Ultimo aggiornamento: 6 luglio 2021
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Forse. In laboratorio il glifosato provoca danni genetici e stress ossidativo, ma negli studi negli esseri umani la cancerogenicità non è stata ancora dimostrata con assoluta certezza. La IARC lo ha inserito nella categoria dei "probabili cancerogeni" e non in quella dei “carcinogeni certi”.
Il glifosato è un erbicida introdotto in agricoltura negli anni Settanta del secolo scorso dalla multinazionale Monsanto con il nome commerciale di Roundup. Ha avuto una grande diffusione perché alcune coltivazioni geneticamente modificate sono in grado di resistergli: distribuendo il glifosato sui campi si elimina ogni erbaccia o pianta tranne quella resistente che si desidera coltivare. Si aumenta così la resa per ettaro e si riduce l'impegno per l'agricoltore. Per la sua bassa tossicità rispetto agli erbicidi usati all'epoca è stato da subito molto usato anche in ambienti urbani per mantenere strade e ferrovie libere da erbacce infestanti. È attualmente l'erbicida più usato al mondo anche per la caratteristica di rimanere negli strati superficiali del terreno e di essere degradato e distrutto con relativa facilità dai batteri del suolo. Il brevetto della Monsanto è scaduto nel 2001 e da allora il glifosato è prodotto da un gran numero di aziende.
Il glifosato è da molti anni, oltre che al centro di dibattito e polemiche a livello internazionale e di casi giudiziari, oggetto di studi scientifici che hanno dato risultati discordanti. In particolare, una ricerca svolta nei ratti da un gruppo di ricercatori francesi diretti da Gilles-Eric Séralini aveva segnalato una grave cancerogenicità. La ricerca, i cui risultati furono pubblicati nel 2012 sulla rivista Food and Chemical Toxicology, aveva ottenuto molto spazio sui giornali, ma anche suscitato numerosissime critiche su diversi aspetti tecnici e, in generale, sull'affidabilità del metodo usato e dei risultati. Le lettere di critica spedite alla rivista, numerose e dettagliate, hanno in breve tempo spinto la direzione editoriale del giornale ad analizzare meglio lo studio e quindi a prendere l'inusuale e grave decisione di ritirare l'articolo. Lo stesso studio è stato successivamente ripresentato dagli autori per la pubblicazione su una rivista di minore prestigio e credibilità.
Le conclusioni estreme di questo studio restano dibattute e controverse. Ma anche le più importanti istituzioni scientifiche internazionali si sono espresse, seppure con maggiore cautela, in modo non del tutto concorde sulla potenziale pericolosità del glifosato.
Un gruppo di esperti dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) di Lione ha preso in esame tutti gli studi relativi ai possibili effetti per gli esseri umani e per gli animali. L'analisi approfondita si è conclusa nel 2015, con la decisione di inserire il glifosato nella lista delle sostanze "probabilmente cancerogene" (categoria 2A). Nella stessa categoria sono presenti quasi un centinaio di agenti, tra cui, a titolo di esempio, il DDT, gli steroidi anabolizzanti le emissioni da frittura ad alta temperatura, le carni rosse, le bevande bevute molto calde e le emissioni prodotte dal fuoco dei camini domestici alimentati con biomasse, soprattutto legna. In pratica si tratta di sostanze per cui ci sono prove limitate di cancerogenicità negli esseri umani, ma dimostrazioni più significative nei test con gli animali.
In particolare, gli studi epidemiologici sulla possibile attività del glifosato negli esseri umani hanno segnalato un possibile aumento del rischio di sviluppare linfomi non-Hodgkin tra gli agricoltori esposti professionalmente a questa sostanza, un’associazione riscontrata anche da una recente metanalisi. Gli studi di laboratorio in cellule in coltura hanno dimostrato che la sostanza può avere alcuni effetti dannosi, come danni genetici e stress ossidativo.
In ogni modo la ricerca sul glifosato come possibile cancerogeno va avanti, allo scopo di indagare per esempio gli effetti delle diverse formulazioni dei prodotti.
Sempre nel 2015, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha condotto un'altra valutazione tecnica – affidata all'Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio – secondo la quale "è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per gli esseri umani". In ogni modo l'EFSA ha disposto "nuovi livelli di sicurezza che renderanno più severo il controllo dei residui di glifosato negli alimenti" come misura di cautela.
Queste conclusioni sono state oggetto di critiche, finché nel 2016 l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e l'Organizzazione delle nazioni unite per il cibo e l'agricoltura (FAO) hanno condotto un'analisi congiunta giungendo anche loro alla conclusione che "è improbabile che il glifosato comporti un rischio di cancro per gli esseri umani come conseguenza dell'esposizione attraverso l'alimentazione".
Inoltre l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), e cioè l’autorità che è competente per la legge sulla classificazione e l’etichettatura delle sostanze e delle miscele, classifica il glifosato come una sostanza che può provocare lesioni oculari e come sostanza tossica per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata. Nel 2017 il Comitato per la valutazione dei rischi dell’ECHA concluse però che in base alle prove scientifiche disponibili al tempo, il glifosato non soddisfaceva i criteri per essere classificato come cancerogeno, mutageno o tossico per la riproduzione.
Più recentemente l’EFSA ha rivisto i livelli massimi di residui (LMR) di glifosato, cioè la concentrazione massima ammissibile di residui di antiparassitari presente all’interno degli alimenti o sulle loro superfici, basata sulle buone pratiche agricole e calcolata in modo che anche i consumatori più vulnerabili siano protetti da eventuali effetti negativi.
Anche se il giudizio sulla potenziale pericolosità è incerto, numerosi Paesi hanno da tempo adottato misure precauzionali per ridurre l'uso inappropriato dei prodotti contenenti glifosato. In Olanda, per esempio, la vendita ai privati per uso casalingo è stata vietata nel 2014, mentre le vendite in ambito professionale non hanno subito limitazioni. In Francia il ministro dell'ecologia ha chiesto nel 2015 a vivai e negozi di giardinaggio di non esporre sugli scaffali accessibili al pubblico il glifosato, che rimane però in libera vendita. Con il piano Ecophyto, a cui sono seguiti i piani più aggiornati, la stessa Francia si è posta l’obiettivo di diminuire in pochi anni l’uso di prodotti fitosanitari, e in particolare di ridurre per poi eliminare completamente l’uso del glifosato, fornendo alternative agli agricoltori.
In Italia un decreto del Ministero della salute ha stabilito nel 2016 che il diserbante non si potrà più usare nelle aree "frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bimbi, cortili e aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie". Un altro decreto del Ministero della salute ha poi stabilito che i prodotti che contengono ammina di sego polietossilata accoppiata al glifosato – una combinazione che secondo il rapporto dell'EFSA potrebbe essere responsabile degli effetti tossici sugli esseri umani – fossero ritirati dal commercio nel novembre del 2016, e che il loro impiego da parte dell'utilizzatore finale fosse vietato dalla fine di febbraio del 2017.
L’uso del glifosato è comunque attualmente ammesso nell’Unione europea fino al 15 dicembre 2022. A fine 2017 infatti, a seguito di valutazioni di EFSA e ECHA, la Commissione europea ha concesso l’approvazione per i successivi 5 anni, con alcune limitazioni. Il glifosato può essere usato solo come erbicida e “i prodotti fitosanitari contenenti glifosato non devono contenere il coformulante ammina di sego polietossilata”. La domanda di rinnovo dell’approvazione è stata presentata formalmente nel 2019 da aziende riunite nel Gruppo per il rinnovo del glifosato. La procedura richiede diversi passaggi di valutazioni e revisioni e attori coinvolti ed è attualmente in corso. Le conclusioni delle nuove valutazioni di ECHA ed EFSA sono attese per il 2022.
Il caso del glifosato rappresenta, al momento attuale, un buon esempio di sospetta cancerogenicità non sufficientemente dimostrata, nei confronti della quale le istituzioni hanno deciso di mettere in atto il principio di precauzione: non vietarne del tutto l'uso (mossa che potrebbe avere effetti negativi sulla produzione agricola) ma istituire limiti e controlli nell'attesa di ulteriori studi.
Agenzia Zoe