Ultimo aggiornamento: 6 luglio 2021
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Si tratta del cancro che si forma nei tessuti che rivestono l’esofago, un organo di forma cilindrica, lungo circa 25-30 centimetri, largo 2-3 centimetri e localizzato tra la gola e lo stomaco. Nell’esofago passano gli alimenti e i liquidi che ingeriamo, spinti verso il basso da un’onda propulsiva scandita dalla muscolatura della parete dell’organo. Quest’ultima è costituita da uno strato di mucosa ricca di ghiandole, a diretto contatto con gli alimenti, da uno strato sottomucoso e da uno muscolare, responsabile della spinta del cibo verso il basso.
L’esofago è collegato allo stomaco, nel suo tratto terminale, da una valvola detta cardias, che si apre e si chiude permettendo il passaggio del cibo dall’esofago allo stomaco e impedendone poi la risalita.
Il tumore dell'esofago è dovuto nella maggior parte dei casi alla crescita incontrollata delle cellule appartenenti allo strato di mucosa o alle ghiandole che la costituiscono; molto più raramente deriva dalle cellule muscolari.
L'oncologa Laura Locati parla dei tumori dell'esofago e fa il punto sui progressi della ricerca su queste malattie.
Sulla base delle stime GLOBOCAN 2020 dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, il tumore dell'esofago occupa l’ottavo posto a livello globale (considerando entrambi i sessi; analisi su 185 Paesi) nella classifica dei tumori più comuni e il sesto in quella dei tumori a mortalità più elevata.
Nel 2020 in tutto il mondo sono stati registrati 604.100 nuovi casi e 544.076 decessi per questo tumore.
Secondo i dati del rapporto I numeri del cancro in Italia 2020, pubblicato, tra gli altri, dall’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) e dall’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), in Italia i nuovi casi di tumore dell’esofago sono 2.400 in un anno, 1.700 nei maschi e 700 nelle femmine. Per quanto riguarda la mortalità, in Italia si stimano 1.900 decessi ogni anno, ancora una volta più frequenti nei maschi (1.400) che nelle femmine (500).
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi resta ancora molto bassa: in Italia i dati parlano del 12 per cento nei maschi e del 17 per cento nelle femmine.
Esistono fattori di rischio modificabili e non modificabili correlati all’insorgenza di tumore dell’esofago. Tra i fattori di rischio non modificabili ci sono l’età (in genere il tumore dell’esofago si presenta in età superiore ai 60 anni), e l’appartenenza al sesso maschile, dal momento che la probabilità di sviluppare un tumore dell’esofago è superiore di 2-5 volte negli uomini.
Tra i fattori di rischio modificabili, invece, fumo e consumo di alcol ricoprono un ruolo di primo piano, in quanto responsabili, rispettivamente, di un incremento delle probabilità di ammalarsi di 5-10 volte e di 3-7 volte (l’aumento del rischio riguarda in particolare il carcinoma squamocellulare). Questi due fattori si potenziano a vicenda, tanto che il rischio aumenta fino a 100 volte in chi fuma e consuma alcolici.
Anche essere in sovrappeso, o ancor di più obesi, fa crescere il rischio di sviluppare un tumore dell’esofago. Inoltre alcuni studi suggeriscono che un consumo eccessivo di carne rossa e conservata possa aumentare le probabilità di ammalarsi, mentre una dieta ricca di frutta e verdura possa ridurle.
Il rischio di sviluppare un tumore dell’esofago aumenta anche in chi presenta alcune condizioni ereditarie specifiche, come la tilosi palmare e plantare, una rara malattia contraddistinta da ispessimento della pelle dei palmi delle mani, delle piante dei piedi (ipercheratosi) e da papillomatosi dell'esofago, ovvero dalla formazione di piccole escrescenze dette appunto papillomi.
Da non sottovalutare anche la presenza di patologie dell’esofago, come la Sindrome di Plummer-Vinson o l’acalasia; quest’ultima può aumentare anche di 30 volte il rischio di carcinoma esofageo e il tumore si presenta in genere 15-20 anni dopo la diagnosi di acalasia.
L'infiammazione cronica della mucosa che riveste l'esofago aumenta il rischio di ammalarsi di tumore. In particolare, l'esofagite peptica rappresenta un'infiammazione cronica della parte terminale dell'esofago causata dal reflusso di succhi gastrici acidi dallo stomaco verso l’esofago, a sua volta causata da un inadeguato funzionamento del cardias, la valvola di giunzione tra esofago e stomaco, tipicamente difettosa, per esempio, nelle persone obese. Il continuo reflusso dei succhi acidi provenienti dallo stomaco può spingere la mucosa di rivestimento dell’esofago, a trasformarsi, divenendo simile a quella gastrica, tipicamente resistente agli acidi. Questa condizione di trasformazione della mucosa esofagea prende il nome di esofago di Barrett, una forma patologica che si riscontra nell'8-20 per cento dei malati di reflusso gastroesofageo, ed è considerata una vera e propria precancerosi, che richiede talvolta anche il ricorso alla chirurgia (più spesso solo per via endoscopica) al fine di evitare la completa trasformazione dell'epitelio in tumore maligno.
Infine, tra i fattori di rischio di carcinoma dell’esofago, ricordiamo anche alcune infezioni da batteri o virus, come quella da Helicobacter pylori, sempre meno diffusa nei paesi occidentali grazie all’uso di trattamenti antibiotici efficaci nell’eradicare il batterio, mentre è ancora dibattuta in ambito scientifico la possibile associazione tra tumore esofageo e Papilloma virus umano (HPV).
A seconda del tessuto da cui prende origine, si distinguono due tipi di tumore: il carcinoma a cellule squamose e l’adenocarcinoma.
Il carcinoma a cellule squamose (squamocellulare o spinocellulare) si sviluppa di solito nelle cellule di rivestimento della parte superiore e centrale dell’organo. È il tipo più comune perché rappresenta il 60 per cento circa dei tumori esofagei.
L’adenocarcinoma origina dalle ghiandole della mucosa e si manifesta più di frequente nell'ultimo tratto, vicino alla giunzione con lo stomaco (terzo inferiore dell’organo). Questo tipo di neoplasia costituisce circa il 30 per cento dei tumori esofagei.
Per quanto riguarda la sede di origine, il 50 per cento nasce nel terzo medio dell’esofago, il 35 per cento nel terzo inferiore e il 15 per cento nel terzo superiore. Conoscere la sede di origine è importante dal momento che la posizione del tumore condiziona la scelta del trattamento e l’eventuale tecnica chirurgica utilizzabile.
Quasi sempre i sintomi iniziali del tumore dell'esofago sono la disfagia, cioè la difficoltà a deglutire, seguita dalla perdita progressiva di peso. La disfagia compare in modo graduale (in un primo momento diventa difficile ingoiare i cibi solidi, poi anche quelli liquidi) e il dolore e la difficoltà durante la deglutizione sono causa di ridotto apporto alimentare e conseguente perdita di peso. Talvolta l’ingombro causato dalla massa tumorale impedisce il normale transito degli alimenti, determinando ristagno del cibo ingerito e vomito precoce, qualche volta associato a sanguinamento, soprattutto se il tumore è ulcerato. Il sanguinamento della lesione tumorale può essere causa di anemia e, quindi, associarsi a sensazione di stanchezza.
La perdita di sangue lenta e continuativa da parte del tumore può manifestarsi in feci scure, proprio a causa della presenza di sangue digerito.
Nei casi più avanzati si può riscontrare un calo o un'alterazione del tono di voce dovuti al coinvolgimento da parte del tumore dei nervi che governano la mobilità delle corde vocali; inoltre è spesso presente tosse persistente.
Nella malattia molto avanzata, la presenza di metastasi alle ossa può causare dolori nei distretti colpiti o, in caso di metastasi al fegato, ingrossamento dell’organo.
Evitare alcol e fumo è senza dubbio la principale precauzione per prevenire il tumore dell'esofago. Anche seguire una dieta ricca di frutta e verdura, mantenere un peso nella norma e svolgere regolarmente attività fisica rappresentano strategie di prevenzione efficaci.
In molti casi l'adenocarcinoma si sviluppa da un esofago di Barrett: il modo più efficace di prevenirlo è ridurre il rischio di reflusso gastroesofageo, responsabile di esofagite cronica, riducendo il consumo di alcol e di sigarette, ma anche evitando il sovrappeso e l'obesità. In alcuni casi è indicato un intervento chirurgico di plastica dello iato esofageo. Sebbene diversi farmaci antiacidi siano in grado di controllare i sintomi da reflusso, non ci sono finora dimostrazioni scientifiche di una loro efficacia nel ridurre la comparsa dell'esofago di Barrett.
Non sono oggi previsti esami di screening estesi a tutta la popolazione che, con adeguato rapporto costo-beneficio, permettano di diagnosticare forme tumorali iniziali nei pazienti asintomatici, ma la diagnosi precoce che si può ottenere con esofagogastroscopie periodiche nelle persone più a rischio è estremamente importante per cogliere in tempo l’eventuale trasformazione maligna del tessuto. Per esempio, nei pazienti in cui la mucosa esofagea si è trasformata in mucosa gastrica (esofago di Barrett) è consigliata un'endoscopia di monitoraggio ogni due o tre anni.
Come per la maggior parte dei tumori, il primo passo verso la diagnosi è rappresentato da un’attenta analisi dei segni e sintomi della malattia da parte del medico. La visita include anche la raccolta di informazioni sulla storia medica personale e familiare del paziente.
In presenza di sintomi sospetti, la diagnosi richiede una radiografia dell'esofago con mezzo di contrasto e, soprattutto, un'endoscopia esofagea (l'esofagogastroscopia) che consente di vedere l'eventuale lesione e di ottenere materiale per un esame delle cellule (biopsia). Il tessuto prelevato viene, in seguito, analizzato al microscopio per una diagnosi accurata del tipo di tumore e anche delle sue caratteristiche molecolari, utili a guidare la scelta del trattamento.
L'eco-endoscopia è invece un altro tipo di esame che consente di determinare in maniera più accurata quanto è profonda l'infiltrazione degli strati della parete esofagea e può evidenziare anche linfonodi interessati da metastasi.
A completamento degli esami diagnostici si ricorre a una tomografia computerizzata (TC) o a una tomografia a emissione di positroni (PET), che aiutano il medico a valutare l’estensione della malattia e la presenza di eventuali metastasi anche molto piccole.
La classificazione in stadi (stadiazione) dei tumori permette di definire quanto è estesa una malattia e, quindi, guida la strategia terapeutica. Se un tumore è poco esteso è aggredibile con la chirurgia, mentre se un tumore è molto esteso la chirurgia non sarebbe efficace, poiché non riuscirebbe a eliminare tutto il tumore e quindi, in questi casi, bisogna utilizzare strategie diverse, come la chemio-radioterapia.
Per la stadiazione del tumore dell'esofago viene utilizzato il sistema TNM, dove la lettera T si riferisce all’estensione del tumore, la N all'interessamento dei linfonodi e la M alla presenza di metastasi a distanza.
In base al TNM si possono individuare diversi stadi di malattia, indicati con numeri progressivi da 0 a IV (talvolta seguiti da lettere dell’alfabeto per una stadiazione ancora più precisa). Più alto è lo stadio e più estesa è la malattia.
Il grado del tumore indica invece quanto le cellule del tumore differiscono da quelle sane e l’aggressività della malattia (quanto velocemente le cellule tumorali si riproducono). Maggiore è il grado (in una scala da 1 a 3), peggiore è la prognosi.
Per curare il tumore dell'esofago si ricorre, se la malattia è in uno stadio iniziale, alla chirurgia. L’intervento chirurgico è controindicato in caso la malattia si sia estesa agli organi vicini (come trachea e bronchi), in caso di metastasi a distanza, se il paziente è in condizioni generali di salute precarie oppure se è affetto da altre malattie che rendono particolarmente rischioso l’intervento chirurgico stesso. Tutti questi fattori devono essere presi in considerazione quando si sceglie il tipo di approccio terapeutico.
Nelle forme iniziali è possibile persino evitare la chirurgia classica “a cielo aperto” e ricorrere invece alla meno invasiva resezione mucosale endoscopica, o, in alcuni casi specifici, al laser per distruggere il tessuto tumorale.
L'intervento vero e proprio, in base al punto dell’esofago in cui origina il tumore, consiste nell'asportazione dell’esofago, di parte dello stomaco e dei linfonodi regionali, una procedura chiamata in gergo medico esofagectomia o esofago-gastrectomia con linfoadenectomia regionale.
Nei casi operabili ma localmente avanzati o con sospette metastasi ai linfonodi può essere indicata la chemioterapia, eventualmente associata alla radioterapia, prima dell'intervento chirurgico (terapia neoadiuvante) o anche in seguito alla rimozione chirurgica del tumore (terapia adiuvante).
Nei pazienti non operabili (per le ragioni viste prima) la chemioterapia accompagnata da radioterapia è il trattamento di scelta, anche perché la combinazione delle due cure aumenta la sopravvivenza rispetto alle singole opzioni.
I cosiddetti farmaci mirati, che agiscono in maniera selettiva sui meccanismi molecolari alla base dello sviluppo, della crescita e della diffusione del cancro, hanno oggi un ruolo nel trattamento dei tumori dell’esofago. In particolare, al momento della biopsia si valuta l’eventuale accentuata espressione nelle cellule del tumore di una proteina chiamata HER2 che può essere bersaglio di terapie specifiche come l’anticorpo monoclonale trastuzumab). Inoltre si considera l’espressione di alcune proteine (PD-L1) coinvolte nella risposta immunitaria contro il tumore e l’eventuale alterazione di alcune proteine normalmente responsabili della riparazione del DNA, chiamate proteine del mismatch repair, (MMR). L’inattivazione di queste proteine può determinare un accumulo di errori nel DNA della cellula, la cosiddetta instabilità dei microsatelliti o MSI, che rende il tumore potenzialmente più sensibile all’immunoterapia.
Tra i farmaci oggi a disposizione vi è anche il ramucirumab, anticorpo monoclonale che blocca l’angiogenesi, ovvero la formazione di nuovi vasi sanguigni che nutrono il tumore, ed è indicato in alcuni tipi di adenocarcinoma della giunzione gastro-esofagea.
La ricerca non si ferma e sono in fase avanzata di studio anche alcuni trattamenti cosiddetti “agnostici”, ovvero che possono essere applicati a tutti i tumori che presentano una determinata mutazione o caratteristica molecolare. Per esempio, entrectinib e larotrectinib sono indicati per i pazienti con tumori solidi che esprimono una fusione dei geni NTRK.
Infine, per i pazienti con malattia in fase avanzata che presentano una significativa perdita di peso in seguito a difficoltà a deglutire e/o dolore causato da una malattia molto estesa, non è proponibile né il trattamento chirurgico né quello chemio-radioterapico, che potrebbero anche peggiorare la qualità di vita in pazienti già molto fragili. Questi pazienti possono, invece, trarre beneficio da cure di supporto e palliative, che permettano di tenere sotto controllo il dolore e di ricevere sostegno alimentare e idratazione, volti a preservare la qualità di vita residua.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Agenzia Zoe