Il 10 per cento circa dei tumori ha origine da fattori di rischio ereditari

Identificare eventuali mutazioni che predispongono al cancro può favorire la diagnosi precoce e la personalizzazione delle cure, ma l’utilità di screening genetici per tutta la popolazione resta da chiarire.

Ultimo aggiornamento: 5 agosto 2024

Tempo di lettura: 6 minuti

In questo articolo risponderemo alle domande:

  1. Quanti sono i tumori che hanno origine da fattori di rischio ereditari?
  2. Come sono stati fatti questi calcoli?
  3. Quali sono le sindromi ereditarie più comuni che predispongono al cancro?
  4. Per chi può essere consigliabile sottoporsi a uno screening genetico?
  5. Quali sono i pro e i contro degli screening genetici?

Secondo i risultati di uno studio condotto dal Centro per la medicina personalizzata della Mayo Clinic di Phoenix (Arizona), pubblicati sulla rivista JAMA Oncology, un paziente oncologico su 8 possiede una mutazione ereditaria in un gene coinvolto nell’insorgenza del cancro. Sono giunti a questa conclusione alcuni ricercatori statunitensi che hanno sottoposto a test genetico 3.000 pazienti, tra cui anche persone che, secondo le attuali linee guida statunitensi per i test genetici, non avrebbero avuto i requisiti per sottoporsi a tali esami. In questo modo sono stati identificati più portatori di mutazioni rispetto quelli che sarebbero stati scoperti seguendo le indicazioni. Più precisamente, il 48 per cento in più. Ciò suggerisce che tutti i malati di tumore andrebbero sottoposti a test genetici? E quali sono i vantaggi, e gli svantaggi, di questo tipo di indagine?

La predisposizione ereditaria ai tumori

Ciascuno di noi corre il rischio di ammalarsi di tumore, ma alcune persone sono geneticamente più predisposte a svilupparne alcuni. Per esempio, certe forme del cancro del seno e di quello del colon-retto sono favorite da mutazioni ereditarie, trasmesse dai genitori. Si tratta di alterazioni che possono innescare una serie di eventi in grado, alla fine, di portare allo sviluppo di un cancro. Si noti bene che, anche se si parla di “tumori ereditari”, in realtà si eredita una certa configurazione di geni favorevole all’insorgenza della malattia, e non la malattia stessa. Non è infatti detto che il tumore compaia. Il rischio però che si presenti in queste persone è più alto rispetto al resto della popolazione non portatrice delle stesse varianti geniche. La formazione di un tumore è infatti quasi sempre il risultato di una combinazione di fattori di rischio genetici, ereditari e non, dell’azione di agenti chimici o fisici nell’ambiente, e di errori imputabili al caso, nella duplicazione del DNA.

Sono state identificate diverse sindromi cosiddette eredo-familiari che sono associate a vari tipi di tumori. Le più comuni sono la sindrome di Lynch (legata soprattutto al tumore del colon-retto, ma anche ad altri tipi di cancro, come quello dell’endometrio) e la sindrome del cancro della mammella e dell’ovaio, associata alla mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2. Questi geni sono anche fattori di rischio per altri tipi di tumore, oltre a quelli del seno e dell’ovaio, in particolare quelli del pancreas e della prostata. Esistono però molte altre sindromi, come la poliposi adenomatosa familiare, la sindrome di Cowden e la sindrome di Li Fraumeni, che dipendono da particolari mutazioni presenti nel DNA delle cellule germinali (ovociti e spermatozoi). Tali mutazioni possono essere trasmesse per via ereditaria, aumentando il rischio di ammalarsi di cancro. I tumori con fattori di rischio ereditari, in cui la mutazione è già presente alla nascita, rappresentano il 5-10 per cento circa di tutte le neoplasie. La stragrande maggioranza degli altri tipi di tumore è invece sporadica, ovvero dovuta a mutazioni acquisite nel corso della vita.

I test genetici

A oggi sono circa 100 i geni identificati come responsabili di una predisposizione eredo-familiare ai tumori.

Nelle persone a cui è già stato diagnosticato un tumore, sapere che è presente una certa mutazione può essere utile per la scelta della terapia che ha maggiori probabilità di successo. Nello studio pubblicato sulla rivista JAMA Oncology, il trattamento del 30 per cento dei pazienti portatori di varianti ad alto rischio è stato modificato sulla base di queste informazioni.

Una volta scoperto che un tumore è dovuto a una mutazione ereditaria si può anche cercare di capire se questa è presente anche in altri membri della famiglia. Il tema va affrontato con delicatezza, con l’aiuto di un medico genetista, e soltanto qualora i familiari desiderino sottoporsi a tali esami e conoscere l’eventuale predisposizione.

In caso l’esito di tali esami sia positivo, per almeno alcuni tipi di tumore, in particolare per quello al seno, sono stati messi a punto appositi programmi di sorveglianza con visite ed esami strumentali periodici per rilevare la presenza di un eventuale cancro il prima possibile. Per esempio, dal 2012 diverse Regioni italiane prevedono l’utilizzo della risonanza magnetica mammaria annuale nelle donne con varianti dei geni BRCA.

Sia per quanto riguarda il tumore del seno sia per quello dell’ovaio, dopo aver soppesato i rischi e i benefici assieme al medico, si può ricorrere alla chirurgia preventiva, che riduce drasticamente il rischio di cancro. Sono in corso inoltre numerose ricerche per identificare molecole che possano prevenire tumori legati all’alterazione di determinate vie molecolari.

Test genetici per tutta la popolazione?

Si può ricorrere ai test genetici quando c’è qualche elemento concreto che può far supporre che una persona possa essere portatrice di mutazioni ereditarie. Nel caso del tumore del seno, le linee guida dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) raccomandano la consulenza genetica oncologica per chi ha un carcinoma mammario e presenta alcune caratteristiche specifiche personali, per esempio si tratta di una donna di età inferiore a 36 anni. Per i familiari, è invitato a considerare un test genetico chi ha meno di 50 anni e ha un parente di primo grado che si è ammalato di carcinoma mammario a un’età inferiore ai 50, o chi ha più di 50 anni e 2 o più parenti di primo grado che hanno sviluppato questo tumore. Il test è però indicato anche per una persona sana che abbia un familiare positivo per una mutazione che predispone al cancro del seno.

Un eventuale screening di tutta la popolazione con test genetici è invece oggetto di dibattito nella comunità scientifica. A questo proposito, i risultati di uno studio recente, pubblicati sulla rivista JAMA Network Open, hanno fornito qualche dato sul valore, sia clinico sia economico, di eventuali test genetici di popolazione per il cancro della mammella e dell’ovaio. Un gruppo di ricercatori statunitensi, in particolare, ha stimato che tale test potrebbe essere vantaggioso solo se indirizzato alle donne di età compresa tra 20 e 35 anni. Infatti, la maggior parte degli interventi di chirurgia preventiva viene fatta prima dei 50 anni, dato che i tumori del seno e dell’ovaio di solito compaiono dopo i 50 anni. Le donne che scoprissero di essere a rischio dopo una certa età avrebbero quindi meno tempo per intervenire e ciò limiterebbe i potenziali benefici di questo test genetico di popolazione. Per questi motivi al momento non è considerato utile sottoporre al test per mutazioni di BRCA1 e 2 chi non ha una storia personale o familiare di cancro al seno e all’ovaio.

Uno studio italiano i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Breast, era invece focalizzato sull’analisi di costo ed efficacia di uno screening su tutta la popolazione, e non basato su specifiche caratteristiche di storia personale o familiare. Secondo le conclusioni degli autori, questa strategia di screening porterebbe diversi vantaggi: uno su tutti, la possibilità di identificare un numero maggiore di persone con mutazioni e di inserirle in programmi di controllo dedicati.

A livello personale, sottoporsi o meno a un test genetico per accertare la predisposizione al cancro è una scelta che va ponderata attentamente. Se da un lato sapere di essere portatore di una mutazione genetica può favorire la diagnosi precoce di un tumore, dall’altro comporta un fardello psicologico che per qualcuno può essere eccessivo. Soprattutto se per tale tipo di tumore non sono disponibili possibilità di prevenzione primaria né secondaria. Si possono inoltre creare tensioni familiari tra chi desidera sapere e chi preferisce invece restare all’oscuro. Un risultato positivo può causare ansia o depressione, far sentire malati anche se il cancro magari non comparirà mai, mentre un risultato negativo può far pensare di essere immuni alla malattia (che, come abbiamo visto in molti casi, si sviluppa comunque) e spingere a tralasciare gli esami di screening raccomandati. Per avere un sostegno psicologico prima e dopo un test, e per decidere se sottoporvisi o meno, è consigliabile ricorrere a una consulenza genetica: un colloquio con un esperto che può aiutare a chiarire le informazioni mediche e le opzioni che, in caso di esito positivo, si presentano all’individuo e alla sua famiglia.

  • Agenzia Zoe