Ultimo aggiornamento: 5 agosto 2021
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In questo articolo risponderemo alle domande:
Il fumo è una delle principali cause del tumore dei polmoni (e non solo); il tumore della cervice uterina è provocato dal Papilloma virus; grazie a una sana alimentazione e a comportamenti e abitudini salutari è possibile prevenire circa un terzo dei tumori. Con un salto nella cronaca più recente, il virus SARS-CoV-2 è responsabile del COVID-19, si trasmette soprattutto per via aerea e si manifesta con sintomi più gravi nei pazienti anziani o con patologie pregresse.
Tutte queste affermazioni, oggi ben note e quasi “scontate”, sono anche il frutto del lavoro degli epidemiologi, gli esperti che si occupano di epidemiologia, che sono riusciti a individuare tante associazioni tra malattie e loro fattori di rischio molto importanti per la salute.
Secondo alcune delle definizioni recenti, l’epidemiologia è “lo studio della distribuzione e della frequenza delle malattie e delle condizioni o eventi legati alla salute in popolazioni ben definite, nonché l’applicazione di questo studio per controllare i problemi di salute”.
Partendo proprio da questa definizione cercheremo di capire meglio in cosa consiste questa disciplina e qual è il suo contributo alla medicina in generale e più in particolare all’oncologia.
La radice da termini presi dal greco antico della parola epidemiologica ci dice che essa è composta da epi, su, demos, popolo, logos, studio. Quindi possiamo dire che l’epidemiologia è uno “studio sulla popolazione”.
In effetti una delle prime differenze tra la clinica e l’epidemiologia sta proprio nei destinatari delle attenzioni degli esperti. Mentre il clinico si concentra soprattutto sul singolo paziente, l’epidemiologo allarga lo sguardo a una moltitudine, a un gruppo di persone.
Un'altra differenza importante tra clinico ed epidemiologo è lo scopo principale delle loro attività: il primo cerca di fare una diagnosi e di curare la persona, mentre il secondo si preoccupa di capire il perché di una malattia in una popolazione e come essa insorge.
Tornando alla definizione proposta in precedenza, l’epidemiologo studia come è distribuita una malattia all’interno di una specifica popolazione (per esempio, limitatamente ai bambini; tra le persone che svolgono un determinato lavoro; o quelle che seguono una certa alimentazione; eccetera), ma soprattutto di identificare i fattori di rischio che determinano la patologia.
Vista così, l’epidemiologia potrebbe sembrare una scienza poco “pratica”, che si limita a osservare e descrivere un fenomeno. La realtà è però ben diversa, e proprio grazie agli studi epidemiologici è stato possibile introdurre strategie di prevenzione efficaci per contrastare la diffusione di patologie anche molto pericolose.
L’epidemiologia non è una scienza nuova. Già quattro secoli prima di Cristo, il medico greco Ippocrate suggeriva che ci fosse un legame tra fattori ambientali e altri legati all’individuo (per esempio i suoi comportamenti) alla base dello sviluppo delle malattie. Nel 1662, il merciaio e consigliere londinese John Graunt pubblicò un’analisi dei dati di mortalità, sottolineando differenze tra uomini e donne, tra campagna e città e nelle diverse stagioni.
Si deve però arrivare fino al 1800 per incontrare il medico britannico John Snow, considerato il “padre dell’epidemiologia” per i suoi studi condotti a Londra sul colera (oltre a essere stato un pioniere dell’anestesia). Grazie alle sue attente ricerche sulla popolazione e sulla distribuzione geografica della malattia, Snow ipotizzò che la trasmissione fosse legata all’acqua e in particolare ad alcune pompe contaminate. Dalla teoria alla pratica, quando le pompe sospette furono chiuse, la diffusione del colera si arrestò.
Tra i primi esempi in campo oncologico, possiamo ricordare il medico italiano Bernardino Ramazzini che, nel 1713, notò l’assenza di tumore della cervice uterina e una incidenza relativamente alta di tumore del seno nelle suore. Questi dati gli fecero ipotizzare un legame tra la vita da nubili delle suore e questi tumori, un’osservazione importante per la successiva identificazione del ruolo dell’attività sessuale, della gravidanza e degli ormoni in tale contesto.
L’epidemiologia moderna è sicuramente cambiata rispetto a quella di Snow e colleghi che si concentravano soprattutto sull’osservazione di grandi epidemie di malattie trasmissibili causate da virus e batteri. Oggi gli epidemiologi guardano anche alle patologie non trasmissibili come malattie cardiovascolari e tumori, andando a volte ben oltre i fattori ambientali per arrivare fino all’epidemiologia molecolare, che ricerca i meccanismi biologici alla base delle osservazioni epidemiologiche.
L’epidemiologia moderna si basa su numeri, dati e informazioni raccolti in popolazioni spesso molto ampie, per lunghi periodi di tempo. Per elaborare i dati servono strumenti matematici, statistici e informatici specifici, che permettono di valutare potenza e rigore delle eventuali associazioni tra fattori di rischio e malattie.
Per raccogliere le informazioni, gli epidemiologi utilizzano spesso questionari validati dalla comunità scientifica e proposti alla popolazione coinvolta nello studio, oppure si basano sui dati delle cartelle cliniche dei pazienti ricoverati in ospedale o sui registri di malattia (come i registri oncologici, disponibili anche in Italia).
Nonostante tutte le accortezze dei ricercatori, non è possibile escludere alcuni problemi nella raccolta dei dati: per esempio, quando si utilizzano questionari alimentari per definire le abitudini nutrizionali di un gruppo di persone, alcune delle risposte potrebbero non essere precise, sia perché i ricordi sono spesso approssimativi, sia perché le persone spesso vogliono apparire più “virtuose” di quanto sono in realtà.
Gli studi epidemiologici possono essere “osservazionali” o “sperimentali”. Fanno parte del primo gruppo tutti gli studi che descrivono la distribuzione delle malattie nelle popolazioni in esame sia nello spazio sia nel tempo: tra questi vi sono gli studi osservazionali caso-controllo nei quali, per esempio, si confronta una popolazione esposta a un fattore di rischio (per esempio il fumo) con una non esposta e si valutano le differenze in termini di sviluppo e andamento nel tempo di una o più malattie nelle due popolazioni.
Gli esempi di studi osservazionali non mancano e hanno portato a risultati fondamentali per la comprensione e la prevenzione di molte malattie, come lo studio internazionale EPIC, sostenuto anche da AIRC, che ha valutato il legame tra alimentazione e cancro, o lo studio Framingham che ha permesso di identificare molti fattori di rischio cardiovascolare.
Nella cosiddetta epidemiologia sperimentale, invece, c’è un intervento del ricercatore che modifica le condizioni di partenza per verificare l’efficacia di una cura o di un metodo preventivo. Un classico esempio è sottoporre i partecipanti a due diversi regimi alimentari e poi osservare se queste modifiche fanno la differenza anche in termini di sviluppo o prevenzione di una malattia. Il tutto sempre con grande attenzione alla sicurezza del paziente e al rispetto delle norme etiche.
Lo sviluppo più recente dell’epidemiologia è la cosiddetta epidemiologia molecolare, che unisce le informazioni ottenute dagli studi precedenti con i dati provenienti da analisi genetiche o molecolari. In questo modo è possibile ricostruire l’interazione tra abitudini, fattori ambientali e caratteristiche genetiche o metaboliche individuali, che fanno sì che alcune persone siano più esposte di altre al rischio di sviluppare determinate malattie.
Agenzia ZOE