Ultimo aggiornamento: 11 dicembre 2023
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La leucemia mieloide cronica (LMC) è una malattia che si sviluppa nel midollo osseo e progredisce lentamente.
Il midollo osseo è un tessuto spugnoso contenuto all’interno delle ossa lunghe e di alcune ossa piatte, dove originano cellule immature, dette anche cellule staminali, da cui si sviluppano le cellule che costituiscono la parte corpuscolata del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine). Se nel percorso che porta le cellule staminali a diventare “adulte” subentrano errori e mutazioni, può avvenire una trasformazione maligna che dà origine alla leucemia mieloide cronica.
Il termine cronica indica che la malattia ha una progressione lenta nel tempo e può rimanere asintomatica anche per anni nella fase iniziale. Inoltre, contrariamente a quanto avviene nella forma acuta, nella leucemia mieloide cronica viene preservata la capacità dei precursori dei globuli bianchi di differenziarsi in cellule mature. Le terapie disponibili per la leucemia mieloide cronica permettono di tenere la malattia sotto controllo anche senza che questa venga eradicata.
La LMC rappresenta il 15-20 per cento circa di tutti i casi di leucemia. È relativamente rara e in Italia colpisce circa 1-2 persone ogni 100.000, con una frequenza maggiore tra gli uomini.
È una malattia che si presenta soprattutto in età avanzata: l’età media alla diagnosi è di circa 64 anni e la metà circa dei casi viene diagnosticata nelle persone di almeno 65 anni.
Non si conoscono molti fattori di rischio per la leucemia mieloide cronica. L’esposizione ad alte dosi di radiazioni è l’unico fattore ambientale noto, mentre non sono stati dimostrati legami tra la malattia e comportamenti legati ad abitudini e comportamenti, come l’alimentazione o l’esposizione ad alcune sostanze o a infezioni virali. I principali fattori di rischio non modificabili, sui quali cioè non si può intervenire per limitare il rischio, sono l’età avanzata e il sesso maschile.
In genere non si parla di sottotipi di leucemia mieloide cronica, ma ci possono essere differenze a livello molecolare. La quasi totalità dei pazienti con questo tipo di tumore presenta cellule tumorali con il cosiddetto cromosoma Philadelphia, dovuto a uno scambio errato di materiale genetico (in termini tecnici, una traslocazione bilanciata) tra i cromosomi 9 e 22. Questa anomalia cromosomica porta alla formazione di un gene ibrido, BCR::ABL1, che a sua volta produce un’aberrante proteina di fusione, responsabile della crescita incontrollata delle cellule tumorali. In una piccola percentuale di casi il gene BCR::ABL può essere rilevato anche in assenza del cromosoma Philadelphia e causato da alterazioni mascherate o anomale.
In molti casi le persone colpite da leucemia mieloide cronica non presentano sintomi al momento della diagnosi, che spesso avviene per caso, per esempio durante un controllo generale o per un’altra patologia. Inoltre, anche se presenti, i sintomi sono spesso poco specifici e comuni a molte altre malattie: debolezza, febbre, sudorazione notturna, perdita di peso, dolore o senso di pienezza al ventre dovuto a un ingrandimento della milza (splenomegalia), dolore alle ossa o alle articolazioni. In fase avanzata possono inoltre essere presenti sanguinamenti, infezioni e stanchezza legati alla riduzione delle normali cellule del sangue che sono sostituite da quelle tumorali.
Non è possibile definire strategie di prevenzione efficaci per la leucemia mieloide cronica, dal momento che non sono stati identificati fattori di rischio modificabili sui quali intervenire. L’unica raccomandazione utile è evitare, laddove possibile, l’esposizione ad alte dosi di radiazioni ionizzanti.
Spesso la scoperta della leucemia mieloide cronica avviene in assenza di sintomi e in maniera fortuita, nel momento in cui una persona si sottopone a una serie di esami del sangue per altri scopi, e il referto evidenzia un aumento dei globuli bianchi o delle piastrine. A ogni modo, per una corretta diagnosi è importante rivolgersi al medico di base e quindi a uno specialista, che dopo un attento esame obiettivo con valutazione dei segni e dei sintomi della malattia prescriverà gli esami più adatti. In caso di sospetto, sarà inizialmente prescritto un emocromo: da un semplice prelievo è infatti possibile osservare il numero e la forma di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine.
Se da questo primo esame emergono anomalie, per esempio eventuali globuli bianchi immaturi generalmente non presenti nelle persone sane, si procede con un secondo esame del sangue di conferma o con un prelievo di midollo. Sui campioni prelevati vengono effettuati test più accurati anche di tipo citogenetico e molecolare per avere la conferma definitiva della malattia (attraverso la ricerca del cromosoma Philadelphia e del gene BCR::ABL1). In seguito si passa alla cosiddetta diagnostica per immagini (raggi X del torace ed ecografia dell’addome), per un corretto screening iniziale.
L’evoluzione della leucemia mieloide cronica non viene suddivisa in stadi, come avviene per i tumori solidi, ma in tre fasi con una classificazione che si basa soprattutto sul numero di cellule immature (blasti) presenti nel sangue e nel midollo osseo. I limiti che distinguono una fase dall’altra possono variare leggermente a seconda del sistema di classificazione usato. Il più utilizzato è stato proposto dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e prevede:
Ormai da diversi anni il trattamento standard per la leucemia mieloide cronica è rappresentato dai cosiddetti farmaci a bersaglio molecolare, composti che colpiscono in modo mirato il gene BCR::ABL1 presente nelle cellule malate e non in quelle sane, anche noti come inibitori delle tirosin-chinasi. L’imatinib è il capostipite di questi farmaci e ha rivoluzionato il trattamento della malattia e la sopravvivenza dei pazienti. Si assume per via orale una volta al giorno e, in genere, riesce a tenere sotto controllo la malattia evitando la progressione verso la fase blastica. La terapia con imatinib viene di solito ben tollerata perché gli effetti collaterali sono molto lievi rispetto a quelli dei farmaci tradizionali. A volte però la sua efficacia diminuisce nel tempo, e allora si può rimediare con farmaci di seconda generazione (dasatinib, nilotinib e bosutinib) o di terza generazione (ponatinib), che agiscono contro lo stesso bersaglio, ma con una maggiore selettività e potenza. Inizialmente era possibile prescrivere questi farmaci solo dopo un primo trattamento con imatinib, ma oggi nilotinib e dasatinib sono approvati in Italia anche come trattamento iniziale.
La scelta del trattamento di prima linea si basa sulle caratteristiche cliniche dei pazienti (età, comorbidità, farmaci concomitanti, rischio di evoluzione), mentre per la seconda linea o successive si considerano aspetti legati alla malattia (tipo di resistenza o intolleranza alle precedenti terapie). I diversi studi hanno portato più di recente all’approvazione di asciminib, una molecola capace di legarsi in maniera specifica a un sito della proteina BCR::ABL1 (sito miristoilico). Questo farmaco, molto selettivo e semplice da usare, è indicato per pazienti con LMC positiva per il cromosoma Philadelphia e già trattati con due o più inibitori tirosin-chinasici.
Prima dell’avvento dei farmaci mirati, le prospettive di cura o di controllo della malattia per un paziente con leucemia mieloide cronica erano scarse. Inizialmente il trattamento di scelta era la chemioterapia tradizionale a basse dosi, ma il suo utilizzo si è progressivamente ridotto con l’introduzione dell’interferone, rimasto per anni il trattamento di prima scelta a partire dagli anni Ottanta e prima dell’avvento dell’imatinib. Oggi la chemioterapia viene utilizzata se gli inibitori di BCR::ABL1 non funzionano e la malattia è in fase blastica o come parte della procedura che precede il trapianto di cellule staminali. La radioterapia non viene in genere utilizzata per il trattamento della leucemia mieloide cronica.
Nei casi evoluti in crisi blastica o refrattari a più linee di inibitori tirosin-chinasici è possibile procedere con un trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatore compatibile. La scelta di procedere con il trapianto dipende dall’età e dallo stato di salute generale dei pazienti (è più adatto a pazienti più giovani), dalle caratteristiche della malattia, dai fattori prognostici e dalle disponibilità di un donatore. Le cellule staminali possono essere prelevate dal sangue o dal midollo osseo. Nell’era degli inibitori tirosin-chinasici e con l’avvento di farmaci di nuova generazione, il ricorso al trapianto di cellule staminali nella leucemia mieloide cronica è diventato sempre più raro.
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Agenzia Zoe