Gli organoidi sono il futuro della ricerca biomedica?

Ultimo aggiornamento: 9 marzo 2025

Tempo di lettura: 98 minuti

Le colture cellulari in 3 dimensioni potrebbero consentire di studiare i tumori e l’uso di farmaci e persino di effettuare trapianti. Tuttavia, si tratta di tecniche agli albori e occorre inoltre affrontare diverse questioni etiche.

Cercare di riprodurre in laboratorio la complessità degli organi umani, facendoli crescere in laboratorio senza il contributo del resto dell’organismo, è l’obiettivo ambizioso di numerosi scienziati impegnati nella ricerca biomedica. I primi esperimenti con gli organoidi risalgono agli anni Ottanta del secolo scorso, ma fino a poco tempo fa ottenere qualcosa di funzionante, verosimile e utile sembrava fantascienza. Non si tratta di copie identiche agli organi, ma di versioni semplificate e su scala ridotta. Degli organi, gli organoidi possono infatti riprodurre alcune proprietà strutturali e parte delle funzioni. Pur con questi limiti, gli organoidi rappresentano una delle frontiere più interessanti di molte discipline, tra cui la bioingegneria e lo studio delle cellule staminali, per la miriade di applicazioni attuali e potenziali.

A essere già state riprodotte con successo sono parti di strutture di diversa complessità: dal fegato al rene, dall’intestino alla retina, arrivando anche al cervello e alla pelle. Tipicamente un organoide raggiunge una dimensione massima di qualche centimetro. Pur non potendo riprodurre fedelmente il funzionamento all’interno dell’organismo, può comunque essere utile a mimarne almeno in parte alcuni aspetti, in maniera almeno un po’ più attendibile di ciò che ci si può aspettare da una più limitata coltura di cellule isolate e in singolo strato.

Il punto di partenza per la crescita di un organoide è di solito una o più cellule staminali. In particolare, si possono impiegare le staminali embrionali totipotenti, che sono immature e possono differenziarsi in tutti i tipi di tessuto. Oppure si possono usare le cellule adulte mesenchimali, ossia già differenziate ma indotte a tornare alla fase staminale e a riprendere la plasticità tipica di quel periodo di crescita. Se coltivate con tecniche opportune, queste cellule possono non solo differenziarsi, ma anche assumere spontaneamente una conformazione tridimensionale, attraversando tutte le fasi della cosiddetta organogenesi, fino a diventare simili a parti del corpo in miniatura.

 

A cosa possono servire gli organoidi?

Per i possibili utilizzi e applicazioni c’è l’imbarazzo della scelta. Una prima direzione di ricerca ha a che fare con il processo con cui gli organoidi vengono ottenuti. Lo studio di come essi crescono e dei fattori che influenzano questo processo ha aperto nuovi filoni di ricerca nella biologia dello sviluppo. Osservando come cresce un organoide può infatti permettere di studiare in laboratorio alcuni aspetti dello sviluppo degli organi che sono molto difficili da cogliere, dato che avvengono all’interno di un embrione.

Un altro ambito molto promettente riguarda la ricerca oncologica e lo sviluppo di farmaci e terapie non solo contro il cancro. Avere a disposizione un tumore che, seppure un po’ semplificato, può svilupparsi in tre dimensioni in laboratorio può aiutare i ricercatori a comprenderne meglio le caratteristiche. In alcuni casi sugli organoidi si possono sperimentare farmaci o altre soluzioni terapeutiche, con un’affidabilità e un’accuratezza che promettono di essere superiori rispetto ai test più tradizionali. Dagli screening di tossicità ai test di singole molecole farmacologiche, si possono anche prevedere applicazioni per la medicina di precisione o per lo studio delle patologie ereditarie, prelevando per esempio le cellule con cui dare origine a un organoide da uno specifico paziente.

Con una visione ancora più futuristica, questi mini-organi potrebbero un domani essere fatti crescere al punto da diventare organi trapiantabili negli esseri umani stessi, oppure essere utilizzati quali elementi di partenza per la rigenerazione di un organo danneggiato.

 

Qualche attrito etico

Gli organoidi sono una tecnologia giovane, in forte crescita ed evoluzione. Come per quasi ogni nuovo progresso, sono subito sorte alcune questioni etiche che devono essere affrontate dalla società, in modo che la ricerca possa proseguire nel rispetto e nella consapevolezza dei possibili problemi. La rivista Science ha dedicato a questo tema un articolo già nel 2017.

Gli organoidi potrebbero farci superare la necessità della sperimentazione animale? È possibile, qualora il loro sviluppo porti ad alternative altrettanto affidabili se non addirittura migliori. Gli esperimenti con animali di laboratorio presentano al momento alcune limitazioni insuperabili – basti pensare allo studio delle malattie cerebrali, dove le differenze tra il cervello umano e quello degli altri animali raramente permettono confronti attendibili. A oggi, tuttavia, gli organoidi sono ancora un passo indietro in quasi tutti i campi. Il motivo? Per quanto la riproduzione dell’organo in miniatura possa approssimare l’originale, manca ancora il resto dell’organismo, con tutto ciò che esso determina e comporta.

Non è un caso che parte della ricerca si stia focalizzando sullo sviluppo di organoidi che abbiano anche la vascolarizzazione e le terminazioni nervose, in modo da riprodurre almeno in parte ciò che entra nell’organo, e dall’organo esce, tramite il sangue e i nervi.

Se gli organoidi vengono dotati di terminazioni nervose, possono avere percezioni sensoriali? Spingendoci in là con l’immaginazione, alcuni organoidi potrebbero un giorno diventare forme di vita indipendenti, dotate di capacità cognitive? Il tema si pone soprattutto quando con gli organoidi si tenta di ottenere approssimazioni di un cervello, in particolare dopo che si è osservato che i neuroni sono in grado di organizzarsi in reti funzionali e dare origine a impulsi analoghi a quelli cerebrali tipici degli stadi iniziali dello sviluppo embrionale. Inoltre ci sono alcune leggi che ostacolano l’uso di organoidi, qualora le sperimentazioni coinvolgano cellule staminali embrionali, per l’uso delle quali esiste un limite normativo stabilito in 14 giorni massimi dalla fecondazione. Si tratta di un limite contenuto in una legge italiana, come pure in quelle di molti altri Paesi, dal Canada a Singapore e alla Svezia.

Altri interrogativi etici riguardano la prospettiva di una richiesta sempre maggiore di cellule staminali embrionali, e la distinzione sempre più sfumata tra attività di ricerca scientifica e applicazioni di cura (al momento normate in modo differente).

 

Alcuni traguardi scientifici raggiunti

Senza avere la pretesa di ripercorrere una a una le pubblicazioni scientifiche sugli organoidi, alcuni risultati recenti possono dare un’idea dello stato dell’arte della ricerca. Come ha riportato di recente la rivista Nature, gli organoidi sono per esempio stati cruciali anche nello studio del virus SARS-CoV-2, non solo per svolgere test su potenziali farmaci, ma anche per studiare e approfondire l’effetto del virus stesso su specifici organi come i polmoni, il fegato e i reni, ossia quelli in cui si osservano più di frequente le complicanze della malattia Covid-19.

Inoltre, sono già realtà le applicazioni sperimentali per valutare la risposta dei pazienti alle terapie. Per esempio, per il cancro del colon-retto gli organoidi si sono dimostrati utili, almeno in esperimenti di laboratorio, nel predire gli effetti della chemio e della radioterapia sulle cellule tumorali.

Nel 2020 è stata riportata la notizia della creazione di un mini-pancreas antirigetto, che è stato impiantato nei topi dopo essere stato ottenuto da cellule staminali umane. Da questo organo in miniatura è venuta la dimostrazione che si potrebbero crescere organoidi di questo tipo a fini di trapianto, al fine di contrastare il diabete giovanile di tipo 1. Sempre del 2020, la notizia di un altro gruppo di ricerca dell’Università del Michigan che è stato in grado di sviluppare in laboratorio un organoide di un cuore umano dotato di tutti i tipi di cellule cardiache primarie e di una struttura molto simile – seppur in miniatura – a un vero muscolo cardiaco umano. Una riproduzione così fedele potrebbe per esempio permettere di sviluppare cuori con una cardiopatia congenita, al fine di facilitare lo studio dell’origine di questa malattia e dei possibili modi per contrastarla.

Tra gli altri progressi che possiamo citare: nel 2024 ricercatori dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” e della Fondazione Tettamanti hanno pubblicato un articolo in cui riportavano di avere creato un organoide di un osso, al fine di studiare una condizione genetica rara dei bambini, la sindrome di Hurler.

Autore originale: Gianluca Dotti (1 ottobre 2020)
Revisione di Denise Cerrone in data 08/01/2025

  • Gianluca Dotti

    Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.