Ultimo aggiornamento: 9 giugno 2022
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In questo articolo risponderemo alle domande:
Il microbiota, che un tempo veniva chiamato “flora batterica”, è l’insieme dei microrganismi ospitati da ciascun essere umano sin dalla nascita e per la vita. La popolazione microbica che alberga in ciascuno di noi è variegata: si stima che il numero di specie diverse sia compreso tra 500 e 1.000, con una conseguente diversità di cellule e geni. Microbi si trovano sulla pelle, sulle mucose e soprattutto nel canale alimentare, in particolar modo nell’intestino.
Sono sempre più numerosi gli studi che collegano in particolare il microbiota intestinale a patologie come il diabete, le malattie infiammatorie intestinali, la depressione e il cancro. Risultati che hanno portato alla nascita di progetti internazionali, quali per esempio lo Human Microbiome Project statunitense, avviato nel 2007 con l’obiettivo di “generare risorse per aiutare a caratterizzare il microbiota umano e analizzarne il ruolo sia in persone sane che in presenza di malattie”.
Fino a qualche anno fa si pensava che le cellule dei microrganismi che abitano nel nostro organismo fossero circa nove volte più numerose di quelle dell’organismo umano e che il peso totale del microbiota di un uomo di corporatura media fosse di circa 1,5 chilogrammi. In realtà, in un articolo pubblicato sulla rivista Plos Biology nel 2016, queste stime sono state riviste un po’ al ribasso: il rapporto tra cellule del microbiota e cellule umane sembra essere quasi paritario e il peso complessivo dei microrganismi, inferiore rispetto a quanto ipotizzato in precedenza. Il microbiota resta comunque una componente sostanziale del nostro corpo.
Per quanto riguarda la composizione, si tratta perlopiù di batteri, ma non mancano virus, funghi e protozoi. In genere i microrganismi presenti nell’intestino possono essere considerati “buoni”, poiché contribuiscono al benessere dell’intero organismo attraverso diversi meccanismi, come la produzione di vitamine, enzimi e altre sostanze utili alla salute umana. Agiscono inoltre attivando il sistema immunitario e proteggendo l’organismo da infezioni pericolose. La composizione e la funzione del microbiota è via via più chiara, grazie anche alle tecniche più recenti di sequenziamento del materiale genetico dei microrganismi soprattutto intestinali. L’insieme dei geni dei microbi ospiti è detto microbioma, da non confondere con il microbiota, che indica invece il totale di batteri, virus, funghi e protozoi che albergano in noi. Le domande ancora senza risposta su composizione e funzioni sono tuttavia ancora numerose.
Ciascun essere umano ha un proprio microbiota intestinale, la cui composizione varia in base a molti fattori, quali per esempio il patrimonio genetico, il luogo in cui si vive, il tipo di parto alla nascita (naturale o cesareo) e di allattamento ricevuto, la dieta, le abitudini e i comportamenti. Ecco perché ancora oggi non è possibile definire in che cosa consista un singolo microbiota “sano” che possa andare bene per tutti: una popolazione di microrganismi perfetta per un individuo potrebbe non essere adatta a un altro. In generale, però, come si legge nella pagina dell’Istituto superiore di sanità dedicata al microbiota, i ricercatori misurano lo stato di salute della popolazione microbica dell’intestino valutando tre fattori principali: il numero totale di microrganismi, la diversità delle specie presenti, e il rapporto tra specie considerate “buone” e “cattive”. Quando l’equilibrio del microbiota si modifica si assiste a quella che gli esperti chiamano disbiosi, una condizione pericolosa per la salute se protratta nel tempo. La disbiosi può essere causata da alimentazione poco varia ed equilibrata (specialmente da diete povere di fibre oppure ipercaloriche e ricche di grassi e proteine animali); da abitudini e comportamenti non salutari; e da uso eccessivo di antibiotici. Questi ultimi, oltre a eliminare i batteri nocivi, possono infatti danneggiare anche la comunità di microbi intestinali benefici.
Nel 2017 un gruppo di ricercatori ed esperti dell’Imperial College di Londra ha dato il via all’International Cancer Microbiome Consortium, una collaborazione internazionale tra esperti, nata con l’obiettivo di approfondire il complesso legame tra microbiota e cancro e di promuovere la ricerca sul microbiota in oncologia. Molti dati suggeriscono un ruolo fondamentale del microbiota nello sviluppo della malattia, nella protezione dal tumore, nella risposta alle terapie e nel controllo degli effetti collaterali dei trattamenti anti-cancro.
Già nel 2015 un articolo pubblicato sulla rivista Genome Medicine sottolineava come un microbiota “in forma” possa aiutare a potenziare l’effetto dell’immunoterapia. “Un dato emerge con chiarezza dagli studi disponibili: la composizione del microbiota dovrebbe essere presa in considerazione negli studi clinici futuri che puntano a valutare l’efficacia di nuove terapie anti-tumorali” scriveva nell’articolo Maria Rescigno, tra i leader mondiali nello studio del microbiota e coordinatrice di un gruppo di ricercatori dell’Humanitas Research Hospital di Rozzano, alle porte di Milano, che è anche capofila di un programma di ricerca sul tema sostenuto da AIRC.
I risultati di due studi, pubblicati nel 2020 sulla rivista Gut e nel 2021 sulla rivista BMC Cancer, fanno il punto della situazione e riportano i dati più aggiornati sul rapporto tra microbiota e cancro, con uno sguardo alle future terapie oncologiche basate proprio sulla modulazione di questi microrganismi.
È stato per esempio dimostrato in studi in animali di laboratorio e in sperimentazioni cliniche che il microbiota è fondamentale nel determinare la risposta all’immunoterapia. I Bacteroidetes, per esempio, sono biomarcatori di risposta in pazienti con melanoma: la loro presenza è associata a una possibile riduzione dei tassi di risposta. Di contro Faecalibacterium, Bifidobacterium e Ruminococcaceae possono migliorare la risposta agli inibitori dei checkpoint immunitari, un tipo di immunoterapia.
Una metanalisi su pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) e carcinoma a cellule renali (RCC), trattati con immunoterapia a base di anti-PD-1, ha mostrato inoltre che chi non rispondeva alla terapia aveva ridotti livelli di Akkermansia muciniphila.
Altri studi dimostrano un ruolo del microbiota anche nella risposta alla chemioterapia e nel ridurre l’impatto degli effetti collaterali dei trattamenti, come la mucosite orale e l'infiammazione.
“Il rapporto tra microbiota e risposta ai trattamenti di immunoterapia è molto più complesso di quanto si pensasse e non dipende solo dalla presenza o assenza di una specie batterica.” Lo si legge in un articolo pubblicato nel 2022 sulla prestigiosa rivista Nature Medicine da un gruppo di ricerca internazionale, coordinato tra gli altri da Nicola Segata, del gruppo di ricerca di metagenomica computazionale del Dipartimento di biologia cellulare, computazionale e integrata Cibio dell’Università di Trento e dell’Istituto europeo di oncologia. Nel loro studio i ricercatori hanno notato che, in pazienti con melanoma, la presenza di tre tipi di batteri (Bifidobacterium pseudocatenulatum, Roseburia spp. e Akkermansia muciniphila) sembra associata a una migliore risposta all’immunoterapia, ma hanno anche notato che il collegamento tra microbiota e risposta alla terapia coinvolge specie diverse in gruppi di pazienti diversi.
Le difficoltà degli studi sul microbiota umano, e su come modificarlo per contrastare i tumori e migliorare la risposta alle terapie, sono inoltre legate al fatto che l’uso di animali di laboratorio potrebbe portare a conclusioni non del tutto valide negli esseri umani. Il microbiota dei topi può infatti essere molto diverso da quelli della nostra specie.
Le tecniche sempre più avanzate di analisi del microbiota e delle sue funzioni potranno contribuire allo sviluppo di una oncologia più precisa, basata sull’uso di microrganismi presenti nell’intestino, per ottenere risultati sempre più efficaci e meno tossici dalle terapie oncologiche. Inoltre, nel tempo sono stati compiuti passi avanti nel mettere a punto diverse tecniche per modificare individualmente il microbiota, dal trapianto fecale all’uso di probiotici e prebiotici. Al momento gli studi continuano e gli esperti sono ottimisti, ma la strada da compiere per arrivare fino al letto dei pazienti è ancora lunga.
Agenzia ZOE