Ultimo aggiornamento: 12 luglio 2023
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Il tumore del polmone si può sviluppare in due organi simmetrici, spugnosi, posti nel torace. La funzione di tali organi è trasferire l’ossigeno respirato nel circolo sanguigno e di depurare il sangue dall’anidride carbonica prodotta dall’organismo. Con l’inspirazione l’aria entra nell’organismo attraverso il naso o la bocca e raggiunge i polmoni passando dalla trachea, una struttura a forma di tubo che si divide in due rami, uno diretto al polmone destro e uno al sinistro. Questi due rami principali si dividono in altri più piccoli, chiamati bronchi, che a loro volta si dividono in ramificazioni ancora più piccole, i bronchioli. In fondo ai bronchioli si trovano gli alveoli, cavità simili a “sacchetti”, nei quali avvengono gli scambi gassosi. Attraverso i moltissimi capillari presenti negli alveoli, l’ossigeno introdotto con la respirazione entra nel circolo sanguigno e può raggiungere tutte le cellule, mentre l’anidride carbonica prodotta dalle cellule entra negli alveoli e viene espulsa con l’espirazione.
Il tumore del polmone, che si può sviluppare a partire dalle cellule che costituiscono bronchi, bronchioli e alveoli, può formare una massa in grado di ostruire il flusso dell’aria, oppure provocare emorragie polmonari o bronchiali. Non esiste un solo tipo di tumore al polmone, bensì diverse forme della malattia. Inoltre, il polmone può diventare la sede di metastasi di tumori che colpiscono altri organi (per esempio quello della mammella).
Il chirurgo Ugo Pastorino parla dei tumori del polmone e dei progressi della ricerca nello studio e nella cura di queste patologie.
Le stime AIRTUM (Associazione italiana registri tumori) parlano di 43.900 nuove diagnosi di tumore del polmone nel 2022 (29.300 negli uomini e 14.600 nelle donne). Rappresentano il 15 per cento di tutte le diagnosi di tumore negli uomini e il 6 per cento nelle donne.
In base ai dati oggi disponibili, si può dire che nel corso della vita un uomo su 10 e una donna su 35 possono sviluppare un tumore del polmone, mentre un uomo su 11 e una donna su 45 rischiano di morire a causa della malattia.
Il tumore del polmone è una delle prime cause di morte nei Paesi industrializzati, Italia compresa. In particolare, nel nostro Paese questa neoplasia è la prima causa di morte per tumore negli uomini e la seconda nelle donne, con circa 34.000 morti in un anno.
Il più importante fattore di rischio per il tumore del polmone è il fumo di sigaretta: esiste infatti un chiaro rapporto di causa ed effetto tra questa abitudine e la malattia, e ciò vale anche per l’esposizione al fumo passivo. Più si è fumato (o più fumo si è respirato nella vita) e maggiore è la probabilità di ammalarsi. Secondo gli esperti, contano sia la quantità di tempo in cui si è fumato, sia il numero di sigarette fumate. Ma la durata potrebbe essere un fattore ancora più importante: se si inizia a fumare da giovanissimi un pacchetto al giorno e si prosegue per il resto della vita, ci si può ammalare addirittura di più rispetto a chi, comunque esposto ad altissimo rischio, fuma due pacchetti al giorno ma per un tempo più breve. Smettere determina invece una forte riduzione del rischio.
Il rischio relativo dei fumatori di ammalarsi di tumore al polmone è più alto di circa 14 volte rispetto a quello dei non fumatori ed è addirittura fino a 20 volte maggiore se si fumano più di 20 sigarette al giorno.
Il fumo di sigaretta è responsabile di 8-9 tumori del polmone su 10, ma anche cancerogeni chimici come l’amianto (asbesto), il radon e i metalli pesanti sono fattori di rischio per questa malattia, soprattutto per quella parte di popolazione che viene a contatto con queste sostanze per motivi di lavoro: si parla in questo caso di esposizione professionale.
Aumentano il rischio di ammalarsi anche l’inquinamento atmosferico, casi di tumore del polmone in famiglia (soprattutto nei genitori o in fratelli e sorelle) e precedenti malattie polmonari o trattamenti di radioterapia che hanno colpito i polmoni (magari per un pregresso linfoma).
Sono sempre più precisi i dati che spiegano a livello molecolare i meccanismi che portano allo sviluppo del cancro del polmone. Tra i geni coinvolti ricordiamo – solo per citarne alcuni – gli oncosoppressori p53 e p16 (che nelle forme non alterate “tengono a bada” il tumore) e l’oncogene K-RAS (una variante genica che favorisce la malattia) per il tumore polmonare non a piccole cellule. Mutazioni di p53 e RB1 sono invece comuni nel tumore al polmone a piccole cellule.
Dal punto di vista clinico si è soliti distinguere due tipi principali di tumore del polmone che insieme rappresentano oltre il 95 per cento di tutte le neoplasie che colpiscono questi organi: il tumore polmonare a piccole cellule (detto anche microcitoma, categoria di cui fa parte il 10-15 per cento dei casi) e il tumore polmonare non a piccole cellule (il restante 85 per cento circa dei casi). Entrambi sono originati dal tessuto epiteliale che riveste le strutture polmonari.
Il tumore a piccole cellule o microcitoma (nei testi scientifici spesso abbreviato come SCLC, dall’inglese “small-cell lung cancer”), si sviluppa nei bronchi di diametro maggiore, è costituito da cellule di piccole dimensioni e si presenta in genere nei fumatori, mentre è molto raro in chi non ha mai fumato. La sua prognosi è peggiore rispetto a quella del tumore non a piccole cellule anche perché la malattia si diffonde molto rapidamente ad altri organi.
Il tumore non a piccole cellule (nei testi medico-scientifici spesso abbreviato in NSCLC, dall’inglese “non-small-cell lung cancer”) è a sua volta suddiviso in tre principali tipi:
Nel restante 5 per cento dei casi il tumore polmonare non prende origine dall’epitelio ma da tessuti diversi, come per esempio i tessuti endocrino (in questo caso si parla di carcinoide polmonare di origine neuroendocrina) o linfatico (in questo caso si tratta di linfoma polmonare).
Il tumore del polmone in molti casi resta asintomatico nelle fasi iniziali e infatti a volte la malattia viene diagnosticata nel corso di esami effettuati per altri motivi. Quando presenti, i sintomi più comuni del tumore del polmone sono tosse continua che non passa o addirittura peggiora nel tempo, raucedine, presenza di sangue nel catarro, respiro corto, dolore al petto che aumenta nel caso di un colpo di tosse o un respiro profondo, perdita di peso e di appetito, stanchezza, frequenti infezioni respiratorie (bronchiti o polmoniti) o che ritornano dopo un trattamento.
Il tumore inoltre può diffondersi per contiguità alle strutture vicine (la pleura che riveste i polmoni, la parete toracica e il diaframma), per via linfatica ai linfonodi o attraverso il flusso sanguigno. Quasi tutti gli organi possono essere interessati dalle sue metastasi – fegato, cervello, surreni, ossa, reni, pancreas, milza e cute – dando origine a sintomi specifici come dolore alle ossa e ittero, sintomi neurologici come mal di testa o vertigini, e noduli visibili a livello cutaneo.
Per prevenire il cancro al polmone, il primo e più importante passo è senza dubbio evitare di fumare.
Nel caso dei non fumatori è quasi impossibile riuscire a sottrarsi del tutto al fumo passivo, ma è buona norma chiedere in ogni occasione che vengano rispettati i divieti imposti nei luoghi pubblici e di lavoro, in particolare in presenza di bambini.
Per quanto riguarda i fattori di rischio legati alla professione, è importante utilizzare sempre sul luogo di lavoro tutte le misure di protezione per poter ridurre al minimo i rischi e lavorare in sicurezza.
Nella vita di tutti i giorni, per prevenire la malattia è bene fare regolare esercizio fisico e introdurre nell’alimentazione tanta frutta e verdura, ricche di vitamine e altri elementi che possono aiutare i polmoni a mantenersi sani.
Alcuni grossi studi hanno dimostrato che lo screening sperimentale per il tumore del polmone nei soggetti ad alto rischio (forti fumatori) riduce la mortalità tumore-specifica e aumenta notevolmente le probabilità di individuare il tumore in stadio iniziale. La tecnica utilizzata nella sperimentazione è la tomografia computerizzata (TC) spirale dei polmoni, mentre in passato strategie sempre sperimentali di screening basate sulla radiografia del torace o sull’esame citologico dello sputo sono risultate fallimentari. Oggi, in Italia, non esiste ancora un programma pubblico organizzato per lo screening per il tumore del polmone. Nel 2021, l’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) ha però raccomandato che “in soggetti fumatori o ex-fumatori che hanno fumato almeno 15 sigarette al giorno per più di 25 anni, oppure almeno 10 sigarette al giorno per più di 30 anni, oppure che hanno smesso di fumare meno di 10 anni prima, uno screening annuale mediante TC torace dovrebbe essere preso in considerazione come opzione di prima scelta”. Nel 2022 ha preso il via un programma sperimentale di diagnosi precoce del tumore al polmone chiamato R.I.S.P. (dalla sigla della Rete italiana screening polmonare). Il programma è promosso dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano, con l’obiettivo di reclutare 10.000 candidati ad alto rischio da sottoporre a screening sperimentale gratuito in numerosi centri italiani. Se i risultati dello studio saranno confortanti, potrebbe rappresentare il primo passo verso l’istituzione di un programma organizzato a livello nazionale.
In presenza di sintomi sospetti è importante contattare il proprio medico di base che, dopo una visita approfondita nella quale valuterà tutti i segni e i sintomi, potrà prescrivere ulteriori esami di approfondimento come, per esempio, una radiografia al torace. Ulteriori approfondimenti possono prevedere l’uso di TC e PET, ma per arrivare a una diagnosi certa è necessario effettuare una biopsia – un prelievo di un frammento di tessuto sospetto – e il successivo esame istologico, cioè lo studio al microscopio del frammento prelevato. Per avere un quadro più preciso della situazione, il medico può prescrivere la broncoscopia, con cui si riesce a visualizzare l’interno dei bronchi grazie a un sottile tubo inserito attraverso la bocca, utile anche a eseguire prelievi di tessuto senza ricorrere all'intervento chirurgico.
La valutazione della funzionalità polmonare, ovvero di come lavorano i polmoni, è fondamentale se si pensa di ricorrere all’intervento chirurgico per asportare parte del polmone. Nel corso delle analisi dei campioni di tessuto prelevati, è oggi possibile determinare la presenza di particolari molecole sulle cellule tumorali che possano rappresentare i bersagli per i cosiddetti “farmaci mirati”, aiutando così i medici a decidere quale trattamento utilizzare per la cura di ogni paziente.
I tumori del polmone non a piccole cellule sono classificati in quattro stadi di gravità crescente, indicati con i numeri romani da I a IV. Per la stadiazione (il processo che permette di assegnare uno stadio all’evoluzione della malattia) si utilizza il cosiddetto sistema TNM. Il parametro T descrive la dimensione del tumore primitivo (cioè quello che si è manifestato per primo nel caso in cui la malattia si sia diffusa ad altre sedi), il parametro N indica l’eventuale interessamento dei linfonodi e infine il parametro M fa riferimento alla presenza o meno di metastasi a distanza.
Il tumore a piccole cellule è tradizionalmente classificato in due stadi, limitato o esteso.
In Italia il 16 per cento circa degli uomini e il 23 per cento circa delle donne con tumore del polmone è vivo a 5 anni dalla diagnosi. La sopravvivenza è influenzata negativamente da diagnosi quasi sempre effettuate quando il tumore è in stadio avanzato e da terapie farmacologiche che a malattie non iniziali offrono benefici spesso solo transitori.
L’approccio terapeutico cambia a seconda delle condizioni dei pazienti e dello stadio, delle caratteristiche molecolari e soprattutto del tipo istologico del tumore.
Tumore non a piccole cellule
Nel tumore non a piccole cellule la chirurgia è la terapia di scelta più comune, a meno che non siano già presenti metastasi a distanza. Dal momento che con l’intervento chirurgico vengono asportate porzioni di polmone, è importante valutare prima dell’intervento la funzionalità polmonare dei pazienti, per essere sicuri che non ci saranno problemi respiratori.
La radioterapia è utilizzata da sola o in combinazione con la chemioterapia nei casi in cui non sia possibile procedere con la chirurgia, a causa delle caratteristiche del tumore o dello stato di salute dei pazienti.
Nei pazienti già operati ad alto rischio di recidiva e con malattia in stadio avanzato o che hanno sviluppato metastasi, si utilizzano le terapie farmacologiche. La chemioterapia standard consiste nella somministrazione di cisplatino o carboplatino in combinazione con gemcitabina, etoposide, pemetrexed, docetaxel, paclitaxel o vinorelbina. Radioterapia e chemioterapia possono essere utilizzate prima dell'intervento chirurgico (terapia neoadiuvante) per ridurre le dimensioni del tumore o dopo l’intervento (terapia adiuvante) per eliminare le eventuali cellule tumorali rimaste.
Quando è possibile si utilizzano le terapie a bersaglio molecolare. I pazienti che presentano mutazioni nel gene che codifica per l’EGFR, un recettore di un fattore di crescita coinvolto nella proliferazione cellulare, rispondono agli inibitori delle tirosino-chinasi come gefitinib, erlotinib, afatinib e osimertinib. Queste mutazioni sono state riscontrate in circa il 10-15 per cento dei pazienti diagnosticati in Italia. Una minoranza di pazienti (3-7 per cento) che presenta invece un’alterazione del gene che codifica per ALK, una proteina di fusione che stimola la crescita delle cellule, risponde al trattamento con inibitori di ALK (crizotinib, alectinib, ceritinib, brigatinib e lorlatinib). Nei tumori non squamosi si possono anche utilizzare in combinazione con la chemioterapia il bevacizumab e il nintedanib, farmaci che bloccano l’angiogenesi, cioè la formazione di nuovi vasi sanguigni.
Il trattamento del tumore del polmone è stato in parte rivoluzionato dall’immunoterapia. Gli inibitori dei checkpoint immunitari interferiscono con un meccanismo che, usato anche dal tumore, impedisce alle cellule delle nostre difese di attivarsi e di stimolare la risposta antitumorale. Gli anticorpi monoclonali che riconoscono le proteine PD-1 (nivolumab, pembrolizumab) o PD-L1 (atezolizumab, durvalumab), da soli o associati alla chemioterapia, sono diventati farmaci fondamentali nella terapia del tumore non a piccole cellule.
Infine, in casi specifici, è possibile fare ricorso a trattamenti locali come la radioterapia stereotassica, l’ablazione con radiofrequenza (per distruggere il tumore con il calore), la terapia fotodinamica (si inietta un farmaco che viene poi attivato grazie alla luce di un broncoscopio e distrugge le cellule tumorali) e la terapia laser.
Tumore a piccole cellule
Il trattamento più utilizzato per questo tipo di tumore è la chemioterapia, una scelta legata al fatto che nella maggior parte dei casi al momento della diagnosi sono già presenti metastasi in altri organi. La terapia standard consiste nella somministrazione di cisplatino (o carboplatino) ed etoposide. Altri farmaci utilizzati possono essere doxorubicina, ciclofosfamide e topotecan. I risultati di alcuni studi hanno suggerito che anche i pazienti con tumore a piccole cellule potrebbero trarre vantaggio dall’immunoterapia con inibitori dei checkpoint immunitari combinati con la chemioterapia.
Nel tumore a piccole cellule la radioterapia è usata in associazione alla chemioterapia oppure dopo la chemio per eliminare eventuali cellule tumorali residue. Viene spesso impiegata a livello cerebrale per ridurre il rischio di metastasi in quest’organo (molto comuni) o a scopo palliativo, cioè per controllare i sintomi nei casi più avanzati. La chirurgia è indicata solamente in casi selezionati e si effettua molto raramente.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Agenzia Zoe