Ultimo aggiornamento: 22 gennaio 2025
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Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato a partire dal 1850 – l’anno in cui sono iniziate le prime registrazioni affidabili e continuative della temperatura della superficie del pianeta, come riporta l’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico. L’aumento della temperatura è uno dei segnali del riscaldamento globale in corso, che ha conseguenze molto vaste e diffuse. Tra queste vi sono l’aumento dell’intensità e della frequenza di episodi climatici estremi come ondate di calore, siccità, incendi, tempeste e alluvioni. Sembra inoltre che siano dovuti ai cambiamenti climatici anche alcuni fenomeni più lenti e progressivi, tra cui l’aumento del livello di mari e oceani, che potrebbe sommergere città come Venezia.
L’Europa è una delle regioni più colpite dalla crisi climatica, con giornate in media più calde e precipitazioni e ondate di calore più frequenti e intense. Nell’insieme, questi fenomeni sembrano aver comportato un aumento di oltre 17 morti ogni 100.000 abitanti tra il periodo 2003-2012 e il periodo 2013-2022. A soffrirne maggiormente è l’Europa meridionale, che subisce eventi climatici estremi, come alluvioni e siccità, sempre più consistenti. Alcuni esperti stimano, per esempio, che entro il 2100 nel Sud dell’Europa i decessi dovuti al caldo saranno oltre 9 volte quelli che si verificheranno nel Nord del continente.
I cambiamenti climatici possono influire pesantemente sulla salute delle persone, in particolare tra quelle che vivono in Paesi con minori risorse necessarie alla popolazione per difendersi, adattarsi ed eventualmente curarsi.
Tra le conseguenze sulla salute dei fenomeni legati ai cambiamenti climatici vi sono per esempio lesioni e decessi in seguito a eventi climatici estremi come le alluvioni. Inoltre, temperature e umidità elevate per lunghi periodi di tempo possono provocare colpi di calore, favorire la diffusione o la proliferazione di microrganismi che causano infezioni, aggravare o esacerbare problemi di salute come i disturbi cardiovascolari, il diabete e l’asma, e favorire problemi in gravidanza. I disastri naturali possono inoltre comportare problemi psicologici come ansia e depressione, compromettere la qualità dell’aria e dell’acqua, ridurre la disponibilità e la qualità del cibo e limitare l’accesso ai servizi sanitari. Senza contare i problemi sociali ed economici, come per esempio la necessità di cambiare luogo di residenza dovuta, per esempio, alla distruzione delle abitazioni.
Il cambiamento climatico sembra avere un impatto anche sul cancro, almeno in due modi. In primo luogo, gli eventi climatici estremi dovuti al riscaldamento globale diffondono sostanze cancerogene. Per esempio, nel corso degli incendi si liberano sostanze come benzene, idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti, mentre gli uragani possono distruggere impianti industriali, facendo sì che si sprigionino nell’ambiente varie sostanze tossiche e cancerogene. In secondo luogo, la crisi climatica può avere anche un impatto indiretto su tutti i tipi tumori, dal momento che può ridurre la possibilità dei pazienti di accedere alle cure.
Il 25 agosto 2017 l’uragano Harvey ha colpito Rockport, una città del Texas (Stati Uniti), con enorme violenza, causando gravi danni alle coste dello stato. Ma l’eccezionalità dell’evento risiede soprattutto nelle precipitazioni da record seguite all’uragano: tra il 25 e il 31 agosto 2017 le precipitazioni sono state tra le più significative mai registrate nella storia degli Stati Uniti d’America. Come ha riportato la European Geosciences Union, in genere ci vogliono circa 10 mesi perché a Houston cada una tale quantità d’acqua. A causa delle precipitazioni eccessive e delle esondazioni dei torrenti della zona, Houston e dintorni hanno subito inondazioni urbane senza precedenti, in alcune aree anche per settimane.
Si stima che il riscaldamento globale imputabile alle attività umane abbia aumentato di quasi il 20 per cento l’intensità e la frequenza di questo tipo di precipitazioni e che la probabilità che si verifichino eventi come questo sia aumentata di circa 3,5 volte. Ma cosa c’entra il cancro?
Le inondazioni possono coinvolgere industrie, raffinerie di petrolio, siti contaminati che richiedono bonifiche e altri luoghi dove sono presenti anche sostanze cancerogene, come solventi, metalli pesanti, diossine e idrocarburi policiclici aromatici. A causa del dissesto provocato dalle inondazioni, queste sostanze possono raggiungere le aree abitate. È proprio quanto è accaduto con la tempesta che è seguita all’uragano Harvey, o con quella dovuta all’uragano Florence, che ha colpito la North Carolina (sempre negli Stati Uniti) nel settembre del 2018.
Ma la crisi climatica, oltre alle alluvioni, favorisce anche gli incendi. È importante sottolineare che gli incendi boschivi sono fenomeni normali in aree ricche di distese boschive e di arbusti soggette a lunghi periodi di caldo, come l’Australia e il Brasile. Tuttavia, numerosi dati, tra cui quelli pubblicati sulla rivista Earth System Science Data ad agosto 2024, mostrano che a causa del cambiamento climatico e la siccità che porta con sé in alcune zone del mondo, eventi di questo tipo sono circa 3 volte più frequenti in Canada e quasi 30 volte più frequenti in Amazzonia di quanto sarebbero altrimenti. Si stima che, se le emissioni di gas serra dovessero ulteriormente aumentare, entro la fine del secolo gli incendi boschivi potrebbero arrivare a essere oltre 10 volte più frequenti di oggi. Inoltre, sono in crescita anche l’estensione degli incendi e la durata di tali eventi. Da questi rischi non sono escluse le aree urbane, come hanno mostrato gli incendi che hanno devastato la zona di Los Angeles, in California, a inizio 2025.
I problemi legati al cambiamento climatico hanno vasti impatti nello spazio e nel tempo. Per esempio, alcuni inquinanti atmosferici rilasciati dagli incendi possono essere trasportati per lunghe distanze, compromettendo la qualità dell’aria per mesi. Inoltre, sostanze potenzialmente dannose per la salute come le diossine, alcuni interferenti endocrini e metalli pesanti possono rimanere nell’ambiente per tempi molto lunghi, persino decine di anni. La diffusione degli inquinanti atmosferici aumenta l’incidenza del cancro del polmone, anche se la causa principale di questa malattia sono le sigarette, responsabili dell’85-90 per cento dei casi.
Secondo alcune stime pubblicate nel 2016 sulla rivista The Lancet, entro il 2050 i cambiamenti climatici potrebbero ridurre la disponibilità di alimenti del 3,2 per cento, e in particolare del 4 per cento quella di frutta e verdura. Ciò comporterebbe oltre 500.000 decessi, dovuti principalmente al fatto che sarebbe favorita un’alimentazione poco salutare e di conseguenza aumenterebbero i casi di malattie cardiovascolari, tra cui gli infarti, e di cancro.
Oltre a compromettere la produttività di alcune coltivazioni, la crisi climatica può favorire la proliferazione di microrganismi associati all’insorgenza di alcuni tipi di tumore. Per esempio, ad alte temperature le coltivazioni di mais e di altre colture alimentari sono più di frequente contaminate da muffe che liberano aflatossine, sostanze genotossiche che aumentano il rischio di sviluppare cancro del fegato.
I risultati di molti studi scientifici mostrano che l’esposizione alle radiazioni ultraviolette, presenti nei raggi solari, porta a un aumento del rischio di sviluppare melanomi e altri tipi di tumore della pelle. I cambiamenti climatici possono favorire l’esposizione ai raggi ultravioletti a causa di diversi fattori.
I cosiddetti gas serra, cioè quelli che “intrappolano” il calore sulla superficie terrestre favorendo il riscaldamento globale, contribuiscono all’assottigliamento dello strato di ozono presente nell’atmosfera terrestre, chiamato ozonosfera. L’ozono è un gas capace di agire da filtro per parte delle radiazioni ultraviolette, proteggendoci dai loro effetti dannosi. Tra le nostre latitudini e quelle corrispondenti nell’emisfero opposto (60°N-60°S), oggi l’ozonosfera è circa il 2-3% più sottile rispetto al periodo 1964-1980. Il problema colpisce però in particolare i cieli ai poli, dove i livelli medi di ozono possono essere di circa il 30 per cento in meno rispetto al periodo 1970-1982.
Diverse politiche globali puntano a proteggere l’ozonosfera. Tra queste vi è il protocollo di Montréal, un accordo ratificato da 197 Paesi, Italia inclusa, nell’ambito del Programma ambientale delle nazioni unite (UNEP). Secondo stime risalenti al 2013, tra l’inizio dell’attuazione del protocollo e il 2030 i provvedimenti previsti potrebbero prevenire fino a 2 milioni di casi di cancro della pelle.
Sia la maggiore presenza di raggi ultravioletti sia il riscaldamento globale favoriscono anche un altro fenomeno che aumenta l’esposizione ai raggi solari: la riduzione della copertura nuvolosa. Inoltre, l’aumento delle temperature favorisce l’esposizione al sole perché con il caldo le persone tendono a stare di più all’aperto e a indossare abiti meno coprenti, che non proteggono nemmeno parzialmente dai raggi ultravioletti.
Per prevenire, diagnosticare, e soprattutto trattare i tumori è necessario recarsi frequentemente dai medici e disporre di risorse adeguate, non solo economiche. Per esempio, occorre che vi sia corrente elettrica sufficiente e costante affinché si possano effettuare esami e trattamenti. Per questo quando un evento climatico estremo colpisce un Paese e le sue strutture, e in particolare quelle ospedaliere, i pazienti oncologici sono tra le popolazioni più vulnerabili. Uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nel 2019 ha per esempio indagato l’associazione tra disastri naturali provocati da uragani e la sopravvivenza di pazienti con il tipo di cancro al polmone più diffuso, quello non a piccole cellule (NSCLC). Il gruppo di ricercatori ha utilizzato i dati di 1.934 pazienti il cui trattamento con radiazioni era stato interrotto a causa di un ciclone, e di altri 129.080 pazienti che avevano completato la medesima terapia senza che nella loro documentazione fosse dichiarata una catastrofe naturale. Per i primi risultava essere stato necessario un trattamento prolungato e, ciò nonostante, la loro sopravvivenza era risultata più breve, mediamente, di 2 mesi rispetto agli altri pazienti, anche considerando alcuni eventuali fattori confondenti. Lo svantaggio aumentava se il disastro ambientale era durato più a lungo.
Un altro esempio viene da Porto Rico, dove nel 2018 l’uragano Maria colpì diverse infrastrutture e rese così inutilizzabili le macchine con cui si effettuava la radioterapia. Questo evento sfortunato mostra anche impatti più indiretti di un disastro ambientale sui pazienti oncologici. Infatti, l’uragano Maria a Porto Rico aveva colpito anche uno stabilimento che produceva molte delle sacche utilizzate negli Stati Uniti per la somministrazione di farmaci, tra cui alcuni antibiotici. La conseguenza fu che per diversi centri statunitensi fu difficile rifornirsi di diversi tipi di farmaci, compresi alcuni necessari al trattamento di pazienti oncologici. Eventi meteorologici estremi possono comportare disfunzioni anche di altro tipo, per esempio nei trasporti, nei sistemi di comunicazione e nel funzionamento dei laboratori di analisi, colpendo tutta la filiera coinvolta nella diagnosi e nella cura dei tumori, peggiorando di conseguenza la prognosi dei pazienti.
In parte, è possibile attenuare le conseguenze dei cambiamenti climatici grazie a interventi sia locali sia globali. Per esempio, l’utilizzo di barriere e di altri metodi ambientali, come il ripristino di coltivazioni che limitano gli allagamenti, può aiutare a mitigare gli effetti delle alluvioni. Creare aree verdi o luoghi pubblici con aria condizionata è utile a evitare i rischi del caldo. È fondamentale anche garantire servizi sanitari, sociali e di assistenza in grado di rispondere ai bisogni delle persone e informare le popolazioni sui rischi che corrono e su come agire in caso di emergenza, con particolare attenzione agli individui più a rischio. Per realizzare al meglio questi obiettivi, è utile monitorare i fenomeni ambientali, realizzare collaborazioni tra enti diversi e chiedere alle popolazioni di riportare eventuali necessità da soddisfare. Anche grazie a interventi come questi nell’ultimo secolo sono diminuite di circa 10 volte le morti dovute a disastri ambientali, passate da circa 500.000 ogni anno tra il 1920 e il 1930 a circa 38.000 nel 2020.
Questi interventi fanno parte della cosiddetta prevenzione secondaria, ovvero mirata a ridurre l’impatto dei fattori di rischio e dunque delle loro conseguenze più importanti. Come per le malattie, però, è innanzitutto fondamentale la prevenzione primaria, che punta a evitare che il problema si crei. L’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, sottoscritto nel 2015, impegna 117 Paesi del mondo a fare ogni sforzo per limitare l’aumento delle temperature medie globali a 1,5 gradi rispetto a quelle dell’era preindustriale. Questo perché si stima che gli impatti dei cambiamenti climatici aumentino fortemente oltre tale soglia. La transizione verso un’umanità meno impattante è iniziata, ma non sembra che la situazione migliorerà presto: secondo le previsioni, se la situazione non cambierà l’Europa raggiungerà la neutralità climatica solo nel 2100. Quindi, come sottolinea il rapporto di “Lancet Countdown” del 2024, occorreranno azioni più significative e immediate per minimizzare il problema. Anche in ambito oncologico è possibile fare qualcosa: per esempio, valutando e migliorando l’organizzazione degli ospedali e l’efficienza degli studi clinici, riciclando correttamente i rifiuti e riducendo gli spostamenti grazie alla telemedicina o all’avvicinamento dei trattamenti ai pazienti quando possibile.
Ridurre i fattori che stanno incrementando la crisi climatica avrebbe anche dei benefici in ambito oncologico. Per esempio, le sostanze che favoriscono il riscaldamento globale emesse dai processi industriali di combustione, dai mezzi di trasporto e dal riscaldamento degli edifici favoriscono anche i tumori, quindi ridurre le emissioni aiuterebbe anche la prevenzione oncologica. Per farlo, una mossa utile è preferire i mezzi pubblici, la bici o gli spostamenti a piedi alle automobili. Questa scelta limita così il peggioramento dei cambiamenti climatici, ma anche l’insorgenza delle malattie e la mortalità dovute all’inquinamento atmosferico. Inoltre, muoversi contrasta la sedentarietà, fattore di rischio importante per diversi tipi di cancro. Infine, anche ciò che portiamo in tavola può contribuire sia ai cambiamenti climatici sia al rischio di tumore. Infatti, circa un terzo dei gas serra prodotti dall’umanità è legato all’alimentazione, tra produzione, trasporto e incendi boschivi per liberare suolo coltivabile. I vegetali sono sia gli alimenti meno impattanti dal punto di vista ambientale, poiché richiedono meno acqua, energia e suolo per la produzione rispetto in particolare alle carni, sia i cibi con cui arricchire la propria dieta per favorire la prevenzione primaria dei tumori e, nelle persone con tumore, la guarigione e la riduzione del rischio di recidive.
Jolanda Serena Pisano