Ultimo aggiornamento: 5 agosto 2024
Tempo di lettura: 7 minuti
La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è un tumore del sangue che prende origine dai progenitori dei linfociti, un tipo particolare di globuli bianchi, ed è caratterizzata da un accumulo di queste cellule (blasti) nel midollo osseo, nel sangue e in altri organi. Il termine “acuta” indica che la malattia progredisce velocemente.
I linfociti sono cellule del sistema immunitario che sorvegliano l’organismo e attivano le difese nei confronti dei microrganismi o delle cellule tumorali. Si distinguono in B o T in base al tipo di risposta che sono in grado di attivare.
Nella leucemia linfoblastica acuta, un linfocita B o T immaturo va incontro a una trasformazione tumorale: i processi di maturazione che portano al linfocita “adulto” si bloccano e la cellula comincia a riprodursi più velocemente invadendo il midollo osseo e poi il sangue. La malattia può interessare anche i linfonodi, la milza, il fegato e il sistema nervoso centrale.
L'oncologo pediatra Andrea Biondi parla della leucemia linfoblastica acuta e dei progressi della ricerca su questa malattia.
La leucemia linfoblastica acuta è una malattia relativamente rara: in Italia si registrano circa 1,6 casi ogni 100.000 maschi e 1,2 casi ogni 100.000 femmine, cioè circa 450 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 320 tra le donne. Questo tipo di neoplasia è però il tumore più frequente in età pediatrica: rappresenta circa l’80 per cento delle leucemie e il 25 per cento di tutti i tumori diagnosticati tra 0 e 14 anni. L’incidenza raggiunge il picco tra i 2 e i 5 anni e poi cala con l’aumentare dell’età (il 50 per cento di tutti i casi viene diagnosticato entro i 29 anni).
Sono pochi i fattori di rischio noti per la leucemia linfoblastica acuta. Tra quelli ambientali si possono citare l’esposizione a radiazioni (anche per cure mediche come la radioterapia) e a certe sostanze chimiche come il benzene, un componente naturale del petrolio, contenuto anche in alcuni pesticidi e nel fumo di sigaretta. Tra i fattori non modificabili, l’età pediatrica e il sesso maschile aumentano il rischio. Anche alcune sindromi ereditarie legate ad anomalie genetiche (sindromi di Down, di Klinefelter e di Bloom, anemia di Fanconi, atassia-teleangiectasia, neurofibromatosi) sono associate a una predisposizione per lo sviluppo di leucemia linfoblastica acuta. Non ci sono invece prove che la malattia sia trasmissibile per via ereditaria.
Le diverse forme di leucemia linfoblastica acuta sono classificate in base alle caratteristiche dei linfociti malati, allo scopo di stabilire al meglio la diagnosi, la prognosi e il percorso terapeutico.
Oggi si usa il sistema di classificazione proposto dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che distingue due grandi gruppi di leucemie linfoblastiche acute: quelle che prendono origine dai linfociti B (LLA-B) e quelle che prendono origine dai linfociti T (LLA-T). All’interno di questi gruppi si identificano diversi sottogruppi in base alle anomalie genetiche che caratterizzano le cellule leucemiche. Le LLA-B sono più frequenti delle LLA-T: circa l’80 per cento delle LLA origina infatti dai linfociti B, mentre il restante 20 per cento circa si sviluppa a partire dai linfociti T.
I sintomi della LLA si manifestano rapidamente e di solito la diagnosi segue a breve. I sintomi iniziali sono spesso poco specifici e comprendono stanchezza, perdita di appetito e febbre. Possono essere presenti spossatezza e pallore legati all’anemia, infezioni dovute alla riduzione dei globuli bianchi normali e sanguinamenti (anche a naso e gengive) legati alla carenza di piastrine. Se la malattia si è diffusa in altri organi, si notano ingrossamento di milza, fegato e linfonodi. Se è stato raggiunto anche il sistema nervoso possono verificarsi mal di testa e altri segni e sintomi neurologici.
Non è possibile definire strategie di prevenzione per la leucemia linfoblastica acuta, dal momento che non si conoscono in dettaglio le cause della malattia. L’unica raccomandazione utile è evitare, nel limite del possibile, l’esposizione a radiazioni e sostanze dannose come il benzene.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Una visita medica completa è il punto di partenza obbligato per arrivare a una diagnosi di leucemia linfoblastica acuta. Il medico valuterà i sintomi e i segni clinici (per esempio organi e linfonodi ingrossati) e deciderà se prescrivere esami di approfondimento.
Un prelievo di sangue venoso consente di valutare, attraverso un semplice emocromo, se ci sono alterazioni a carico dei globuli rossi, dell’emoglobina, dei globuli bianchi e delle piastrine. Eventuali alterazioni nell’emocromo devono indirizzare verso una visita ematologica. L’ematologo confermerà (o escluderà) il sospetto diagnostico rifacendo un emocromo e valutando la morfologia delle cellule su uno striscio di sangue periferico esaminato al microscopio.
Per arrivare a una diagnosi precisa va effettuata una valutazione del midollo osseo e uno studio dell’immunofenotipo, ossia della presenza di alcune molecole sui linfociti che fornisce informazioni cruciali sul tipo di cellule presenti e sul loro stadio di maturazione.
Una volta effettuata la diagnosi di leucemia linfoblastica acuta su base morfologica e immunofenotipica, va fatta una caratterizzazione genetico-molecolare delle cellule tumorali, per meglio definire il sottogruppo di leucemia linfoblastica acuta. L’esame del liquor prelevato mediante rachicentesi (puntura lombare) serve poi a verificare se la malattia ha raggiunto anche il sistema nervoso centrale.
Un’ulteriore classificazione della malattia può essere fatta in base alla sua evoluzione dopo il trattamento:
La scelta del trattamento della LLA dipende dalle caratteristiche dei pazienti e della malattia, ma in linea generale la cura va iniziata subito dopo la diagnosi, dato il carattere acuto di questa leucemia.
La chemioterapia è uno dei principali trattamenti per la leucemia linfoblastica acuta. Il tipo di farmaco e le dosi sono stabiliti caso per caso dopo aver attentamente valutato molti fattori; nei bambini, per esempio, si utilizzano spesso regimi più intensivi.
In generale il percorso chemioterapico può essere suddiviso in 4 fasi della durata totale di circa 2 anni:
Nel corso di tutte le fasi di chemioterapia, per evitare che le cellule leucemiche invadano il sistema nervoso centrale, è necessario somministrare la chemioterapia direttamente nel liquido cerebrospinale mediante punture lombari.
Nei casi più difficili (bambini, pazienti ad alto rischio, pazienti che non rispondono alla chemioterapia di induzione o pazienti che vanno incontro a recidiva poco dopo il trattamento) è possibile effettuare anche un trapianto di cellule staminali emopoietiche. Il trapianto permette di sostituire le cellule malate del midollo (che vengono distrutte con radiazioni o chemioterapia a dosi molto elevate) con cellule sane che daranno poi origine a cellule del sangue del tutto normali. In genere nella leucemia linfoblastica acuta si predilige il trapianto allogenico, ossia da donatore diverso dal paziente. Vengono trapiantate cellule staminali prelevate da un familiare o da un donatore non consanguineo ad alta affinità.
Negli ultimi anni i cosiddetti farmaci mirati a bersagli molecolari hanno dato buoni risultati nel trattamento della LLA. In particolare, i farmaci della classe degli inibitori delle tirosin-chinasi (imatinib, dasatinib, ponatinib) si sono dimostrati di fondamentale importanza contro la malattia caratterizzata dal cromosoma Philadelphia (Ph). Si tratta di un cromosoma anomalo nato dalla fusione anomala di parti dei cromosomi 9 e 22 e tipica dell’età più avanzata. A causa della fusione si forma un gene, chiamato BCR-ABL, la cui proteina anomala è il bersaglio specifico contro il quale agiscono sia l’imatinib sia altri farmaci della stessa famiglia. Per questi pazienti si usa sempre meno la chemioterapia.
Ci sono altri farmaci mirati, sperimentati con successo nella leucemia linfoblastica acuta e approvati per il trattamento di pazienti che non hanno risposto ad altre terapie o in cui la leucemia si è ripresentata. Tra questi vi sono l’anticorpo monoclonale blinatumomab, che favorisce l’aggressione delle cellule leucemiche da parte dei linfociti sani del paziente stesso, e l’inotuzumab ozogamicina, che veicola un farmaco che danneggia il DNA della cellula tumorale, uccidendola. Il blinatumomab è approvato anche per il trattamento di pazienti con LLA-B con la sola malattia residua minima.
Recentemente per i pazienti con LLA-B avanzata è stata introdotta una nuova strategia terapeutica in cui non si somministrano farmaci, ma cellule: la terapia con le cellule CAR-T. I linfociti T di un paziente vengono geneticamente modificati in laboratorio così da essere equipaggiati con una molecola chiamata recettore chimerico antigenico (CAR). Grazie a tale molecola i linfociti modificati, reinfusi nel paziente, si legano alle cellule tumorali e ne promuovono l’eliminazione.
Grazie all’avanzamento delle conoscenze e quindi alle cure oggi disponibili, la prognosi dei pazienti di tutte le età con leucemia linfoblastica acuta è molto migliorata rispetto al passato. Il tasso di remissione a lungo termine può raggiungere oggi il 55-70 per cento circa negli adulti. Le percentuali variano a seconda dell’età, dei sottotipi genetici e della malattia residua minima. Per le leucemie linfoblastiche acute Philadelphia positive (LLA Ph+) queste percentuali si osservano anche nei pazienti anziani grazie alle terapie mirate. Nei bambini una guarigione si ottiene nell’80-85 per cento circa dei casi.
Testo originale pubblicato in data 17 novembre 2017
Testo aggiornato pubblicato in data 5 agosto 2024
Agenzia Zoe