Ultimo aggiornamento: 19 dicembre 2023
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Siamo abituati a pensare al cancro come a una malattia dei geni. Di recente questa definizione si sta arricchendo di sfumature e significati, anche se ancora oggi il DNA e i geni sono cruciali al processo di cancerogenesi e al centro di tante ricerche in ambito oncologico.
Grazie alle avanzate tecnologie oggi disponibili, i ricercatori sono in grado di analizzare l’intero patrimonio genetico di un individuo, ovvero il suo genoma, l’insieme di tutti i suoi geni. Questo traguardo fondamentale per la ricerca medico-scientifica è stato raggiunto per la prima volta all’inizio di questo millennio: nel 2003 fu infatti completata la prima lettura di un genoma completo di Homo sapiens nell’ambito del Progetto genoma umano. Si trattava di un programma di ricerca internazionale che, come si legge nel sito dedicato, ha rappresentato “una delle grandi imprese di esplorazione della storia”. Con la differenza che, invece di muoversi verso terre ancora inesplorate o verso lo spazio, ci si è mossi in una dimensione molto più ridotta: all’interno del codice della vita.
Il sequenziamento del primo genoma umano ha permesso di leggere pressoché tutte le lettere che compongono i lunghissimi nastri del DNA di tutti i 23 cromosomi della nostra specie. Nell’insieme si tratta di circa 3 miliardi di mattoncini posizionati uno di seguito all’altro nei cromosomi all’interno del nucleo di ciascuna cellula. Bisogna ricordare che le lettere (chiamate basi) sono però solo 4: guanina, citosina, adenina e timina, indicate con le iniziali dei loro nomi (G, C, A e T).
Lo studio del cancro trova ampio spazio in queste analisi del DNA. In particolare, progetti come il Cancer Genome Project portato avanti dal Wellcome Sanger Institute, nel Regno Unito, sono nati allo scopo di sequenziare il DNA di tutti i tumori umani per identificare i cambiamenti genetici, le mutazioni, presenti nei diversi tipi di cancro e comprendere così anche le cause e l’evoluzione della malattia. In un certo senso, è come andare a cercare dei refusi all’interno delle parole scritte nel DNA.
Un altro esempio di questo tipo di analisi è il Pan-Cancer Analysis of Whole Genomes (PCAWG), al quale hanno preso parte 1.300 ricercatori di 37 Paesi in 4 continenti e che ha permesso di sequenziare 2.658 genomi completi, in campioni ottenuti da 38 diversi tipi di tumore. Il potenziale di questi progetti è enorme ma, come riportato in un editoriale pubblicato nel 2020 sulla rivista Nature, manca ancora almeno un passo per rendere davvero complete le informazioni che derivano dal sequenziamento dei genomi. Occorre combinare le informazioni genetiche con quelle che arrivano dalla clinica.
In effetti, leggere la sequenza delle lettere è un primo passo all’interno della conoscenza del DNA, ma non è sufficiente. È infatti necessario comprendere anche il significato delle parole compiute, o geni, che si formano lungo la sequenza e in quali circostanze questi geni vengano utilizzati. In altri termini, è importante conoscere la funzione dei geni e come viene regolata la loro espressione.
Negli anni, molti ricercatori in diverse parti del mondo si sono dedicati anche a questo obiettivo. Sono arrivati a scoprire un livello di regolazione che va al di là della semplice sequenza delle 4 basi azotate e si fonda su modifiche che, anche se sono più superficiali, non sono meno importanti. Si tratta delle cosiddette alterazioni epigenetiche (“epi” in greco significa “sopra”). Sono dovute a composti chimici, per esempio gruppi metile, -CH3, o altre molecole, che sono attaccate al DNA e ne regolano l’accessibilità. La loro presenza può infatti determinare se un gene può o meno essere trascritto in RNA, da cui avviene la traduzione nelle proteine corrispondenti. Lo studio dell’epigenoma, ovvero di tutte le caratteristiche epigenetiche delle cellule, sta dando una grande spinta anche alla comprensione dei meccanismi che causano il cancro, aprendo inoltre la strada a nuove terapie che puntano proprio su questi aspetti per contrastare la malattia.
Perché le informazioni contenute nel DNA vengano trasmesse immutate alle cellule figlie e perché tutto funzioni al meglio, è fondamentale che il genoma mantenga la propria integrità. Un’impresa non semplice, se si tiene conto del fatto che ogni giorno ciascuna cellula subisce molte lesioni, da 10.000 a un milione secondo le stime. Per evitare che tutti questi danni si trasformino in problemi più seri per l’organismo, magari innescando lo sviluppo di un tumore, la cellula possiede strategie e meccanismi di riparazione che coinvolgono specifici geni e proteine.
Proprio sui danni al DNA e sulla loro riparazione si concentrano alcune delle strategie utilizzate già da decenni per combattere il cancro. La chemioterapia e la radioterapia, per esempio, sono concepite per causare danni molto profondi, impossibili da riparare, che portano alla distruzione delle cellule malate. Più di recente, la migliore comprensione dei meccanismi che regolano la riparazione e la stabilità del DNA ha permesso di elaborare nuove strategie che vanno a colpire geni e proteine coinvolte in questi processi. L’idea è di utilizzare farmaci che inibiscono la riparazione del DNA, in modo da evitare che una cellula tumorale possa continuare a moltiplicarsi.
Tra i più recenti si possono citare gli inibitori di PARP, non particolarmente tossici per le cellule sane, ma efficaci contro le cellule che hanno problemi nella riparazione dei danni, in particolare quelle con difetti nei geni BRCA1 o BRCA2 (anch’essi coinvolti nei meccanismi di riparazione e, inoltre, legati alle forme ereditarie di tumore in particolare del seno e dell’ovaio).
Infine, studiare i meccanismi di riparazione dei danni al DNA e alla sua instabilità può aiutare anche a comprendere meglio e contrastare lo sviluppo della resistenza ai farmaci, una delle cause principali dell’inefficacia di molte terapie oncologiche, e a predire la risposta ai trattamenti in ogni paziente.
Agenzia Zoe