Linfoma di Hodgkin

È un tumore del sistema linfatico, relativamente raro, ma uno dei più frequenti nella fascia di età tra i 15 e i 35 anni

Ultimo aggiornamento: 22 marzo 2023

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Cos'è

Il linfoma di Hodgkin è un tumore del sistema linfatico che origina dai linfociti B, un tipo di globuli bianchi presenti nel sangue, nei linfonodi, nella milza, nel midollo osseo e in numerosi altri organi che compongono il tessuto linfatico. Il linfoma di Hodgkin molto spesso si sviluppa all’interno dei linfonodi, piccoli organi disposti in maggioranza nella parte superiore del corpo, che svolgono un ruolo cruciale nella difesa immunitaria. Infatti, in condizioni fisiologiche, in presenza di una infiammazione o infezione si ingrossano e inducono la proliferazione di linfociti B e altre cellule immunitarie che raggiungeranno il sito del danno cellulare. Questo tipo di tumore può insorgere in ogni parte del corpo ove siano presenti linfonodi o altri componenti del tessuto linfatico.

Il linfoma di Hodgkin prende il nome dal medico inglese che per primo descrisse la patologia nel 1832, Thomas Hodgkin. Ciò che caratterizza il linfoma di Hodgkin rispetto agli altri linfomi, che vanno sotto il nome collettivo di linfomi non Hodgkin (LNH), è la presenza di cellule giganti, chiamate cellule di Reed-Sternberg e cellule di Hodgkin.

La parola all'esperto

L'ematologo Carmelo Carlo-Stella parla del linfoma di Hodgkin e degli ultimi progressi della ricerca su questa malattia.

Quanto è diffuso

È un tumore relativamente raro: colpisce circa 4 persone ogni 100.000 abitanti. Tuttavia è il più comune nella fascia di età di 20 ai 30 anni. In Italia nel 2020 sono state stimate 2.150 nuove diagnosi, di cui 1.220 tra gli uomini e 930 tra le donne. I casi di linfomi di Hodgkin rappresentano circa il 10% di tutti i casi di linfoma.

Chi è a rischio

Alcune fasce della popolazione sono maggiormente a rischio di sviluppare questa malattia e sono classificate per:

  • età: soprattutto tra i 20 e i 30 anni e oltre i 60 anni;
  • sesso: gli uomini presentano un rischio di ammalarsi leggermente maggiore rispetto alle donne;
  • storia familiare: sembrano essere più importanti i fattori ambientali piuttosto che quelli genetici (non è una malattia ereditaria);
  • infezioni pregresse: si stima che un terzo dei casi sia legato all’infezione da virus di Epstein-Barr (EBV), responsabile della mononucleosi infettiva;
  • condizioni di immunodepressione (ad esempio in seguito a un trapianto d’organo o in caso di infezione da HIV);
  • fattori geografici: il linfoma di Hodgkin è maggiormente diffuso nel Nord Europa, negli Stati Uniti e in Canada rispetto ai Paesi asiatici;
  • livello socioeconomico: è più comune fra le persone a elevato tenore di vita.

Tipologie

Il linfoma di Hodgkin viene distinto in due tipi principali:

- classico, per il 95 per cento dei casi (a sua volta classificato in quattro sottotipi: sclero-nodulare, a cellularità mista, ricco in linfociti, a deplezione linfocitaria);

- a predominanza linfocitaria.

Sintomi

Nella gran parte dei casi il primo sintomo del linfoma di Hodgkin è un ingrossamento dei linfonodi, soprattutto nella regione cervicale. È importante sottolineare che avere un ingrossamento dei linfonodi non significa avere un linfoma. Infatti, solo per il 15 per cento dei casi questo fenomeno è causato da un tumore, mentre per più dell’80 per cento è ricollegabile a malattie benigne. Altri sintomi più generici del linfoma di Hodgkin comprendono febbre pomeridiana, sudorazioni notturne, perdita di peso involontaria e prurito. Meno specifici, ma comunque non trascurabili sono la stanchezza e la mancanza di appetito. Se la malattia riguarda i linfonodi presenti nel torace si possono manifestare anche tosse, dolore al petto e difficoltà respiratorie.

Prevenzione

Non si conoscono fattori di rischio specifici per il linfoma di Hodgkin e quindi non è possibile prevenirne l’insorgenza.

Diagnosi

In presenza di sintomi che possono far pensare a un linfoma di Hodgkin, è fondamentale rivolgersi al medico per ulteriori esami di approfondimento. La biopsia dei linfonodi, cioè il prelievo di tessuto dai linfonodi da analizzare al microscopio, è l'esame fondamentale per arrivare a una diagnosi.

Una volta ottenuta la diagnosi istologica, occorre effettuare la stadiazione della malattia, cioè valutarne l’estensione. Sono, a questo punto, indispensabili esami di diagnostica per immagini, principalmente la tomografia computerizzata (TC) con mezzo di contrasto e la tomografia a emissione di positroni con 18F-fluorodesossiglucosio (18F-FDG PET). Quest’ultima indagine sta assumendo un’importanza sempre maggiore non solo per la stadiazione, ma anche per valutare la risposta alla terapia. Gli esami di stadiazione consentono di definire uno stadio del linfoma che va da I a IV in base alle sedi linfonodali coinvolte dalla malattia e al coinvolgimento o meno di organi non linfoidi. Allo stadio viene associato il suffisso A o B a seconda dell’assenza o presenza dei seguenti sintomi: febbre, calo ponderale e sudorazioni notturne.

Come si cura

Il linfoma di Hodgkin rappresenta uno dei maggiori successi dell’oncologia moderna. La possibilità di guarigione è oggi elevata, specie in giovane età: l’87 per cento circa delle pazienti e l’85 per cento dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin guariscono.

Il trattamento si basa sulla polichemioterapia e sulla radioterapia. Lo schema di polichemioterapia maggiormente utilizzato è stato sviluppato da un ricercatore italiano, Gianni Bonadonna, e si chiama ABVD (dalle iniziali dei farmaci che lo compongono: adriamicina o doxorubicina, bleomicina, vinblastina, dacarbazina). Negli stadi più avanzati della malattia si utilizzano altri schemi di terapia più aggressivi, mentre la radioterapia è utilizzata come cura di consolidamento allo scopo di sterilizzare le sedi di malattia voluminosa (detta anche, in inglese, “bulky disease”).

Oggi sappiamo che una PET, eseguita dopo i primi due cicli di ABVD, ha un importantissimo valore prognostico: se risulta negativa e si continuano le terapie, le possibilità di guarigione sono molto alte. L’introduzione della PET per la valutazione della risposta precoce al trattamento ha consentito di ridurre l’intensità di chemioterapia e radioterapia nei pazienti la cui prognosi risulta favorevole.

In alcuni pazienti la chemioterapia di prima linea non è sufficiente, mentre in altri il linfoma si ripresenta dopo una iniziale scomparsa ed è a quel punto refrattario alla chemioterapia. In questi casi è possibile ricorrere a trattamenti intensivi e al trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Quest’ultimo può essere di tipo autologo (con cellule prelevate dallo stesso paziente) o, molto più raramente, di tipo allogenico (con cellule provenienti da un donatore).

I progressi della ricerca hanno permesso di sviluppare nuovi farmaci mirati contro il linfoma di Hodgkin: il brentuximab-vedotin è per esempio un anticorpo monoclonale che riconosce l’antigene CD30 sulle cellule malate e che inoltre veicola una tossina in grado di distruggere tali cellule in maniera selettiva. Un altro esempio sono i checkpoint inhibitors, come il nivolumab e pembrolizumab, che tolgono i freni alle risposte antitumorali dei linfociti T.

Nel caso del linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria, che esprime alti livelli della proteina CD20, il trattamento prevede l’utilizzo degli stessi farmaci chemioterapici usati nel linfoma di Hodgkin classico con l’aggiunta del rituximab. Quest’ultimo è un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina CD20. Questa cura può anche essere effettuata in associazione alla radioterapia.

La chemioterapia e la radioterapia possono provocare sterilità, per questo è estremamente importante proporre ai pazienti giovani, prima di iniziare le cure, il congelamento del liquido seminale nei maschi e degli ovociti o del tessuto ovarico nelle femmine.

Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.

  • Agenzia Zoe

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