Ultimo aggiornamento: 12 marzo 2025
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Com’è la qualità delle acque costiere europee? Uno sguardo agli ultimi dati sulla qualità delle acque, la depurazione e la gestione dei reflui, con un occhio all’impatto sulla salute.
Le acque costiere europee sono piuttosto in salute, e la loro qualità è notevolmente migliorata negli ultimi anni, soprattutto se confrontata con i valori registrati negli anni Novanta. Secondo i rilevamenti dell’Agenzia europea dell’ambiente, contenuti nel più recente rapporto del 2022, l’85,7 per cento circa dei siti di balneazione in Europa è stato valutato “di qualità eccellente” e quasi il 96% soddisfa i requisiti minimi per essere definito di “qualità sufficiente” (per cui si è passati dal 74% del 1991 al 95 per cento del 2003). Di contro, il numero dei siti considerati “scarsi” si è attestato all’1,5%, registrando una leggera diminuzione rispetto al 2013, quando il dato era del 2%, e mantenendosi da allora costante nell’ultimo decennio. Questi risultati testimoniano che le regole sul monitoraggio e la gestione delle acque introdotte dalle normative ambientali europee hanno funzionato, portando a una drastica riduzione delle acque reflue urbane e industriali non depurate che finiscono in mari, laghi e fiumi.
Cosa ci dicono i dati
I siti di balneazione cui fanno riferimento gli ultimi dati disponibili, rilevati per la stagione 2022, sono stati 21.973 (di cui 21.658 si trovavano negli Stati membri dell’Unione europea e del Regno Unito). Si tratta di quasi sette volte il numero di siti analizzati a partire dal 1990 (circa 3.000) e con un aumento dello 0,5% tra 2021 e 2022. Sono stati inclusi nella valutazione diversi luoghi in Francia (15 siti), Polonia (36 siti) e il Portogallo, con 14 nuovi siti analizzati in totale.
Anche l’Albania e la Svizzera hanno monitorato e divulgato dati sulla qualità delle acque delle località di balneazione del proprio territorio, e i risultati sono inclusi nella valutazione effettuata per analizzare sia le acque costiere sia quelle delle sponde dei bacini idrici interni, come laghi e fiumi. È stata quindi stilata una classifica di qualità dei siti di balneazione per Paese: i primi posti sono occupati da Cipro, Austria e Malta, mentre agli ultimi ci sono Slovacchia, Albania e Polonia.
In linea con la media europea, l’88,4% circa delle località italiane monitorate è stato valutato di “qualità eccellente” (un valore uguale a quello di Spagna e Danimarca e superiore a quello di Lituania e Finlandia), il 5,9 per cento di “qualità buona”, il 2,5 per cento di qualità “sufficiente” e l’1,8 per cento di qualità “scarsa”. Cosa ci dicono questi numeri? Sicuramente che il monitoraggio e gli investimenti sugli impianti di trattamento delle acque reflue urbane permettono ai cittadini di poter beneficiare dei siti di balneazione in maniera più sicura rispetto al passato. Lo dimostra anche il costante aumento delle cosiddette Bandiere blu nel nostro Paese, un riconoscimento assegnato alle località turistiche balneari che rispettano criteri di gestione sostenibile del territorio.
Acque reflue e tutela della salute
Nonostante la tendenza positiva, non si può però affermare che tutti i problemi sulla gestione delle acque siano risolti. Anzi, il nostro Paese continua a essere tra quelli con il maggior numero di infrazioni delle normative europee per quanto riguarda il trattamento delle acque reflue: una questione di cruciale importanza, poiché una scarsa depurazione delle acque, e il conseguente inquinamento di quelle di balneazione, espone a diversi rischi per la salute.
Secondo le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sugli ambienti acquatici ricreativi, in questi spazi possono infatti proliferare ì virus, batteri, protozoi e funghi, nonché possono accumularsi sostanze come fosfati e nitrati capaci di aumentare il rischio di eutrofizzazione delle acque. Su questo punto l’Istituto superiore di sanità (ISS) sottolinea una certa criticità all’interno della stessa direttiva europea sulle acque di balneazione.
Nello specifico, la presenza di batteri fecali come Escherichia coli ed enterococchi intestinali, legata in genere all’inquinamento delle acque reflue provenienti dagli allevamenti di bestiame, può provocare disturbi di stomaco e diarree. I siti di balneazione classificati come “scarsi” dovrebbero essere pertanto chiusi per tutta la stagione balneare.
Per quanto invece concerne la presenza di virus, le informazioni sono più lacunose e complesse da gestire. In merito a Sars-Cov-2, uno dei virus più recenti, non ci sono prove certe a oggi che esso possa essersi trasmesso tramite sistemi fognari con o senza trattamento delle acque reflue. Verosimilmente la diffusione maggiore è stata per via aerea, ma la sorveglianza rimane comunque attiva.
In Italia, sono quattro le procedure attualmente aperte per la valutazione delle infrazioni in questo campo. Secondo le rilevazioni, ci sarebbero circa 300 agglomerati distribuiti in 16 regioni che violano le norme europee sulla raccolta o il trattamento delle acque reflue urbane, con scarichi in aree non idonee. Inoltre, in 296 comuni, in cui risiedono circa 1,3 milioni di abitanti, il servizio di depurazione delle acque reflue urbane è totalmente assente. Tali inadempimenti comportano costi non solo per la salute, ma anche economici, dato che l’Unione europea può comminare sanzioni.
Rudi Bressa