Ultimo aggiornamento: 12 febbraio 2024
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La metastasi ossea è una neoplasia secondaria che non prende origine nell’osso stesso, ma è causata da cellule tumorali migrate in questa sede da organi diversi (mammella, prostata eccetera), dove si è sviluppato precedentemente un tumore primario. La progressione tumorale, e in particolare la ricaduta sistemica dipende da diversi fattori che devono verificarsi. Da un tumore primario si staccano molte cellule, la maggior parte delle quali non dà origine a metastasi: solo lo 0,02 per cento delle cellule che raggiungono il circolo sanguigno riesce a rimanere vitale e a colonizzare un secondo organo. Il fatto che alcune riescano nell’impresa dipende da almeno 4 fattori: le caratteristiche del tumore primario (tipo di neoplasia, stadio e grado), il microambiente in cui è immerso il tumore, gli eventuali ostacoli che le cellule metastatiche trovano nel loro viaggio e le caratteristiche generali del paziente.
Le cellule tumorali, quando raggiungono il tessuto osseo, possono rimanere quiescenti (vitali ma non proliferanti) per tempi molto lunghi, anche molti anni. Grazie a diversi stimoli esterni, le cellule dormienti possono ricominciare a proliferare nel tessuto osseo e formare metastasi ossee conclamate diagnosticabili radiologicamente. Quando le cellule metastatiche hanno formato colonie distanti dal tumore primario, possono anche avere sviluppato caratteristiche diverse da quelle delle cellule di partenza.
Ogni anno in Italia si contano circa 35.000 nuovi casi di metastasi ossee, secondo i dati riportati dall’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). Il numero di casi è, peraltro, in aumento, soprattutto per il fatto che i malati oncologici, grazie alle nuove possibilità terapeutiche, convivono più a lungo con la malattia. Aumenta così la possibilità di sviluppare una malattia metastatica e le metastasi ossee sono le più comuni, dopo quelle al polmone e al fegato. Soprattutto negli adulti le metastasi ossee sono più comuni del tumore primario che colpisce l’osso.
Nonostante i passi avanti compiuti negli ultimi anni, i meccanismi che portano una cellula tumorale a staccarsi dalla sede primaria e a dare origine a un tumore metastatico delle ossa non sono ancora del tutto chiari. Di conseguenza oggi i medici non possono stabilire con certezza quali pazienti sono più a rischio di sviluppare tali metastasi.
Di certo ci sono tumori che hanno maggiori probabilità di metastatizzare alle ossa: per esempio, quelli della mammella, della prostata, del polmone, della tiroide e del rene. Inoltre, a parità di sede del tumore primario, il rischio dipende da diversi fattori non solo di natura patologica, come le dimensioni e il grado di differenziazione. Anche le caratteristiche molecolari si riflettono nell’aggressività biologica dei tumori. Sono state per esempio identificate alcune alterazioni genetiche non ereditarie che favoriscono lo sviluppo di metastasi. Infine, è noto che il rischio di metastasi ossee aumenta se il tumore primario ha già intaccato altri organi.
Attualmente non esistono strategie di prevenzione efficaci per impedire a un tumore di dare metastasi alle ossa. La migliore prevenzione resta quindi l’identificazione precoce del cancro primario. Nello specifico, per alcuni dei tumori che hanno maggiore tendenza a colonizzare l’osso, come quelli della mammella, esiste una buona possibilità di diagnosi precoce grazie ai controlli periodici e agli screening consigliati dagli esperti. Inoltre, per alcuni tumori primitivi, tra cui il carcinoma della mammella, la ricerca clinica degli ultimi 15 anni ha permesso di sviluppare terapie da somministrare prima dell’avvento della metastasi ossea, che contribuiscono a conservare una buona salute dell’osso, in particolare in pazienti che sono in menopausa e in trattamento ormonale. Tali cure possono considerarsi quindi utili a scopo preventivo, almeno per evitare complicanze come le fratture da osteoporosi. Tra queste terapie sono inclusi i farmaci diretti alle ossa come i bifosfonati.
Le metastasi ossee hanno caratteristiche differenti a seconda del tumore di origine: nelle donne la maggior parte delle metastasi ossee deriva da un tumore primario della mammella e del polmone mentre negli uomini da tumori della prostata e del polmone. Altri tumori primari che possono dare origine a tumori ossei metastatici sono quelli di rene, tiroide, vescica, utero e pelle (melanomi).
Le metastasi ossee possono essere a prevalenza litica o addensante. Nel primo caso l’arrivo delle cellule tumorali in sede ossea provoca un aumento di riassorbimento osseo, mentre in quelle prevalentemente addensanti si ha un aumento della formazione di nuova matrice ossea, che viene deposta in maniera disorganizzata. Entrambe le situazioni possono provocare fratture ossee. Il carcinoma della mammella provoca metastasi prevalentemente litiche, mentre il carcinoma della prostata dà soprattutto metastasi addensanti.
Tutte le ossa del corpo possono essere sede di metastasi, ma in genere le più colpite sono quelle della parte centrale del corpo, in particolare la colonna vertebrale. Spesso le metastasi ossee raggiungono le ossa pelviche, le costole, la parte superiore di gambe (femore) e braccia (omero) e il cranio.
In un caso su quattro le metastasi ossee non danno sintomi e vengono scoperte nel corso di esami eseguiti per altre ragioni oppure nel corso degli approfondimenti che servono a definire lo stadio di un tumore primario. Nei restanti casi si possono verificare quelli che gli esperti chiamano eventi scheletrici correlati, una serie di segni e sintomi che possono far pensare a qualcosa che non va a livello dell’osso. Il sintomo principale è il dolore osseo, che all’inizio va e viene, ma poi peggiora e tende a diventare continuo, presentandosi anche a riposo o durante la notte. Inoltre, poiché le metastasi indeboliscono l’osso, diventano più frequenti le fratture, spesso anche molto dolorose, a livello degli arti o della colonna vertebrale.
Quando le metastasi colpiscono la colonna vertebrale, si può verificare una complicanza chiamata compressione midollare: le metastasi schiacciano il midollo e interferiscono con i nervi che controllano il movimento, le sensazioni e le attività di vescica e intestino. Di conseguenza, si possono presentare dolore, formicolii, difficoltà a camminare o a muovere le braccia, fino ad arrivare alla paralisi, nei casi estremi.
Altri disturbi comuni sono l’incontinenza urinaria e intestinale. Infine, a causa delle metastasi, il calcio contenuto nelle ossa si può riversare nel circolo sanguigno: si innalzano di conseguenza i livelli di calcio nel sangue (ipercalcemia) che portano a stipsi, nausea, perdita di appetito, senso di stanchezza e debolezza, insufficienza renale. Se non curati, possono anche portare al coma.
Di fronte a segni e sintomi che possono far pensare alla presenza di metastasi ossee, il medico prescrive esami di approfondimento che permettono di verificare se il sospetto è fondato. In genere vengono prescritti esami di diagnostica per immagini come i raggi X, la scintigrafia ossea, la tomografia computerizzata (TC), la risonanza magnetica o la tomografia a emissione di positroni (PET). Molto utile anche il prelievo di sangue, grazie al quale si possono controllare i livelli di calcio e di fosfatasi alcalina, che in genere aumentano in caso di metastasi ossee. Da ricordare, però, che l’aumento di questi valori non indica solo la presenza di tumore metastatico dell’osso: la fosfatasi alcalina, per esempio, si alza anche in caso di patologie del fegato, e altre malattie, oltre al cancro, possono far aumentare i livelli di calcio nel sangue. In presenza di un tumore primario e di ipercalcemia, però, il sospetto di metastasi ossee è fondato. Analizzando le urine o il sangue è possibile individuare sostanze che derivano dalla degradazione dell’osso causata dalle metastasi (come il N o C-telopeptide). Nel caso in cui tutti gli esami eseguiti non permettano di arrivare a una diagnosi certa, si può procedere con la biopsia, che consiste nel prelievo di una parte di tessuto osseo “sospetto” e nella successiva analisi al microscopio.
Assegnare uno stadio al cancro significa stabilire quanto la malattia è diffusa nell’organismo. Non esiste un vero e proprio sistema di stadiazione per le metastasi come quello utilizzato per stabilire lo stadio del tumore primario. In genere, infatti, lo stadio del tumore primario è più alto se sono presenti metastasi, ossee o di altro tipo.
Il trattamento delle metastasi ossee ha in genere lo scopo di rallentare o bloccare la crescita delle cellule metastatiche e di ridurre i sintomi, portando spesso miglioramenti nella qualità della vita, ma anche nella prognosi dei pazienti. Eliminare del tutto le metastasi (non solo ossee) resta però molto difficile.
La scelta del trattamento dipende da diversi fattori, tra i quali il tipo di tumore primario e le sue caratteristiche patologiche e molecolari, il numero e la sede delle ossa interessate, il livello di rischio di complicanze delle varie lesioni e le eventuali complicanze presenti come le fratture occorse e le terapie già affrontate in precedenza, oltre che lo stato di salute generale dei pazienti.
Il trattamento delle metastasi ossee è un trattamento multidisciplinare. Infatti, oltre all’oncologo che interviene con i trattamenti antitumorali sistemici e mirati all’osso, coinvolge altri specialisti che possono intervenire sia a livello locoregionale, come il chirurgo ortopedico e neurochirurgo, il radioterapista e il radiologo interventista. Per interventi sistemici il medico nucleare può proporre trattamenti con sostanze radioattive mirate all’osso. È altrettanto importante il coinvolgimento dello specialista delle cure palliative per combattere il dolore e sintomi sistemici come la stanchezza, la disappetenza e altri. Inoltre, è importante che sia coinvolto un fisiatra, per assicurare ausili e ortesi (dispositivi medici per la riabilitazione) che permettono il movimento senza aumentare il rischio di complicanze.
La sopravvivenza dei pazienti oncologici anche in presenza di metastasi ossee è aumentata negli ultimi anni, grazie alle tecniche innovative di diagnosi, la migliore caratterizzazione dei tumori dal punto di vista patologico e da quello molecolare e lo sviluppo di nuovi trattamenti sia di natura medica, fisica e chirurgica.
La radioterapia viene impiegata con lo scopo di ridurre la massa tumorale metastatica, i rischi di complicanze e di alleviare i sintomi. Allo stesso modo si usano le tecniche di radiologia interventistica come l’ablazione termica che riesce a distruggere il tessuto tumorale con mezzi come il caldo o il freddo, e l’embolizzazione arteriosa che chiude i vasi arteriosi del tumore, bloccando l’apporto di nutrienti che permettono al cancro di crescere e in questo modo allevia il dolore e il rischio di complicanze. In alcuni casi questa tecnica viene associata alla radioterapia o la chirurgia.
Se l’osso è già indebolito, si può aiutare a stabilizzarlo tramite la chirurgia, mediante l’inserimento di chiodi, placche o protesi articolari che rafforzano e proteggono dal rischio di fratture. Per riempire i vuoti lasciati dalla distruzione del tessuto osseo dovuto all’arrivo delle cellule tumorali si utilizza a volte uno speciale cemento, il polimetilmetacrilato, che rende l’osso più forte e stabile diminuendo il dolore. Si parla di vertebroplastica o cifoplastica se il polimetilmetacrilato viene inserito a livello delle ossa della colonna, o di cementoplastica nel caso di altre ossa.
I trattamenti sistemici che raggiungono diversi distretti dell’organismo sono utilizzati quando ci sono le metastasi. Alcuni di questi sono specifici per le metastasi ossee, altri invece sono utilizzati in generale per diversi tipi di metastasi, anche in organi differenti. La chemioterapia è uno dei trattamenti sistemici oggi disponibili e a volte viene utilizzata in combinazione con trattamenti locali come la radioterapia. C’è poi la terapia ormonale, che si rivela particolarmente utile nel caso di tumori che crescono sotto lo stimolo degli ormoni (come il tumore della mammella e della prostata). Queste terapie possono bloccare la produzione di ormoni oppure impedire loro di agire sulle cellule del tumore, inibendo quindi la proliferazione cellulare.
Più di recente sono state introdotte nuove terapie sistemiche anche nella fase metastatica, mirate contro uno specifico bersaglio molecolare presente sulle cellule tumorali, e l’immunoterapia che stimola il sistema immunitario a combattere il tumore. Ci sono poi i radiofarmaci, molecole che portano con sé una componente radioattiva e colpiscono in modo preciso il tumore osseo metastatico.
Negli ultimi decenni sono state sviluppate delle terapie specifiche per le metastasi ossee, volte a restaurare la struttura ossea e la sua stabilità, in particolare inibendo gli osteoclasti, ovvero le cellule ossee deputate al riassorbimento dell’osso. In questa categoria rientrano i bifosfonati (come il pamidronato, l’ibandronato o l’acido zoledronico) che rinforzano l’osso rallentandone la distruzione da parte degli osteoclasti, e il denosumab. Questo farmaco è un anticorpo monoclonale che blocca la maturazione degli osteoclasti e riesce a rinforzare le ossa, pur agendo su meccanismi diversi rispetto a quelli dei bifosfonati.
Per tutti questi motivi e per le caratteristiche specifiche delle metastasi ossee, il trattamento di questi pazienti deve essere multidisciplinare per garantire un buon livello di qualità di vita e una socialità attiva, riducendo al minimo le complicanze. Per promuovere l’approccio multidisciplinare ai pazienti con metastasi ossee, in Italia sono state promosse negli anni diverse iniziative, tra cui corsi multidisciplinari, pubblicazione di libri e materiale didattico, la costituzione dei centri di osteoncologia, la fondazione del registro metastasi ossee e la Società italiana di osteoncologia (ISO). La multidisciplinarietà è stata promossa non solo nell’ambito dell’assistenza e della formazione ma anche nella ricerca clinica e traslazionale coinvolgendo anche i ricercatori di laboratorio.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Agenzia Zoe