Ultimo aggiornamento: 20 giugno 2023
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Nei bambini, come negli adulti, il linfoma non-Hodgkin (LNH) si sviluppa a partire dalle cellule presenti all’interno del sistema linfatico. Questo sistema è composto dai vasi linfatici, dalla linfa in essi contenuta e dal tessuto linfatico presente in varie parti del corpo (linfonodi, milza, timo, adenoidi e tonsille, tratto digestivo e midollo osseo). Il sistema linfatico è caratterizzato in particolare dalla presenza di linfociti B e T, che hanno la funzione di difendere l’organismo da agenti esterni e infezioni e di eliminare anche eventuali cellule tumorali.
Data la vasta diffusione del tessuto linfatico, in principio il LNH può insorgere quasi ovunque nell’organismo e non può essere definito come una malattia omogenea, ma piuttosto come un insieme di malattie con caratteristiche e storie cliniche differenti.
I linfomi non Hodgkin sono tipicamente linfomi dell’età adulta e sono abbastanza rari in età pediatrica. Secondo i dati della Associazione italiana registri tumori (AIRTUM), nella fascia di età compresa tra 0 e 14 anni i LNH in Italia rappresentano il 6 per cento circa dei tumori registrati e il 44 per cento circa di tutti i linfomi in età pediatrica, con quasi la metà dei casi (42 per cento) classificati come linfomi di Burkitt. Nella fascia d’età dai 15 ai 19 anni queste percentuali corrispondono all’8 per cento dei tumori registrati e al 25 per cento di tutti i linfomi.
Seppure con differenze legate alle età, i LNH pediatrici sono in genere più frequenti nei maschi rispetto alle femmine.
Le cause che portano all'insorgenza dei LNH non sono ancora del tutto note. La maggior parte dei bambini con LNH non presenta fattori di rischio conosciuti sui quali è possibile intervenire. È però abbastanza chiaro il legame tra questi tumori e problemi nel sistema immunitario che possono essere dovuti a diverse cause, per esempio alcune malattie congenite, cioè presenti già alla nascita, come la sindrome di Wiskott-Aldrich, l’atassia teleangectasia e la sindrome da immunodeficienza combinata grave.
Anche il trapianto di organi, con il conseguente indebolimento del sistema immunitario necessario a evitare il rigetto, e l’infezione da HIV, un virus che può essere trasmesso al bambino dalla madre, rappresentano potenziali fattori di rischio per il LNH pediatrico.
A questi si aggiunge l’infezione da virus di Epstein Barr (EBV), l’agente che causa la mononucleosi infettiva, importante soprattutto in alcune zone dell’Africa dove è molto diffuso un particolare tipo di LNH, il linfoma di Burkitt.
Infine, i dati suggeriscono che alcuni trattamenti utilizzati per curare il cancro, come chemioterapia e radioterapia, possano aumentare il rischio di sviluppare il LNH.
I linfomi non-Hodgkin che si sviluppano in età pediatrica hanno caratteristiche particolari e differenti rispetto a quelle che si riscontrano quando la malattia colpisce gli adulti. Per la classificazione di questa patologia si possono adottare criteri differenti che generano, di conseguenza, raggruppamenti non sempre perfettamente sovrapponibili, diventando a volte fonte di confusione per i non esperti.
Una prima possibile valutazione è di tipo morfologico: prevede l’osservazione al microscopio delle cellule tumorali allo scopo di classificare tali cellule in base al tipo da cui derivano (linfociti B o T), alla loro forma (linfociti clivati o non clivati), alle dimensioni (cellule grandi o piccole) e alla loro disposizione (linfomi diffusi o follicolari).
Negli ultimi anni, grazie ai progressi della biologia molecolare, lo studio morfologico è aiutato da nuovi strumenti di classificazione come il REAL/WHO (Revised European American Lymphoma/World Health Organization).
La maggior parte dei LNH che colpiscono i bambini appartiene a tre grandi categorie: LNH a cellule B mature (della quale fanno parte i linfomi di Burkitt), linfoma linfoblastico e linfoma a grandi cellule.
Il linfoma linfoblastico si sviluppa soprattutto negli adolescenti, in genere a partire dal timo; il linfoma di Burkitt parte spesso dall’addome e interessa in particolare i bambini tra i 5 e i 10 anni; il linfoma a grandi cellule può insorgere praticamente ovunque nell’organismo, cresce più lentamente rispetto agli altri linfomi e si riscontra più spesso nei bambini più grandi e negli adolescenti.
Sono meno comuni in età pediatrica altri tipi di LNH, come il linfoma primario della zona marginale, il linfoma cutaneo a cellule T, il linfoma follicolare e il linfoma primario del sistema nervoso centrale.
Nei bambini e nei ragazzi i sintomi del LNH possono essere aspecifici e molto vari a seconda soprattutto del sito di origine del tumore.
Un tipico segno della malattia è rappresentato dall’ingrossamento dei linfonodi superficiali (collo, ascelle, inguine o in altre sedi) in genere senza dolore. Quando il LNH colpisce l’addome può creare un blocco al passaggio delle feci, provocare nausea e vomito o una sensazione di sazietà precoce. Se la malattia si presenta a livello del torace può creare problemi alla respirazione, per esempio per compressione della trachea, mentre se interessa la cute si possono presentare segni e sintomi come noduli sotto la pelle o prurito.
Si possono osservare a volte anche febbre, abbondante sudorazione notturna, perdita di peso e, per via dei problemi che il tumore crea alle cellule del sangue, infezioni frequenti (per i pochi globuli bianchi), stanchezza (per i pochi globuli rossi) e facilità di sanguinamento (per le poche piastrine).
Chiaramente non tutti coloro che hanno questi sintomi hanno il linfoma, tuttavia se questi sintomi sono persistenti, è necessario eseguire degli accertamenti diagnostici.
Non esistono attualmente indicazioni utili ed efficaci per prevenire l’insorgenza dei LNH, se non cercare di evitare l’esposizione ai fattori di rischio noti per la malattia e a quelli comuni ai diversi tipi di cancro.
La visita medica e l’osservazione dei segni e dei sintomi sono importanti, ma spesso insufficienti a diagnosticare con certezza la presenza di un linfoma.
La biopsia è un esame insostituibile per arrivare a una diagnosi certa: si preleva un linfonodo sospetto o un campione dagli organi probabilmente interessati dal tumore e lo si analizza al microscopio. Anche la biopsia del midollo osseo è importante per stabilire se le cellule malate hanno già raggiunto quest’area.
A volte viene eseguito anche un prelievo del fluido cerebrospinale (il liquido che bagna cervello e midollo spinale) o del liquido che si accumula all’interno di torace e addome, alla ricerca di cellule tumorali. In base alla forma, alle dimensioni e ad alcune caratteristiche molecolari delle cellule analizzate al microscopio e con altri metodi, i medici formulano una diagnosi precisa che indica se ci si trova in presenza di un LNH e nel caso di che tipo.
Anche gli esami di laboratorio possono facilitare la diagnosi: un basso numero di cellule del sangue può indicare che la malattia ha raggiunto il midollo dove queste cellule vengono prodotte, mentre la concentrazione dell’enzima latticodeidrogenasi (LDH) è spesso superiore al normale nel caso di LNH che crescono velocemente.
Infine, per valutare l’estensione della malattia e seguire la sua evoluzione nel tempo, si utilizzano esami di diagnostica per immagine come l’ecografia, la radiografia, la risonanza magnetica, la tomografia computerizzata (TC), la tomografia a emissione di positroni (PET) e in alcuni casi anche la scintigrafia ossea.
La stadiazione è la determinazione di quanto il tumore è esteso. Per i LNH dei bambini viene effettuata con il sistema St. Jude che classifica questi linfomi in quattro stadi, in base alla localizzazione e alla diffusione.
Grazie alle cure oggi disponibili, la prognosi dei bambini e degli adolescenti che si ammalano di LNH è generalmente favorevole, con una percentuale di sopravvivenza che varia in base al tipo di malattia, ma che in media supera il 70 per cento.
La scelta del tipo di trattamento dipende dal tipo di LNH e dalla sua estensione. È molto importante che i giovani pazienti siano seguiti presso un centro specializzato nel trattamento dei tumori pediatrici, con casistica ed esperienza adeguate.
La chirurgia non trova spazio nella terapia del LNH se non in casi molto rari e anche la radioterapia è oggi riservata a situazioni particolari, per esempio in combinazione con la chemioterapia nei tumori che hanno raggiunto anche il cervello. I campi di irradiazione sono stabiliti caso per caso in base al tipo e all’estensione della malattia. I pazienti sono sottoposti a sedute giornaliere di pochi minuti e la dose totale prescritta viene raggiunta gradualmente, in alcune settimane.
La chemioterapia invece viene usata comunemente, molto spesso sotto forma di polichemioterapia, cioè combinando diversi farmaci che possono variare a seconda del tipo e dello stadio del linfoma. Se si pensa che il tumore abbia raggiunto cervello e midollo spinale, la chemioterapia può essere somministrata anche per via intratecale, cioè direttamente nel fluido cerebrospinale, in alcune occasioni anche in via preventiva, al fine di evitare che il tumore si diffonda al sistema nervoso centrale. In questi casi si parla di profilassi.
Si può decidere anche di somministrare dosi particolarmente elevate di chemioterapia, soprattutto prima di procedere con il trapianto di cellule staminali, ma è una procedura riservata solo ai casi resistenti ai trattamenti o in ripresa della malattia.
Tra le opzioni di trattamento più recenti non si possono dimenticare le terapie mirate, come per esempio gli inibitori tirosin-chinasici o alcuni anticorpi monoclonali, che agiscono contro le molecole presenti prevalentemente sulle cellule del tumore. Il rituximab è stato il primo anticorpo monoclonale a essere utilizzato per trattare numerosi linfomi aggressivi.
In casi particolarmente resistenti ai trattamenti o quando la malattia si ripresenta dopo le cure iniziali, oggi si può utilizzare l’immunoterapia nell’ambito di sperimentazioni cliniche. La terapia con le cellule CAR-T prevede di prelevare i linfociti T di un paziente e di modificarli geneticamente laboratorio. In questo modo saranno in grado di riconoscere in modo specifico le cellule tumorali da uccidere, una volta reintrodotti nel paziente stesso.
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Agenzia Zoe