talvolta responsabile delle recidive, ovvero della ricomparsa delle malattie.

La resistenza ai farmaci antitumorali generalmente non dipende dalle caratteristiche dei trattamenti e in effetti si osserva, dopo un certo periodo, con ogni nuova terapia introdotta. È piuttosto dovuta alle caratteristiche biologiche della malattia. Come e perché il tumore è così abile a sfuggire alle terapie?

Un tumore, tante cellule diverse

Una delle principali ragioni all’origine della resistenza farmacologica è la cosiddetta eterogeneità del tumore: in ogni massa tumorale coesistono cellule molto diverse tra loro. Non tutte rispondono ugualmente al principio attivo di un farmaco. Se alcune moriranno, altre, in virtù delle proprie caratteristiche, saranno magari in grado di resistere.

L’eterogeneità del tumore spiega, quindi, perché dopo un trattamento alcune cellule rimangono intatte e continuano a proliferare. Per capire però perché queste cellule sono o diventano resistenti alle terapie, numerosi ricercatori ne hanno analizzato le caratteristiche. Dai loro studi è emerso che la resistenza farmacologica è favorita da fattori sia genetici sia epigenetica può,geni che controllano la crescita%2C">epigenetici. Mentre i primi sono legati al DNA cellulare, i secondi comprendono molecole che influenzano il modo in cui l’informazione genetica può essere o meno trascritta e tradotta in proteine. Queste caratteristiche non sono fisse, ma continuano a evolvere nel corso della malattia. Così, un fattore importante nei meccanismi di resistenza è la capacità del tumore di mutare nel corso della terapia, adattandosi a essa (fenomeno noto nel gergo scientifico con il nome di mutagenesi adattativa).

Alla farmaco-resistenza contribuiscono poi anche il metabolismo cellulare, il sistema immunitario e il microambiente tumorale, ovvero l’insieme di cellule, molecole e strutture che circondano il tumore. Una sintesi di questi meccanismi si trova in una dettagliata revisione degli studi sul tema pubblicata sulla rivista scientifica BMC Cancer.

Come un tumore può sviluppare la resistenza ai farmaci

I meccanismi con cui le cellule tumorali sono in grado di resistere ai farmaci sono molteplici. A volte un farmaco entra nella cellula e viene immediatamente modificato o degradato, diventando inefficace. Altre volte le cellule riescono a relegarlo all’interno di compartimenti dai quali non è in grado di colpire le strutture vitali. Altre volte ancora lo espellono, grazie a speciali pompe molecolari che possono spingere le molecole al di fuori della membrana cellulare. Molti di questi meccanismi si trovano, in forme analoghe, anche nei batteri che si disfano così degli antibiotici, spiegando alcuni tipi di antibiotico-resistenza, fenomeno simile per molti aspetti alla resistenza del cancro ai trattamenti antitumorali (come ricorda una revisione degli studi pubblicata nel 2019 sulla rivista Nature).

In altri casi la resistenza ai farmaci è dovuta a modifiche che interessano i bersagli dei medicinali. Alcune cellule tumorali sono in grado di alterare la struttura chimica di questi bersagli, di modo che non siano più attaccabili. Ma non solo: come riassume un’analisi degli studi sul tema, pubblicata sulla rivista Cancer Research nel 2022, le cellule tumorali possono sfuggire all’azione di un farmaco utilizzando, per proliferare, circuiti molecolari alternativi a quelli colpiti dal composto. In questo modo, il farmaco continua a esercitare la propria azione sul circuito sensibile, ma la cellula si moltiplica comunque, potendo contare su strategie alternative. Quindi, si mette un “freno” da una parte, ma la cellula trova il modo in ogni caso di proliferare agendo su altri “pedali”.

In alcuni casi le cellule tumorali riescono a sfuggire all’azione delle terapie perdendo il proprio bersaglio e diventando così inattaccabili dal farmaco. In caso di alcune forme di immunoterapia, come quelle a base di cellule CAR-T, il fenomeno è noto come perdita dell’antigene. Il bersaglio è infatti una molecola, detta appunto antigene, che viene riconosciuta dalle proteine simili ad anticorpi che si trovano sulla membrana delle cellule CAR-T terapeutiche.

Altri meccanismi ancora influenzano in maniera più indiretta la sensibilità ai farmaci. Una cellula tumorale può per esempio subire una serie di alterazioni che la rendono più resistente alla morte. Ciò può avvenire, per esempio, diminuendo la suscettibilità all’apoptosi (la morte cellulare programmata) o aumentando la capacità di riparare i danni al DNA, magari indotti proprio da trattamenti, come quelli chemioterapici. In questo modo la cellula è in grado di ignorare i segnali di allarme che ne mettono a rischio il funzionamento e di potenziare i propri meccanismi di difesa, rendendo vane le terapie.

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Il contributo del microambiente tumorale al fenomeno della resistenza

Anche tutto ciò che si trova intorno al tumore, il cosiddetto microambiente tumorale, può influenzare la risposta ai trattamenti. Dato che i farmaci devono passare attraverso il microambiente per raggiungere le cellule da colpire, esso può facilitare oppure ostacolare il percorso di un composto e produrre alterazioni che possono modificarne l’azione. Nell’insieme, le cellule, i vasi sanguigni e la matrice extracellulare che costituiscono il microambiente sono anche importanti regolatori del comportamento delle cellule tumorali. Da essi partono infatti segnali che attivano o inattivano circuiti molecolari, che possono favorire l’insorgenza di resistenze.

Alcune condizioni, come per esempio l’acidosi del microambiente tumorale, possono stimolare la produzione da parte di fibroblasti associati al tumore (CAF) di sostanze che inibiscono l’azione di alcuni farmaci (come gli inibitori delle tirosin-chinasi), promuovendo la resistenza alle terapie. Nel tumore del seno, invece, è stato dimostrato che altre cellule del microambiente tumorale possono attivare circuiti molecolari capaci di indurre la resistenza all’azione dei farmaci, tramite per esempio i macrofagi associati ai tumori (TAM), le cellule endoteliali associate al tumore (TEC) e le cellule soppressive di derivazione mieloide (MDSC).

Occorre anche considerare che in genere la componente immunitaria del microambiente tumorale ha un effetto immunosoppressore, per cui non solo favorisce la progressione del tumore, ma contrasta anche l’azione delle terapie. A causa di tale effetto, infatti, viene impedito il reclutamento e l’azione di alcune cellule di difesa che potrebbero combattere il tumore. In tal modo è diminuita anche l’efficacia di approcci di immunoterapia, come gli inibitori dei checkpoint immunitari. Di contro, è noto che laddove è presente una maggiore quantità di cellule immunitarie nel microambiente tumorale la risposta ai trattamenti è migliore.

La ricerca per contrastare la resistenza ai farmaci

Come visto, sono tantissimi i meccanismi con cui il tumore può diventare resistente a uno o più farmaci. In casi di resistenze multiple si parla di multiresistenza ai farmaci (in inglese, multidrug resistance, MDR). Secondo alcuni studi, fino al 90 per cento delle morti per tumore sarebbero associate alla resistenza alle terapie. Anche per questo una parte rilevante della ricerca oncologica oggi è orientata a capire come sia possibile ottimizzare la sensibilità ai trattamenti.

Le strade battute sono molteplici. La strada maestra è cercare di sviluppare nuovi trattamenti in grado di superare i fenomeni noti di resistenza. Un’altra possibilità è sfruttare combinazioni di terapie note che agiscono su bersagli diversi, con l’idea che sulle cellule resistenti a un farmaco agisca l’altro della combinazione. Questi sono soltanto alcuni esempi dei moltissimi tentativi in corso. Anche AIRC sostiene la ricerca in questo campo. Per esempio, recentemente i risultati di uno studio di laboratorio, svolto all’IRCCS “Saverio de Bellis” di Castellana Grotte, hanno mostrato che è possibile aumentare l’efficienza della chemioterapia in cellule tumorali del colon-retto, che così avrebbero minori probabilità di diventare resistenti. L’effetto è ottenuto bloccando una proteina essenziale per la riparazione del DNA. Un altro gruppo di ricerca, attivo presso il Centro di riferimento oncologico (CRO) di Aviano, è al lavoro per sviluppare una nuova terapia mirata contro una molecola della famiglia delle integrine, da abbinare alla chemioterapia in alcune forme resistenti di tumore dell’ovaio.

Alcuni esperti suggeriscono anche altre strategie, come lo sviluppo di nuovi sistemi di rilascio più mirati per la somministrazione delle terapie. Per esempio, attraverso l’utilizzo di nanoparticelle, così da favorire la concentrazione dei farmaci nelle cellule tumorali, riducendone le tossicità. D’aiuto potrebbero essere anche le biopsie liquide, che, permettendo l’analisi del DNA tumorale presente nel circolo sanguigno, possono aiutare a identificare nuove resistenze e suggerire ai clinici quando è meglio cambiare terapia.

Autore originale: Agenzia Zadig

Revisione di Annalisa Bonfranceschi in data 21/11/2024

  • Agenzia Zadig

  • Articolo pubblicato il:

    21 novembre 2024