Ultimo aggiornamento: 1 febbraio 2025
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In un pianeta dove le ondate di calore saranno più frequenti e intense, l’uso dei condizionatori è destinato a crescere, con effetti sulle emissioni e sul clima.
Ondate di calore sempre più frequenti e intense, l’aumento delle temperature medie e la crescente urbanizzazione sono tra i fattori che faranno molto verosimilmente aumentare l’impiego di aria condizionata all’interno degli edifici nei prossimi anni. A una crescente domanda corrisponderà necessariamente un aumento dei consumi elettrici a livello globale, facendo salire le emissioni di gas serra e alimentando di conseguenza il riscaldamento globale. Si tratta di un circolo vizioso che potrebbe avere effetti deleteri sia sul pianeta sia sulla salute, aumentando tra le altre cose anche il rischio di tumori.
Secondo un corposo rapporto redatto dall’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) dal titolo The future of cooling, nel 2018 nel mondo erano in uso 1,6 miliardi di condizionatori d’aria che per essere alimentati consumavano il 20% circa dell’elettricità globale. Il dato è destinato ad aumentare secondo l’AIE, che prevede che la domanda di energia per i condizionatori d’aria potrebbe addirittura triplicare entro il 2050. Si stima che saranno installati circa dieci nuovi climatizzatori ogni secondo per i prossimi trent’anni. Se così dovesse essere, alimentare tutte queste unità aggiuntive richiederebbe una capacità di generazione di energia elettrica supplementare pari a quella degli Stati Uniti, dell’Unione europea e del Giappone messi insieme.
Più aria condizionata significa più emissioni
La conferma arriva anche dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmmc), attraverso una pubblicazione sulla rivista Environmental science and policy. Senza politiche adeguate e mirate, molte famiglie potrebbero fare affidamento sui condizionatori per adattarsi ai cambiamenti climatici, finendo per generare di fatto ancora più emissioni. Nella ricerca viene evidenziato che, mentre gli europei hanno una bassa propensione per l’installazione di condizionatori in casa (ne è dotato il 20% circa delle famiglie, in media), in altri continenti la situazione è ben diversa: basti pensare a Paesi come Giappone (90%) e Australia (72%). Inoltre è emerso che l’aria condizionata è installata più spesso quando si abita in edifici con una classe di efficienza energetica bassa, soprattutto se in casa ci sono anche anziani o bambini.
Molta attenzione viene posta non solo all’anidride carbonica (CO2) ma anche agli idrofluorocarburi (HFC), i gas refrigeranti contenuti nelle serpentine dei condizionatori, che hanno fatto il loro ingresso sul mercato alla fine degli anni Ottanta in sostituzione dei clorofluorocarburi (CFC) e degli idroclorofluorocarburi (HCFC), sostanze dannose per lo strato di ozono atmosferico. Pur non contribuendo all’assottigliamento dello strato di ozono, gli HCF sono dei potenti gas serra.
L’impatto dell’aria condizionata sulla salute
È indubbio che rinfrescare gli ambienti domestici e commerciali durante le ondate di calore sia fondamentale per ridurre gli effetti delle alte temperature sulla salute. Un gran numero di studi condotti per esempio durante le ondate di calore dell’agosto 2003, sia in Europa sia in Nord America, ha mostrato un eccesso di mortalità associati ai periodi di caldo estremo.
I gruppi a rischio includono gli anziani, la popolazione che vive nelle aree urbane e i pazienti con problemi di salute preesistenti e un basso reddito. L’invecchiamento della popolazione (soprattutto nei Paesi industrializzati) e la crescente urbanizzazione (principalmente nei Paesi in via di sviluppo) possono aumentare ulteriormente gli effetti negativi dell’eccesso di calore sulla salute. Ma gli effetti, non limitati agli anziani, possono influire perfino sul rendimento degli alunni nelle scuole.
Ci sono tuttavia casi in cui è l’aria condizionata stessa a costituire un problema per la salute. Ci riferiamo in particolare agli sbalzi termici, quelli che subiamo passando dai 30-40 °C esterni alle temperature di gran lunga inferiori dei locali climatizzati. In particolare corriamo il rischio che le mucose si gonfino e mutino le caratteristiche chimico-fisiche del biofilm da cui sono ricoperte, determinando un’infiammazione delle basse vie respiratorie nel caso in cui la differenza di temperatura tra i due ambienti sia superiore ai 2-3 °C. In particolare, l’infiammazione è più probabile quando la temperatura è superiore ai 5 °C e l’umidità è compresa tra il 40 e il 60%. I dati, raccolti in uno studio italiano, sono stati pubblicati sulla rivista Clinical and Translational Allergy.
Un altro fattore da considerare, specie nei più piccoli e negli anziani, è il rischio di disidratazione che può accompagnarsi al grande caldo e ai forti sbalzi termici. L’evaporazione dell’acqua dalle mucose delle vie respiratorie fa seccare queste ultime, innescando, tra le altre cose, processi infiammatori. È importante quindi affidarsi al buon senso: evitare eccessivi sbalzi termici, assicurandosi una differenza di temperatura tra interno ed esterno entro i 5 °C, e prediligendo la funzione di deumidificazione a quella di aria raffreddata.
Autore originale: Rudi Bressa (1 luglio 2021)
Revisione di Denise Cerrone in data 08/01/2025
Rudi Bressa