Ultimo aggiornamento: 29 ottobre 2024
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Le radiazioni ionizzanti sono un fattore di rischio riconosciuto per l’insorgenza del cancro. Sono in grado di indurre lo sviluppo di ogni forma di tumore, sebbene tra l’esposizione alle radiazioni e l’insorgenza della malattia possano trascorrere molti anni, anche a seconda del tipo di tumore.
Alcuni organi sono più sensibili di altri alle radiazioni. Il midollo osseo e la tiroide sono quelli maggiormente soggetti alla trasformazione indotta dalle radiazioni, e per questo alcune forme di leucemia e il cancro della tiroide sono le neoplasie che si verificano più frequentemente e più precocemente nelle persone esposte a radiazioni ionizzanti.
Molto di quel che sappiamo oggi sul rapporto tra radiazioni ionizzanti e cancro deriva da studi condotti su persone sopravvissute agli effetti delle bombe atomiche sganciate dall’esercito statunitense sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki al termine della Seconda guerra mondiale. In tali studi, di Radiation Effects Research (RER), i sopravvissuti sono stati seguiti nel tempo, per osservare di quali malattie si ammalavano di più rispetto a popolazioni di controllo che non erano state esposte agli stessi livelli radiazioni. Le condizioni dovute al bombardamento erano molto particolari, e per lungo tempo è stato difficile comprendere se le conclusioni tratte da quegli studi potessero essere applicate anche a livelli di esposizione più comuni. Nella vita di tutti i giorni siamo infatti tutti esposti a radiazioni, tra cui la cosiddetta radiazione cosmica, presente nell’atmosfera, e quelle provenienti da altre fonti occasionali, come le radiazioni usate per esami medici.
Diversi studi hanno confermato che anche bassi livelli di esposizione a radiazioni ionizzanti possono dare origine alle trasformazioni delle cellule che portano allo sviluppo del cancro. La quantificazione di questo rischio, tuttavia, è molto complessa: dipende infatti da diversi fattori, tra cui la dose a cui si è esposti e la durata dell’esposizione, il tipo di radiazione, le aree del corpo irradiate e l’età in cui si è entrati in contatto con le radiazioni.
In generale, oggi è noto che:
La luce, le onde radio e i raggi X sono diversi esempi di radiazioni elettromagnetiche, energia che si diffonde sotto forma di onde elettromagnetiche o di particelle subatomiche (è il caso delle particelle alfa e beta emesse da materiali radioattivi). Ne esistono di diversi tipi, a seconda delle caratteristiche delle onde con cui si propagano, in particolare la lunghezza e la frequenza:
Le radiazioni ionizzanti, che rappresentano una piccola parte di questo ampio spettro di radiazioni, sono quelle a maggiore energia. Proprio per questa caratteristica sono in grado di interagire con la struttura degli atomi, rimuovendo elettroni che orbitano intorno al nucleo e conferendo agli atomi una carica elettrica, ovvero, appunto, ionizzandoli. Le radiazioni ionizzanti sono le sole considerate cancerogene, perché la capacità di ionizzare la materia fa sì che possano interagire anche con i tessuti degli esseri viventi.
Fanno parte delle radiazioni ionizzanti i raggi X (impiegati per esempio per eseguire le radiografie), quelli gamma (impiegati in esami diagnostici come la PET o emessi da alcuni elementi radioattivi, presenti per esempio nel cosmo e nel suolo), le particelle alfa e le particelle beta. Anche una limitata porzione di raggi ultravioletti (quelli più vicini per lunghezza d’onda ai raggi X, provenienti dal Sole o da altre fonti) ha proprietà ionizzanti, e per questo sono un fattore di rischio per i tumori della pelle.
Sono invece esempi di radiazioni non ionizzanti il calore sprigionato dalla resistenza di un forno tradizionale, le onde di un forno a microonde, la luce visibile e le onde radio.
Il DNA contiene le istruzioni per la costruzione dell’organismo, e indirettamente per il suo funzionamento. Per questo è importante che le informazioni in esso contenute vengano trasferite senza errori dalle cellule madri alle cellule figlie. L’integrità della struttura di una cellula è salvaguardata da sofisticati meccanismi protettivi e di riparazione.
Il DNA, però, è molto sensibile agli effetti esercitati dalle radiazioni ionizzanti, che possono rompere i filamenti di DNA o indurre cambiamenti nella sua struttura, modificando le informazioni che conserva e trasporta. Tali radiazioni possono anche alterare l’ambiente cellulare (per esempio le molecole d’acqua contenute dentro o fuori le cellule) e dare origine a radicali liberi, composti altamente reattivi che possono a loro volta produrre molecole dannose per le cellule.
In questo caso i destini della cellula possono essere vari:
Gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti sono maggiori al crescere della dose a cui si è esposti, e quindi dell’energia che si deposita nei tessuti. La dose assorbita dai tessuti viene misurata in Gray (Gy), mentre l’unità di misura impiegata per misurare l’effetto biologico delle radiazioni è il Sievert (Sv). I possibili effetti delle radiazioni ionizzanti sono di due tipi:
Le radiazioni ionizzanti non sono estranee alle nostre vite. Siamo quotidianamente esposti a una dose di radiazioni, il fondo naturale di radiazione cosmica e del suolo, proveniente dall’ambiente che ci circonda. Altre fonti di esposizione possibili sono le radiazioni prodotte dagli esseri umani, per scopi soprattutto medici, energetici e militari.
Il fondo naturale di radiazione è la maggiore fonte di radiazioni ionizzanti a cui siamo esposti. È vero che le altre fonti possono produrre picchi più elevati, ma questi restano limitati nel tempo e nello spazio. Il fondo naturale di radiazione è invece presente in modo costante nelle nostre vite e proprio per questo non è possibile sapere se ha effetti sulla salute, dato che non esiste sulla Terra una popolazione non esposta che possa essere studiata in qualità di controllo, confrontandola con una popolazione invece esposta in un’eventuale ricerca. Ogni essere umano è esposto in media a circa 2,4 millisievert (mSv) all’anno, l’equivalente di 100 radiografie del torace. L’entità dell’esposizione varia però notevolmente a seconda della zona in cui si vive.
Il fondo naturale di radiazione deriva da diverse fonti:
Da circa un secolo gli esseri umani sono in grado di sfruttare le proprietà delle radiazioni ionizzanti. Gli impieghi principali sono la produzione di armi, di energia e di applicazioni mediche.
Armi nucleari
Quando si parla di armi nucleari il pensiero va alle bombe sganciate al termine della Seconda guerra mondiale su Hiroshima e Nagasaki, che esposero centinaia di migliaia di persone a raggi X, raggi gamma e neutroni. Circa un terzo della popolazione esposta morì entro la fine del 1945, a causa delle ustioni e della sindrome acuta da radiazioni. Tra i sopravvissuti fu riscontrato un aumento dell’1 per cento circa dell’incidenza di diverse forme di tumore (leucemia, mieloma multiplo, cancro della tiroide, della vescica, del seno, del polmone, delle ovaie, del colon, dell’esofago, dello stomaco, del fegato, linfomi, tumori della pelle) per un totale di un migliaio di decessi in più rispetto alla norma. Le bombe di Hiroshima e Nagasaki hanno, però, contribuito soltanto per una minima parte alla produzione umana di radiazioni ionizzanti. La maggiore fonte di radiazioni disperse nell’ambiente dagli esseri umani è rappresentata dai test sulle armi atomiche, specie quelli realizzati in atmosfera.
Fino al 1963 ne erano stati effettuati oltre 500. Dopo il divieto, stabilito proprio in quell’anno, i test nucleari sono cessati pressoché ovunque, anche se alcuni Paesi hanno continuato a effettuarli almeno fino agli anni Ottanta. Ogni test nucleare ha disperso nell’atmosfera e poi al suolo (tramite l’effetto di “fall-out” nucleare) consistenti quantità di materiali radioattivi che si sono diffusi su migliaia di chilometri quadrati. Si stima che ancora oggi in tutto il mondo la contaminazione radioattiva conseguente a quei test sia una fonte di esposizione per gli esseri umani, a causa dei lunghi tempi di decadimento di alcuni elementi utilizzati. Gli effetti sulla salute delle popolazioni esposte sono difficilmente quantificabili, anche perché i luoghi scelti erano piuttosto remoti e isolati.
In un rapporto realizzato dai Centers for Disease Control and Prevention e dal National Cancer Institute statunitensi su mandato del Senato statunitense, gli esperti hanno stimato che il fall-out radioattivo dei test in atmosfera sarebbe responsabile nei soli Stati Uniti di circa 11.000 morti per cancro dagli anni Settanta al 2000. Un numero importante, ma esiguo rispetto ai milioni di decessi per tumori registrati nello stesso periodo.
Centrali nucleari
Le emissioni di radiazioni dagli impianti di produzione di energia basati sullo sfruttamento di reazioni nucleari sono attentamente monitorate e controllate. La dispersione di radioattività nell’ambiente è trascurabile, tuttavia malfunzionamenti degli impianti o incidenti possono causare grandi perdite di radiazioni ionizzanti nell’ambiente. È ciò che è avvenuto nel 1986 a Černobyl’, in Ucraina, nel più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare: milioni di persone furono esposte a radiazioni, sia direttamente sia tramite il contatto con il suolo e con acque e sostanze contaminate. Le persone che affrontarono l’emergenza furono quelle maggiormente esposte: 28 morirono nei mesi immediatamente successivi per sindrome da radiazione acuta. Negli anni a seguire si sono registrati circa 4.000 casi di tumore alla tiroide, eccetto in Polonia, dove furono tempestivamente distribuite compresse di iodio alla popolazione che all’epoca del disastro aveva meno di 18 anni. La somministrazione profilattica di ioduro di potassio impedisce infatti alla tiroide di assimilare lo iodio-131, la sostanza radioattiva che provoca il cancro. Tuttavia, il ritardo con cui l’Unione Sovietica diffuse le informazioni sull’esplosione della centrale di Černobyl’ non permise ai governi dei Paesi raggiunti dalle radiazioni di proteggere adeguatamente le proprie popolazioni, per esempio con la distribuzione di iodio.
Nel 2011 fu il Giappone a subire un disastro nucleare conseguente a un terremoto e al successivo tsunami. La centrale nucleare di Fukushima ne rimase molto danneggiata e circa 170.000 persone furono esposte alle radiazioni, in dosi però relativamente basse rispetto a Černobyl’. In questo caso, per prevenire lo sviluppo di tumori della tiroide, le autorità hanno disposto rapidamente la somministrazione profilattica di ioduro di potassio.
Due analisi successive dell’Organizzazione mondiale della sanità hanno concluso che non si sono verificati decessi dovuti all’esposizione acuta da radiazioni. Inoltre, valutati i livelli di esposizione della popolazione, l’aumento del rischio di sviluppare tumori diversi da quello della tiroide nel corso della vita è trascurabile. Per quel che riguarda il rischio di tumore alla tiroide, invece, è probabile che l’aumento del rischio non sia trascurabile.
Le radiazioni ionizzanti sono impiegate in medicina in 3 aree:
Le radiazioni ionizzanti impiegate in tutte e 3 le attività aumentano le probabilità di sviluppare un tumore, ma la maggior parte delle procedure comporta un incremento del rischio considerato accettabile rispetto al beneficio atteso.
Radiologia diagnostica
Negli ultimi decenni, la diffusione di indagini diagnostiche che necessitano di utilizzare dosi piuttosto elevate di radiazioni ionizzanti (in particolare la TC) è cresciuta notevolmente. Ciò ha consentito di giungere a diagnosi più affidabili e spesso precoci, aumentando le probabilità di guarigione. Tuttavia ha anche posto il problema degli effetti dell’esposizione ripetuta alle radiazioni ionizzanti.
Calcolare l’aumento del rischio di sviluppare un tumore, dovuto all’esposizione a radiazioni per test diagnostici, è difficile. La quantità di radiazioni varia a seconda del test; anche il tipo di macchina utilizzata, la dimestichezza dell’operatore che esegue l’esame e la durata possono influenzare la quantità di radiazioni.
Ciò non toglie che lo svolgimento di un numero elevato di esami nel corso della vita possa contribuire in maniera significativa a rendere più probabile lo sviluppo di un tumore. È perciò importante eseguire esami diagnostici che prevedano l’utilizzo di radiazioni ionizzanti (quali la TC) soltanto quando è realmente necessario e scegliere, laddove è possibile, l’esame che comporta la minore esposizione possibile.
Queste considerazioni sono particolarmente importanti in età pediatrica. I bambini infatti:
Per questo è importante per i bambini ancora più che per gli adulti eseguire TC e radiografie solo quando veramente necessario prediligendo, quando è possibile, test che non prevedano l’utilizzo di radiazioni ionizzanti (per esempio la risonanza magnetica).
Radioterapia
Le radiazioni ionizzanti sono un modo efficace per trattare alcune forme di tumore. Vengono indirizzate direttamente contro la massa tumorale e, danneggiando le cellule tumorali, ne impediscono la proliferazione. La radioterapia prevede l’utilizzo di radiazioni ionizzanti in dosaggi migliaia di volte più alti rispetto a quelli usati per la diagnosi. Esiste un basso rischio che il suo uso produca mutazioni nel DNA delle cellule sopravvissute, tali da dare origine in breve tempo a un nuovo tumore. Per questo i benefici derivanti dal trattamento superano in genere ampiamente i rischi.
Le probabilità di sviluppare un tumore dopo l’esposizione a radioterapia dipendono da diversi fattori:
Medicina nucleare
I radiofarmaci sono sostanze radioattive a rapido decadimento che, legate a una molecola trasportatrice, possono essere introdotte nel corpo (solitamente per via endovenosa) e usate, attraverso una macchina, per rilevare dove si distribuisce la radioattività in organi o tessuti. La medicina nucleare permette infatti di osservare come il radiofarmaco si distribuisce nell’organismo e di identificare precocemente eventuali alterazioni.
Esami comuni effettuati con la medicina nucleare sono la scintigrafia e la PET-TC, che fornisce informazioni sia anatomiche sia sulla funzionalità dei tessuti. Per esempio, sapendo che un cancro consuma più glucosio delle cellule sane, ai pazienti si può somministrare un composto radioattivo del glucosio e tracciarne la distribuzione nell’organismo. È così possibile non solo localizzare il tumore, ma anche valutarne lo stadio, ovvero quanto esso è diffuso.
In terapia, invece, i radiofarmaci sono usati soprattutto nel trattamento dell’ipertiroidismo e di alcune forme di cancro, come le metastasi ossee.
Il radiofarmaco di solito viene eliminato velocemente dall’organismo perché è a breve emivita, cioè la sua radioattività nell’organismo si dimezza molto rapidamente, senza contare che di solito la dose di radiazioni emessa durante l’esame è limitata. L’esposizione alla radiazione dipende comunque dal tipo e dalla quantità del tracciante utilizzato. Sebbene si tratti solitamente di dosi minime, è bene evitare la diagnosi e i trattamenti con radiofarmaci in caso di gravidanza.
Antonino Michienzi