Ultimo aggiornamento: 19 dicembre 2023
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Il sistema immunitario, il cui compito è riconoscere ed eliminare le situazioni di pericolo nell’organismo, comprende nel proprio arsenale di difesa moltissime cellule e molecole. Tra i tipi di cellule si possono ricordare i globuli bianchi, o leucociti. Tra le molecole, vi sono proteine come gli anticorpi, mirati a colpire ciascuno uno specifico antigene, e le citochine, utili a inviare segnali per la regolazione delle risposte immunitarie.
Un evento che attiva le risposte del sistema immunitario è la comparsa di cellule tumorali, ossia di cellule anomale la cui crescita è dannosa per l’organismo. Spesso però queste risposte immunitarie sono inefficaci perché il tumore è spesso in grado di sfuggire sia al riconoscimento sia all’eliminazione da parte delle nostre difese. I ricercatori stanno dedicando molti sforzi alla comprensione di questo fenomeno, in gergo immunoevasione, e alla messa a punto di strategie che consentano di potenziare la risposta antitumorale dei globuli bianchi. Questo approccio terapeutico fa parte delle cosiddette immunoterapie oncologiche. Di seguito riportiamo alcuni temi che appartengono a questo filone di ricerca.
L’idea di sfruttare il sistema immunitario per combattere i tumori risale a qualche decennio fa. I primi tentativi, basati sulla somministrazione di citochine o di leucociti isolati dai tumori e fatti moltiplicare in laboratorio, avevano dato risultati perlopiù deludenti. Il vero punto di svolta è stato lo sviluppo dei farmaci chiamati inibitori dei checkpoint immunitari (immune checkpoint inhibitor, ICI), tanto che oggi, quando si parla di immunoterapia, in genere ci si riferisce a questo tipo di trattamento. I checkpoint immunitari sono proteine presenti sulla superficie dei globuli bianchi che fungono da interruttori per fermare eventuali reazioni delle difese, diventate eccessive o inappropriate. Le cellule tumorali sfruttano a proprio favore questi interruttori, impedendo che le cellule del sistema immunitario si attivino. I farmaci inibitori dei checkpoint immunologici sono anticorpi monoclonali che, per così dire, tolgono i freni al sistema immunitario, il quale può così agire contro il tumore.
Più precisamente, i farmaci utilizzati in clinica riconoscono e legano la proteina PD-1 (o il ligando di PD-1, PD-L1) o la proteina CTLA-4. Sono in corso di sperimentazione anticorpi diretti contro altri checkpoint immunitari. Gli inibitori dei checkpoint immunitari hanno già rivoluzionato il trattamento di alcuni tipi di cancro, in particolare del melanoma e del tumore del polmone, prolungando la sopravvivenza di pazienti che prima non avevano altre possibilità terapeutiche. Gli studi in corso puntano a comprendere quali altri tipi di tumore rispondano agli inibitori dei checkpoint immunitari e se esistano combinazioni di farmaci dotate di maggiore capacità terapeutica.
Alcuni ricercatori dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano e dell’Ospedale San Raffaele della stessa città, grazie al sostegno della Fondazione AIRC, stanno valutando se l’immunoterapia con un farmaco di questo tipo possa sostituire la chemioterapia come trattamento preparatorio all’intervento di rimozione del tumore della vescica muscolo-infiltrante. Questo tipo di chemioterapia è detta adiuvante e serve a ridurre le dimensioni della neoplasia e facilitarne l’asportazione. Purtroppo, per vari motivi può essere somministrata solo a una minoranza di pazienti, e di conseguenza l’immunoterapia potrebbe rappresentare un’alternativa per tutti gli altri. I ricercatori stanno anche cercando dei marcatori che permettano di predire in quali pazienti l’immunoterapia funzionerà, dato che non tutti rispondono al trattamento.
Un altro studio sostenuto dalla Fondazione AIRC punta a condizionare il microambiente tumorale in modo da rendere l’adenocarcinoma duttale del pancreas sensibile all’immunoterapia. Alcuni ricercatori del Policlinico universitario Gemelli di Roma hanno osservato che la combinazione di una molecola (IMO-2125), che attiva un recettore (TLR9) presente su diversi sottotipi di globuli bianchi, e di un inibitore dei checkpoint immunitari, inibisce la crescita del tumore del pancreas in animali di laboratorio. Occorre sottolineare che, somministrati singolarmente, i due farmaci non hanno effetto. Questa ricerca apre la strada all’utilizzo dell’immunoterapia in un tipo di cancro considerato non sensibile a questo approccio terapeutico.
In campo oncologico la maggior parte dei vaccini ha scopo terapeutico: in altre parole servono a curare tumori già esistenti e non a prevenirne la formazione. Per ottenere un vaccino terapeutico contro un tumore è indispensabile identificare degli antigeni tumorali, cioè molecole espresse in maniera esclusiva, o prevalente, nelle cellule tumorali, e in grado di indurre una risposta immune. Il percorso che porta allo sviluppo del vaccino è però lungo e complesso. Ciononostante, alcune ricerche stanno dando risultati incoraggianti, in particolare nel tumore del seno e nel carcinoma epatocellulare.
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Torino, sostenuto dalla Fondazione AIRC, ha ottenuto buoni risultati in studi con animali di laboratorio con tumore del seno metastatico, utilizzando due vaccini in contemporanea. Uno dei due vaccini era diretto contro la proteina xCT, i cui livelli sono molto elevati in molte neoplasie della mammella, e l’altro era diretto contro il recettore HER2. I ricercatori hanno osservato che la combinazione dei due vaccini permette sia di ridurre lo sviluppo del tumore primario sia di ostacolare la formazione di metastasi.
Un altro settore dell’immunoterapia che ha dato i primi ottimi risultati è quello della terapia con le cellule CAR-T. Le cellule CAR-T (dall’inglese Chimeric Antigen Receptor T-cell, ovvero cellule T che esprimono un recettore chimerico per l’antigene) si ottengono equipaggiando i linfociti T del paziente, o di un donatore compatibile, con una molecola che consente di individuare un antigene tumorale e quindi il tumore stesso. A questo scopo i linfociti T vengono modificati geneticamente in laboratorio e poi infusi nel malato. Una volta all’interno del corpo, queste cellule raggiungono e distruggono le cellule tumorali. Le cellule CAR-T sono già usate per il trattamento di alcune forme di leucemia resistenti alle terapie standard. I ricercatori vorrebbero ora estendere il loro utilizzo ad altri tipi di cancro.
Un gruppo dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, grazie al sostegno di Fondazione AIRC, ha ottenuto risultati promettenti sull’utilizzo delle cellule CAR-T nel medulloblastoma, un tumore del cervello che colpisce i bambini. I ricercatori hanno identificato una proteina (PRAME) espressa da questa neoplasia, hanno generato delle cellule CAR-T che possiedono il recettore per questo antigene e le hanno sperimentate per ora in animali di laboratorio con questo tipo di tumore. Nei topi la somministrazione delle cellule CAR-T ha causato una netta riduzione della massa tumorale e un prolungamento della sopravvivenza. L’immunoterapia contro l’antigene PRAME potrebbe ora essere usata, sempre sperimentalmente, anche per altri tipi di cancro, come i sarcomi ossei.
A maggio 2023, inoltre, un gruppo di ricerca coordinato da Franco Locatelli, sempre all’interno dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, ha sperimentato un’inedita terapia con cellule CAR-T per la cura dei casi più gravi di neuroblastoma in pazienti pediatrici. Con il sostegno di AIRC, il trattamento è stato somministrato a 27 bambini e giovani con forme gravi di neuroblastoma, resistenti alle cure tradizionali o dopo ricadute. In seguito alla terapia, il 60 per cento circa dei pazienti era vivo dopo 3 anni e il 36 per cento circa non presentava traccia della malattia. In circa 8 pazienti si è osservata anche una remissione completa del tumore. Questi risultati così incoraggianti potrebbero aprire la strada all’utilizzo delle CAR-T in altre neoplasie solide.
Agenzia Zoe