Le tecniche di sequenziamento del DNA, dalla prima messa a punto ai giorni nostri

Ultimo aggiornamento: 12 marzo 2025

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In cosa consistono, come sono state sviluppate, le applicazioni a oggi e il potenziale per il futuro.

Le tecniche di sequenziamento del materiale genetico, in particolare del DNA, permettono di individuare l’esatto ordine o sequenza dei componenti, chiamati nucleotidi. Conoscere la sequenza di un frammento di DNA, o dell’intero genoma di un organismo, ha rivoluzionato le scienze biologiche e spianato la strada alle moderne biotecnologie, con applicazioni non solo in medicina, ma anche nelle scienze forensi e nella biologia evolutiva, giusto per fare qualche esempio. Un'altra applicazione molto nota è l’ormai celeberrimo tampone molecolare, l’esame con cui prima dei test antigenici rapidi si è cercata la presenza di tracce virus Sars-Cov-2 nel campione di muco nasale delle persone. Per trovare tali tracce si effettuava proprio un sequenziamento del materiale genetico presente nel muco, cercando specifiche sequenze del genoma a RNA virale, attraverso una sua preliminare trascrizione in DNA.

I pionieri della sequenza

Nel 2017 sono stati festeggiati i primi quarant’anni dallo sviluppo delle prime tecniche di sequenziamento, che hanno visto la luce nel 1977. Si trattava dei metodi Maxam-Gilbert e Sanger, che avevano preso il nome dai ricercatori che li avevano messi a punto. Entrambe le tecniche rendevano il sequenziamento sufficientemente maneggevole da permettere a queste tecnologie di entrare nella routine di un laboratorio. Fino a quel momento, infatti, era stato possibile sequenziare solo brevissimi frammenti, e con moltissimo lavoro. Il biochimico e premio Nobel Robert W. Holley, per esempio, era riuscito a stabilire nel 1964 la sequenza dello specifico tRNA che permette l'inserimento dell'amminoacido alanina all'interno delle proteine. Si trattava di una molecola lunga 77 nucleotidi. Poiché ogni molecola di RNA è sintetizzata sullo stampo complementare della corrispondente porzione di DNA, dalla sequenza di ciascun RNA si poteva dedurre indirettamente quella del gene corrispondente. Ma per ricomporre il puzzle di quelle 77 lettere, grazie a enzimi che tagliavano l’acido nucleico in punti precisi, ci erano voluti ben nove anni di lavoro. Robert Holley avrebbe poi ricevuto il premio Nobel per la fisiologia o la medicina nel 1968 per le scoperte sulla sintesi proteica.

I successivi metodi di sequenziamento di Maxam-Gilbert e di Sanger sono concettualmente simili tra loro. Entrambi permettono di creare una popolazione di frammenti di diversa lunghezza del DNA da sequenziare. Questi frammenti sono poi separati in base al peso, con un procedimento chiamato elettroforesi, e la sequenza è ricostruita sapendo che ciascun segmento si interrompe dove si trova un nucleotide noto. Mentre il metodo Maxam-Gilbert funziona tagliando il DNA di partenza in punti precisi, nel metodo di Sanger il filamento da sequenziare viene duplicato artificialmente molte volte. La replicazione però si interrompe quando nel filamento complementare viene incorporato un nucleotide modificato, chiamato dideossinucleotide; per questo si parla anche di metodo a terminazione di catena.

Il fatto che i due metodi siano arrivati a compimento contemporaneamente ci dice che in quegli anni molti erano al lavoro sul problema. Nel 1980 la scoperta delle tecniche di sequenziamento è stata considerata meritevole del Nobel per la chimica, assegnato a Frederick Sanger e Walter Gilbert quali padri fondatori di questo ambito di ricerca e applicazione. Per Sanger fu addirittura il secondo Nobel: il primo, sempre per la chimica, gli era stato assegnato nel 1958, per aver determinato la sequenza di aminoacidi che compongono l’insulina, una proteina prodotta dal pancreas.

Genomi a mille dollari

Per Sanger, un chimico inglese, la soddisfazione sarebbe stata doppia. A differenza di Gilbert, vide infatti il suo metodo rivoluzionare il mondo della ricerca biomedica, perché alla fine fu la terminazione di catena, più veloce e semplice da automatizzare, a imporsi nei laboratori, anche perché non richiedeva reagenti pericolosi. Da lì in avanti l’automazione è diventata la chiave per ridurre i tempi e, quindi, i costi.

Per decenni il metodo Sanger è stato migliorato e usato in progetti sempre più ambiziosi. Nel 1995 fu sequenziato il genoma del primo batterio (Haemophilus influenzae) e l’anno successivo fu il turno di quello del primo organismo eucariote: il lievito di birra Saccharomyces cerevisiae. Seguirono i genomi di altri organismi molto studiati in laboratorio, come il verme nematode Caenorhabditis elegans, il moscerino della frutta Drosophila melanogaster, la pianta Arabidopsis thaliana e il topo Mus musculus.

In seguito a questi primi successi incoraggianti, nel 1990 fu inaugurato il Progetto genoma umano, con la prima sequenza completa pubblicata nel 2003. In questo caso, tuttavia, il grosso del lavoro era già affidato a tecniche di sequenziamento di nuova generazione, dato che quelle basate sul metodo Sanger erano ormai superate. Un contributo fondamentale alla rapidità di questo progetto è venuto dallo sviluppo della cosiddetta reazione a catena della polimerasi (PCR), da parte del biochimico Kary Mullis, che ha consentito di aumentare rapidamente le quantità di DNA da analizzare.

Le tecniche di sequenziamento più recenti, ancora in evoluzione, sono molto diverse tra loro ed estremamente complesse, ma hanno tutte qualcosa in comune: funzionano in parallelo, eseguendo contemporaneamente milioni di reazioni, utilizzando per ciascuna spazi ridottissimi (i cosiddetti biochip). Anche grazie agli sviluppi della bioinformatica, che permette di ricostruire la sequenza di un intero genoma dai suoi frammenti sequenziati, oggi bastano molto meno di 1.000 dollari per ottenere la sequenza dell’intero genoma di un individuo. Circa vent’anni fa il costo si aggirava sui 100 milioni.

Dalla lettura del genoma alle cure

Le tecniche di sequenziamento permettono di leggere il DNA di qualsiasi organismo vivente. La maggior parte degli studi si è tuttavia concentrata soprattutto su Homo sapiens e sulle specie di batteri e virus che sono una minaccia per la salute umana. Il principale obiettivo è stato comprendere il legame tra la sequenza dei circa tre miliardi di lettere del nostro genoma e le malattie di cui possiamo soffrire. Di per sé, tuttavia, la sola sequenza dei genici ci dice ben poco: un conto è infatti saper leggere le lettere e un altro è saper comprendere le parole che tali lettere formano. Senza però il primo passaggio fondamentale del sequenziamento, il genoma sarebbe rimasto una “scatola nera”.

Grazie ai dati raccolti con gli studi genomici, oggi sappiamo diagnosticare e classificare più facilmente alcune malattie, per esempio distinguendo tumori in apparenza simili in base alle loro diverse mutazioni. Inoltre, via via che comprendiamo le funzioni delle diverse sequenze geniche e delle loro varianti, siamo sempre più in grado di sviluppare cure più precise e mirate.

Negli ultimi anni anche le terapie geniche o cellulari, basate sulla modifica del DNA all’interno delle cellule, hanno fatto enormi passi avanti. Si possono per esempio modificare geneticamente i linfociti di un paziente in modo che aggrediscano il loro specifico tumore.

Oggi la tecnica CRISPR/Cas9, che permette di modificare facilmente sequenze di DNA a costi ridotti, promette di espandere ulteriormente questi benefici, rendendo le cure (spesso molto costose) disponibili a più persone. Le inventrici della tecnica, ricavata da molecole presenti in alcuni microrganismi, sono le scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna, che nel 2020si sono aggiudicate il premio Nobel per la chimica.

Più precisamente CRISPR/Cas9 è una tecnica che combina l’azione di alcuni enzimi, chiamati Cas9, in grado di riconoscere e tagliare sequenze di DNA ripetute chiamate CRISPR (acronimo di clustered regularly interspaced short palindromic repeats). Grazie al sistema messo a punto da Charpentier e Doudna è possibile riconoscere e modificare, come con una forbice intelligente, qualunque sequenza di DNA. Le applicazioni possibili di questa tecnica sono nei campi più svariati, dalla medicina alle biotecnologie all’agricoltura. Dato che la tecnica è così potente e facile da usare, è nato anche un interessante dibattito sui possibili problemi etici legati, soprattutto per cambiamenti ereditabili sulla linea germinale.

  • Stefano Dalla Casa

    Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.