Copertura sanitaria nel mondo: quanto ancora c’è da fare

Ultimo aggiornamento: 1 giugno 2022

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Universalità, globalità e gratuità sono alcuni dei principi che devono guidare lo sviluppo di sistemi sanitari forti e resilienti, capaci di lavorare per lo sviluppo di una copertura sanitaria universale. A che punto siamo nel mondo?

Il 12 dicembre 2012 le Nazioni Unite approvavano una risoluzione che incoraggiava ogni Paese del mondo a lavorare per garantire una copertura sanitaria universale ai propri abitanti. Nel 2015 l’obiettivo era elencato tra i traguardi della cosiddetta Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Dal 2017, alla copertura sanitaria universale è dedicata una Giornata mondiale, che si celebra appunto il 12 dicembre di ogni anno. Ma che cosa si intende davvero con questo concetto?

Per copertura sanitaria universale si intende che in ogni Paese del mondo sia data la possibilità a chiunque di accedere a terapie di qualità senza costi eccessivi. Ciò non significa che le cure debbano essere gratuite per tutti, né che non possano essere coinvolte strutture di cura private. Verso il raggiungimento dell’obiettivo negli anni si sono registrati progressi a livello mondiale, ma in misura inferiore all’atteso.

La lenta evoluzione della copertura sanitaria universale

Molti tra i Paesi più ricchi e alcuni tra quelli in via di sviluppo godono oggi di qualche forma di assistenza sanitaria universale. Questo è possibile solo attraverso l’intervento dei governi e degli Stati che, tramite leggi, regolamenti e la tassazione, amministrano in vari modi il sostegno economico dei servizi sanitari. Questi ultimi includono, oltre alla fornitura di attività di prevenzione, diagnosi e cura, anche le modalità di accesso a tali servizi.

 Ma non è sempre stato così. Per buona parte della storia umana un’assistenza medica ampia e di qualità è stata un privilegio riservato a chi poteva permettersi di pagarne i costi. Tutti gli altri dovevano affidarsi a istituzioni benefiche che in alcuni casi fornivano gratuitamente alcuni servizi sanitari di base, sostenuti dalla filantropia.

L’evoluzione dell’assistenza sanitaria è legata a quella del moderno stato sociale. Uno dei primi esempi di riforma per garantire una copertura sanitaria a determinate categorie di persone viene dalla Germania imperiale di fine Ottocento. Il governo dell’epoca, guidato dal cancelliere Otto von Bismarck, oltre a un sistema di previdenza sociale, istituì assicurazioni mediche obbligatorie per determinate categorie di lavoratori e rese inoltre pubbliche diverse strutture sanitarie. Da allora l’obbligo assicurativo è stato dapprima esteso a sempre più categorie di lavoratori, e poi anche alla popolazione non lavorativa. Si stima che nel 1988, a circa un secolo dalla prima legge di Bismarck, la Germania abbia raggiunto la copertura universale.

Dall’inizio del Novecento altri Paesi hanno seguito le orme del modello di Bismarck, ma i progressi maggiori si sono registrati solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Nel 1946, nella Costituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) si dichiara che la salute è un diritto umano, un principio che nel 1948 viene ribadito nella Dichiarazione universale dei diritti umani. E se la salute è un diritto, solo la copertura sanitaria universale lo può garantire.

Nel 1948 nasce, nel Regno Unito, il National Health Service (NHS), sostenuto prevalentemente dalla tassazione generale. Anche in questo caso si tratta di un modello che ha fatto scuola. In Italia il Servizio sanitario nazionale (SSN) è nato nel 1978, ispirato appunto all’NHS.

Oggi la maggior parte degli Stati più ricchi utilizza strategie miste per garantire la copertura. Il sostegno complessivo al sistema può essere garantito in parte dalla tassazione, in parte dalla sottoscrizione da parte dei cittadini di assicurazioni pubbliche o private, a volte con il contributo delle aziende, e in parte dal pagamento di prestazioni a carico diretto dei cittadini, presso enti pubblici o privati. A livello mondiale, tuttavia, la copertura sanitaria universale è ancora un privilegio, e il diritto alla salute non è garantito.

Copertura sanitaria universale: una sfida per tutti

Secondo i rapporti dell’OMS, circa metà della popolazione mondiale non può curarsi come dovrebbe. Quasi un miliardo di persone spende infatti oltre il 10% del proprio reddito per spese mediche, e di questi circa 100 milioni spendono talmente tanto da essere ridotti in povertà. E questo è un problema di tutti.

Come si spiega sul sito del nostro Istituto superiore di sanità (ISS), un sistema sanitario ideale deve:

  • raggiungere tutta la popolazione presente estendendo la copertura sanitaria anche a chi ne era escluso (universalità);
  • garantire tutti i servizi e le prestazioni necessarie (globalità);
  • e farlo senza caricare la popolazione di ulteriori costi diretti (gratuità).

I Paesi più poveri del continente africano non hanno personale e strutture sanitarie all’altezza per tutti i servizi, quindi nessuno di questi 3 pilastri è a un livello di sviluppo sufficiente. Negli Stati Uniti, una delle nazioni più ricche al mondo, i medici e gli ospedali non mancano. Eppure ci sono persone ancora escluse dalla copertura sanitaria perché la sanità è quasi completamente privata e l’intervento assistenziale dello Stato è da sempre molto limitato. Anche in Italia non mancano le disuguaglianze anche organizzative, per esempio tra regioni del Nord e quelle del Sud, e tra cittadini residenti e migranti irregolari.

Come mostra questo grafico sul sito dell’OMS, rispetto a vent’anni fa nel mondo è comunque aumentata la diffusione dei servizi sanitari rispetto al totale della popolazione da servire. Questo, spiega l’OMS, è probabilmente dovuto al miglioramento delle condizioni economiche di molti Paesi. Parecchie nazioni africane registrano ancora bassi livelli di sviluppo dei servizi, ma in proporzione l’Africa è uno dei continenti che ha fatto di recente più strada. A livello globale i progressi compiuti hanno dato risultati tangibili: l’aspettativa di vita media nel mondo è passata da 66 a 73 anni e, considerando solo il continente africano, c’è stato un “guadagno” di ben 11 anni. Contemporaneamente, però, è aumentata la popolazione che spende troppo per curarsi, anche se negli ultimi tempi si registra un’inversione di tendenza. Purtroppo nel 2020 la pandemia di COVID-19 ha ulteriormente complicato la situazione.

Dall’assistenza medica primaria alla copertura sanitaria universale

Nel 2019 l’OMS ha fissato The Triple Billion targets, ossia gli obiettivi da raggiungere entro il 2023:

  • 1 miliardo di persone in più che beneficiano della copertura sanitaria universale;
  • 1 miliardo di persone in più meglio protette dalle emergenze sanitarie;
  • 1 miliardo di persone in più che godono di una salute e di un benessere migliori.

Se il primo traguardo è stato raggiunto, non si può dire lo stesso degli altri due. Tali obiettivi sono stati infatti replicati per il 2025, anche se sembra che, di nuovo, soltanto il primo dei tre sarà raggiunto. In ogni caso, occorreranno più sforzi per raggiungere il terzo obiettivo, ossia il traguardo per una migliore salute globale lanciato all’interno dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, il programma d’azione dell’ONU del 2015.

Ma qual è la strada da seguire? Come è evidenziato nel rapporto dal titolo “Tracking Universal Health Coverage – 2021 Global Monitoring Report”, per arrivare alla copertura sanitaria universale bisogna prima di tutto investire nell’assistenza primaria e nel suo rafforzamento. Parliamo quindi di medicina di base, radicata sul territorio, che metta al centro le persone e che sia in grado di intervenire prima di tutto sulle malattie più comuni e croniche. Questo è stato uno dei settori più sollecitati in caso di emergenze sanitarie, come avvenuto per durante la pandemia da Covid-19, ed è inoltre quello che tende a essere trascurato e a ricevere risorse inadeguate, anche nel nostro Paese. Eppure, secondo l’OMS, solo in presenza di una robusta assistenza primaria è possibile garantire la copertura sanitaria universale.

  • Stefano Dalla Casa

    Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.